C'è il family, il poliziesco e il noir di cui è maestro il regista Andrea Molaioli in Bella da morire, miniserie in 4 prime serate ed 8 episodi, prodotta da Cattleya in collaborazione con Rai Fiction che andrà in onda dal 15 marzo su Rai1. Protagonista Cristiana Capotondi nei panni di Eva Cantini, una poliziotta da sempre in prima linea contro il femminicidio che, trasferitasi nuovamente nel suo paesino natale, Lagonero, per stare vicino alla sorella Rachele (Benedetta Cimatti), si trova suo malgrado a dover fronteggiare una storia di scomparsa, omicidio, violenza, ai danni di una giovane donna.
Seppur protagonista, Cristiana Capotondi è circondata da tanti personaggi ben delineati e tante donne diverse, sfaccettate, da Lucrezia Lante della Rovere nel ruolo del procuratore al medico legale interpretato da Margherita Laterza. A Matteo Martari il ruolo del compagno di lavoro di Eva, Marco Corvi, il personaggio maschile su cui si concentra l'attenzione maggiore della serie.
Bella da morire fa un passo ancora più avanti per favorire l'entrata a pieno diritto della fiction di Rai1 all'interno del mondo sfaccettato delle serie TV e regala moltissimi personaggi femminili concreti, donne con cui è possibile identificarsi, non per forza tutte eroine ma fortunatamente anche fragili. Lo sottolinea Cristiana Capotondi in questa intervista che punta sulla forza della femminilità.
Donne forti, emancipate, fragili
Siamo in un territorio differente dalla fiction Ognuno è perfetto, che già ti aveva visto collaborare con la RaiFiction diretta da Tinni Andreatta. Bella da morire rappresenta un punto di arrivo in quanto a personaggi femminili degni di nota?
Io sono molto felice chiaramente di averla potuta interpretare ma certamente questo progetto rientra nel racconto delle donne iniziata da Rai1 ed è una cosa molto bella, sia da attrice ma sopratutto da spettatore.
Sulla carta la serie si presenta come un racconto di donne emancipate e forti. Il bello è però che ce ne sono tante, diverse e non sempre delle eroine. Concordi?
Sì, ci sono anche donne fragili, anzi anche il mio personaggio ha una sua fragilità, tutta questa forza, caparbietà raccontata all'esterno è anche frutto della necessità di proteggersi. Il fatto che non abbia relazione con il sesso maschile quindi, in realtà racconta anche molto della fragilità delle donne.
Come descriveresti Eva Cantini?
Lei è una donna sicuramente con una pregiudiziale rispetto al lavoro che fa e cioè il suo prendere sul personale con troppa emotività tutto e di questo ce ne accorgeremo nel corso della serie. È però una donna che da tempo lavora nei femminicidi e quindi è carica di dolori, di partecipazione nei confronti di queste donne. Questa è una sua prima caratteristica ed è forse proprio la cosa che non dovrebbe fare un bravo poliziotto, il lasciarsi prendere dalle storie. Ma lei lo fa, finisce per farlo. Un'altra cosa che la caratterizza secondo me è anche l'aver seguito un po' uno stereotipo maschile, di visione della propria vita in relazione alla propria personalità, al proprio lavoro. Lei è più vicina ad uno stereotipo maschile che ad uno femminile ed invece, dovrà fare ciò che le donne stanno cercando di fare negli ultimi tempi: compiere una sintesi, cioè andare oltre gli stereotipi, impostare nuovi modelli ma farlo con la propria femminilità.
Un mix di generi
Come ti sei relazionata e trovata in questo mix di generi? Molaioli in questo è un maestro e il suo tocco si vede.
Mi son trovata molto bene e credo che la cosa forte di questa storia è che ci sia un'atmosfera. I personaggi sono tutti reali, ben diretti, c'è per tutti una realtà psicologica e si cresce con l'andare delle storia.
Che riferimenti avevi per la tua Eva? Non si può non notare l'assonanza Eva Cantini - Eva Kant.
Diciamo che abbiamo cercato di costruire un personaggio il più possibile realistico. Il nome fa parte solo di un gioco poetico diciamo, però questa donna forse l'ho costruita un pochino di più a partire da un modo maschile di stare al mondo. Lei ha rinnegato la propria femminilità anche per protezione e per questo dicevo che questa è una forma di fragilità sulla quale le donne di questo decennio dovranno lavorare per andare a sintesi.
Che impatto ha avuto su di te interpretare Eva, come sei cambiata dopo questo ruolo?
Il mio approccio, essendo cresciuta facendo questo mestiere, è cercare di incontrare delle donne come me per crescere anche io. Alla fine la recitazione è uno strumento straordinario da questo punto di vista e in questo caso forse Eva ha apportato un impatto sulla presa di coscienza della forza della femminilità e quanto non la si debba minare ma la si debba utilizzare, vivendola in tutti i suoi accenti. Certe questioni aperte di Eva, io personalmente invece le ho risolte, ad esempio il rapporto con il maschio, che per Eva è molto delicato, perché come vedrete è una donna che non ha grande stima nel genere maschile. Però, la cosa che mi è piaciuta di Eva è questa sua capacità di cambiare, avere la forza di buttare via tutto e ricominciare, per far poi ricominciare anche gli altri, e ce ne sarà bisogno nel corso della serie, come di una sorta di sacrificio. Ha una parte di ecletticità che mi piace molto. La parte ideologica di Eva invece mi piace meno, è quella che lei ha sviluppato molto nelle sue indagini sui femminicidi e che sarà la parte necessaria per svoltare anche nelle indagini.
Arrivare al grande pubblico: una responsabilità
Molaioli nelle note di regia dice: "La prima serata nel più importante canale generalista ti impone un'attenzione ed un senso di responsabilità ancora più elevato rispetto al solito". Sei d'accordo?
Si condivido pienamente, la TV generalista quando affronta certe tematiche lo fa alla ricerca della verità, certamente, ma veicolando cultura e considerando l'impatto sulle famiglie. Fa piacere ed è un onore far parte di un progetto del genere e dall'altro lato si parla giustamente di attenzione a ciò che si mette in scena perché capiamo che ci rivolgiamo ad un pubblico molto vasto, misto, generazioni diverse, un pubblico largo che forse oggi sulla pay TV, ancora non c'è.