"È un film terrificante perché tutta quella bellezza al lume di candela non è altro che un velo sopra la crudeltà più brutale. Ma è una crudeltà reale, quel tipo di crudeltà che vediamo ogni giorno nella buona società". Con queste parole Martin Scorsese ha definito uno dei capolavori di un cineasta provocatorio e geniale quale Stanley Kubrick: Barry Lyndon, adattamento per il grande schermo del romanzo Le memorie di Barry Lyndon, pubblicato dallo scrittore inglese William Makepeace Thackeray nel 1844.
Uscito nelle sale il 18 dicembre 1975, a quattro anni di distanza da un film seminale ma diversissimo come Arancia meccanica, Barry Lyndon vedeva il popolare attore Ryan O'Neal nel ruolo del giovane avventuriero irlandese Redmond Barry, al centro di una progressiva scalata sociale nella Gran Bretagna del diciottesimo secolo, restituita allo spettatore attraverso una stupefacente ricostruzione d'epoca, curata nel minimo dettaglio.
Barry Lyndon ritorna al cinema
Selezionato da Kubrick come suo nuovo progetto dopo aver abbandonato il proposito di dirigere un dramma storico su Napoleone, così come quello di portare al cinema un altro (e ben più noto) libro di Thackeray, La fiera della vanità, Barry Lyndon costituisce il frutto di ben dieci mesi di riprese in un'atmosfera di massima riservatezza e di un anno di post-produzione. All'edizione degli Academy Award del 1975, la pellicola di Kubrick fu candidata come miglior film in una cinquina miracolosa che includeva altri tre capolavori intramontabili del calibro di Nashville di Robert Altman, Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman e Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet, e un cult della suspense come Lo squalo di Steven Spielberg, e si aggiudicò quattro premi Oscar: miglior colonna sonora, miglior fotografia, miglior scenografia e migliori costumi. Nonostante il successo di pubblico e il diffuso apprezzamento, tuttavia, Barry Lyndon non suscitò subito i fervidi entusiasmi riscossi dai precedenti film di Kubrick, ovvero 2001: Odissea nello spazio e Arancia meccanica; sarebbe stato il tempo a sancire la definitiva canonizzazione di questa trasposizione del testo di Thackeray, consolidandone l'importanza storico-artistica fino alla sua definitiva inclusione fra le pietre miliari della settima arte.
Barry Lyndon, l'elenco delle sale che proiettano il film
Ed è anche e soprattutto in virtù di tale reputazione, e dei meriti che la critica gli ha giustamente riconosciuto (in alcuni casi in maniera un po' tardiva), se ha destato enorme attenzione la notizia che, lunedì 12 gennaio, Barry Lyndon farà ritorno al cinema, in quel 2015 che segna anche il suo quarantesimo anniversario, in una versione restaurata a cura della Cineteca di Bologna, nell'ambito dell'iniziativa "Il Cinema Ritrovato". Un'occasione per riammirare il classico di Kubrick in tutto il suo splendore formale, per un film il cui fascino visivo, lontanissimo da qualunque sospetto di accademismo, rappresenta al contrario il tratto distintivo di una messa in scena a dir poco magistrale, indispensabile chiave di lettura di un'opera complessa e stratificata.
Rievocando il Settecento, fra luce naturale e musiche d'epoca
Con Barry Lyndon, Stanley Kubrick recupera la struttura drammaturgica tipica del romanzo picaresco, genere del quale il libro di Thackeray può essere considerato un esempio paradigmatico, e la rinnova dall'interno, pur adeguandosi - almeno in apparenza - al modello narrativo di Thackeray. "Ho amato la storia, e mi è sembrato possibile realizzare il passaggio dal romanzo al film senza doverla distruggere nel corso di questo processo", dichiarò allora il regista per motivare la scelta di Barry Lyndon al posto de La fiera della vanità. Eppure, se il romanzo picaresco si fonda sulla cadenza frenetica delle avventure e dei colpi di scena proposti ai lettori mediante una pubblicazione di tipo seriale, nel 'suo' Barry Lyndon Kubrick non esita ad effettuare un parziale snaturamento del modello letterario di partenza: in una pellicola di ben centottanta minuti di durata, piega il ritmo alle necessità di un racconto che procede con studiata lentezza, e in cui perfino i movimenti dei personaggi talvolta paiono rallentarsi fin quasi ad assumere una sorta di straniante immobilità, tale da rendere numerose sequenze del film simili a dipinti del Settecento (evidente l'influenza di pittori come William Hogarth e Jean-Antoine Watteau).
