Paul Verhoeven sfugge ancora. Alle nostre aspettative, alle nostre pretese, ai nostri pregiudizi. Per questo nella nostra recensione di Benedetta, in concorso a Cannes 2021, vi racconteremo prima di tutto quello che il film di Paul Verhoeven non è. Non è un film "sull'amore lesbico tra due suore", ma un film "con due suore lesbiche" al suo interno. Non è su quello che si fossilizza lo sguardo di un regista interessato a estendere il suo sguardo oltre il velo di Benedetta. Non è il film dello scandalo che Cannes si aspettava. Anzi che tutti si aspettavano sin da quando il film fu annunciato diversi anni fa. Il chiacchiericcio che ha preceduto l'opera bizzarra del regista olandese ne ha travisato la percezione. Entrati nel suo convento non abbiamo trovato né mistero, né dramma, né quel desiderio pruriginoso di affondare il dito nell'amore proibito tre due donne di fede. Benedetta è qualcosa di molto diverso. Per provare a capire la strana natura di questo film vi diciamo questo: la storia vera di una suora lesbica nell'Italia della Controriforma è già da sola una materia delicata da trattare. Un terreno scivoloso che Verhoeven attraversa affondando ogni passo e non certo in punta di piedi. E lo fa facendo rumore, fregandosene di perdere l'equilibrio e lasciando la sua inconfondibile orma.
Più eretico che erotico
Dopo Elle venne il turno di Benedetta. Ancora un nome femminile a dominare il titolo di un film Verhoeven. Ancora una donna sfuggente, imprevedibile e per questo affascinante. I punti di contatto tra i due film, però, si fermano qui. Se Elle aveva sconvolto trattando in modo destabilizzante un'insolita reazione allo stupro, Benedetta è fatto di un'altra pasta. Perché questa volta Verhoeven non ha voglia di soffermarsi sulla sfera emotiva tumultuosa della protagonista, non ha intenzione di scavare nella psiche di questa suora devota sin da bambina. Ispirato alla vera storia della suora italiana Benedetta Carlini, vissuta in Toscana durante la Controriforma del Seicento, Benedetta fruga a piene mani nel saggio Atti impuri - Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento di Judith C. Brown, che ne ha ricostruito l'incredibile storia. Una storia sicuramente allettante per un regista amante degli eccessi come Verhoeven. Entrata in convento ancora bambina, Benedetta viene sconvolta da una serie di visioni sempre più allucinanti. A destabilizzarla ancora di più è la vicinanza con la nuova arrivata Bartolomea, verso la quale prova un'inedita e irrefrenabile attrazione fisica. Tante gocce che faranno presto traboccare il vaso. Ed eccolo qui il vero interesse di Verhoeven: il punto di rottura, la crepa da cui filtra l'acqua aspettando con ansia che tutto vada in mille pezzi. Va dato atto a Benedetta di non barare, e di mettere le cose in chiaro sin dall'inizio: il film non si prende sul serio, e parte subito con un tono grottesco divertito (e a tratti divertente) di chi fa capire subito dove andrà a parare. Ispirato dall'estasi euforica della sua protagonista, Benedetta urla un bel "vade retro" in faccia al dramma in costume e al film erotico, preferendo dare vita a una specie di horror religioso. Quasi una origin story dedicata alla nascita di una figura oscura mistica. Ovviamente le scene di sesso ci sono, ma non sono né così spinte, né trattate con occhio morboso. E potranno sconvolgere soltanto lo sguardo del pubblico più malizioso e bigotto. Oppure di chi non ha voglia di sintonizzarsi con lo spirito di Veroheven.
Elle, o dell'amore per le donne audaci e oltraggiose: conversazione con Paul Verhoeven
Anarchia, portami via
Sia chiaro: Benedetta non è un film facile, non è un film per tutti, non è un film indulgente che tende la mano allo spettatore. Anzi, lo sforzo dev'essere esattamente il contrario. Siamo noi che dobbiamo cercare di capire dove Verhoeven voglia andare a parare. Nel suo "vangelo" blasfemo ci abbiamo letto una grande satira del sistema ecclesiastico. E parliamo di approccio satirico (e non semplicemente ironico), proprio perché la satira ha sempre puntato il dito contro il potere. L'indice del regista lo vediamo dritto verso una Chiesa che ingabbia, si rintana dentro sé stessa, non ascolta e non si interroga come dovrebbe. E allora ecco che la liberazione furiosa di Benedetta è la reazione uguale e contraria a quel dolore (a tratti sadico) imposto per secoli come dimensione prediletta per alimentare la Fede. Così i sacrifici diventano orgasmi, le preghiere si trasformano in accuse e sotterfugi tra donne gelose. Però Verhoeven non è andato nel fango di un Rinascimento particolarmente sporco per fare la morale, ma per divertirsi a suon di umorismo nero e siparietti al limite del kitsch. Una visione distorta della Storia, che dipinge la Fede come un ingenuo innamoramento nei confronti di un Gesù simile a un eroe romantico e la Chiesa come un enorme teatrino in cui o sei burattino o sei burattinaio. Benedetta non ci sta a farsi manipolare da nessuno. Proprio come il cinema di Verhoeven, che se ne infischia di tutto e di tutti per dare libero sfogo a questo horror insolito. Un film da prendere o lasciare, accogliere o rigettare. Le vie di mezzo non sono state invitate.
Conclusioni
Nella nostra recensione di Benedetta abbiamo confessato prima di tutto quello che il nuovo film Paul Verhoeven non è. Non è il film erotico e scandaloso che molti si aspettavano, e nemmeno un dramma psicologico dedicato a una suora lesbica realmente esistita. Il regista olandese vira verso un horror grottesco, rozzo, dando vita a un'opera satirica che punta il dito contro i paradossi della Chiesa senza mai fare la morale.
Perché ci piace
- Il film sorprende e destabilizza, ma senza usare la scorciatoia del "sesso blasfemo".
- La componente horror è inaspettata ma coerente con l'approccio del regista.
- Verhoeven disattende qualsiasi aspettativa...
Cosa non va
- ...ma è destinato a dividere.
- Lo spirito grottesco e le scene kitsch faranno storcere il naso a molte persone.