C'era attesa per Howl di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, storia del processo per oscenità del poema di Allen Ginsberg, ma probabilmente il film è andato anche oltre le migliori aspettative. Costruito su più piani narrativi perfettamente integrati e sull'ottima performance di James Franco, la buona riuscita dell'opera ha caratterizzato anche l'incontro con i giornalisti, da cui sono fuoriuscite numerose curiosità, per bocca dei due registi del film, stimati documentaristi già ospiti in passato del festival di Berlino.
Quando avete letto la prima volta il poema di Ginsberg?
Rob Epstein: Alle superiori, in occasione di uno studio sulla poesia.
Jeffrey Friedman: Anche io alle superiori, quindi avevo familiarità con il poema ma superficialmente. In realtà non l'ho mai approfondito in modo particolare finchè non mi sono dedicato a questo progetto.
Emerge una forte empatia e profondità nel vostro film. E' in qualche modo dovuta allo specifico poema? Che effetto ha su di voi la sua lettura?
Jeffrey Friedman: E' difficile scindere l'aspetto umano e quello creativo quando lavori a un film e quindi valutare e scegliere anche il modo in cui entrare in un mondo che non ti appartiene, con la sua politica, i suoi costumi sessuali, le regole sociali. Si tratta comunque di entrare in un universo diverso da cui trarre ispirazione
Siete dei noti e talentuosi documentaristi. Cosa c'era in questa storia da convincervi a passare al cinema di fiction?
Rob Epstein: La nascita del progetto è legata a una chiamata della segretaria storica di Ginsberg che ci chiese se eravamo interessati a un progetto riguardo al suo poema. L'idea ci attirò subito e l'addentrarci in questo mondo ci portò in poco tempo a desiderare di farne qualcosa di più propriamente cinematografico rispetto a un documentario, in modo da lavorare su elementi differenti in merito al poema e alla sua ricezione nel mondo. E' stato quindi un cammino naturale fino alla forma definitiva del film di finzione. Ma non è stato un cambiamento così drastico, perché i nostri documentari sono sempre molto costruiti narrativamente.
Jeffrey Friedman: Una cosa che ci ha spinto è stata anche la natura specifica del poema, il suo valore rivoluzionario; il fatto che riesca ancora a impressionare e a rompere molte frontiere politiche e sessuali. Ci è sembrato giusto omaggiare questo sua forza dirompente in una forma molto libera che ne approssimasse di più il valore.
A cosa corrisponde per voi l'oscenità di cui il poema è stato accusato? Rob Epstein: A livello molto superficiale c'erano delle specifiche parole nel poema a essere considerate oscene. Non è un caso che ancora oggi, in America, il poema non può essere letto alla radio. Sostanzialmente il vocabolario usato e le descrizioni sessuali. E a livello sottotestuale direi tutto il riferimento all'omosessualità.
C'è una frase fondamentale nel film, nel quale il professore interrogato asserisce che non si può trasformare un poema in una prosa. E' per questo che avete scelto di rappresentare i versi del poema con un'animazione costruita sul voice-over?
Rob Epstein: La decisione dell'animazione ci è nata guardando il lavoro illustrativo di Eric Drooker. I suoi lavori ci sembrassero proseguire idealmente l'eredità poetica ginsberghiana. Cercavamo qualcosa che funzionasse sul piano narrativo e contemporaneamente avessero potenza astrattiva e visionaria e grazie al lavoro di un team molto valido credo che ci siamo riusciti.
Jeffrey Friedman: Il problema era che dovevamo scegliere qualcosa e volevamo che fosse sorprendente e innovativa; così abbiamo tentato di bilanciare l'immagine che evocano le parole, con la forza delle immagini seguendo un percorso molto intuitivo.
Come siete riusciti a mantenere intatto l'aspetto visivo costruito sul bianco e nero, il colore e l'animazione senza perdere mai di vista la centralità dell'uomo Allen Ginsberg?
Rob Epstein: Innanzitutto noi siamo veramente un ottimo team molto unito e che lavora insieme da tantissimo tempo; poi abbiamo avuto un grande supporto dalla produzione, un direttore della fotografia eccezionale