A tal proposito, è significativo ricordare la soluzione per certi versi rivoluzionaria adottata da Kubrick e dal suo direttore della fotografia, John Alcott: l'impiego di un'illuminazione assolutamente naturale, sia per gli esterni, sia per le scene in interni, con stanze e saloni rischiarati soltanto dalla luce delle finestre o, nelle sequenze notturne, dalle fiammelle delle candele o dei candelabri. Una sfida, da un punto di vista tecnico, di estrema difficoltà, che richiese ad Alcott e Kubrick il ricorso all'obiettivo Zeiss Planar 50mm f/0.7, lo stesso utilizzato anche dai satelliti della NASA. Ma oltre all'aspetto visivo ed estetico (si vedano gli stupendi costumi disegnati da Milena Canonero e Ulla-Britt Söderlund), strettamente correlato ad un preciso immaginario artistico, alla rievocazione dell'Europa del Settecento contribuisce in misura determinante anche la meravigliosa colonna sonora curata dal compositore americano Leonard Rosenman, il quale riorchestrò musiche di Georg Friedrich Händel (la Sarabanda dalla Suite n. 4 in re minore, celebre anche grazie al film), Franz Schubert, Wolfgang Amadeus Mozart, Antonio Vivaldi e Johann Sebastain Bach, ma pure la canzone Women of Ireland di Seán Ó Riada, la cui dolcissima melodia offre un perfetto contrappunto sonoro ai momenti di romanticismo del racconto.
L'ascesa di un falso eroe
Tale romanticismo, però, viene sottoposto al medesimo processo di rovesciamento del quale sono vittime tutti gli ideali di cui la società del tempo finge di ammantarsi, laddove il film procede invece ad un'operazione di smascheramento che, scena dopo scena, fa affiorare la mediocrità e le miserie morali dei vari personaggi. A partire proprio da Redmond Barry, ragazzotto irlandese di modesta condizione e dall'indole impulsiva e irruenta, costretto a lasciare il proprio villaggio dopo aver ucciso in duello un ufficiale dell'esercito britannico, il Capitano John Quin (Leonard Rossiter), che egli stesso aveva sfidato, spinto dalla passione per la cugina Nora Brady (Gay Hamilton). Ma anche le presunte passioni sono stemperate in effimeri capricci destinati ad esaurirsi in fretta; mentre Barry, poco dopo essersi arruolato per combattere nella Guerra dei Sette Anni, coglie la prima occasione favorevole per disertare e abbandonare i suoi commilitoni, non facendosi scrupolo di mentire e spacciare false identità pur di sottrarsi ai propri doveri. Come la spregiudicata Becky Sharp de La fiera della vanità, anche Redmond Barry è un falso eroe motivato unicamente da uno sfrenato individualismo: il suo "percorso di formazione", pertanto, consisterà nel passaggio da una condizione di giovanile ingenuità ad una subdola astuzia, necessaria a permettergli di sfuggire alle difficoltà (la fuga dalla Prussia e il ritorno in Inghilterra) e in seguito di entrare a far parte di un ceto sociale superiore, seducendo la ricca nobildonna Lady Lyndon (interpretata dall'attrice Marisa Berenson) per diventare così Barry Lyndon.
Il suddetto intento di smascheramento è veicolato da Kubrick anche attraverso la voce narrante che, di sequenza in sequenza, ci introduce ai personaggi e ci descrive i loro pensieri e sentimenti. Al narratore interno e soggettivo del romanzo di Thackeray, che si esprime in prima persona, Kubrick sostituisce infatti un narratore esterno ed onnisciente, la cui distaccata ironia costituisce un sarcastico controcanto alle 'imprese' (militari e galanti) di Barry. Una voce narrante che, con la sottile malizia dei suoi commenti, contribuisce a demolire la patina romantica attorno alle avventure di Barry, come in questo emblematico esempio: "Come molte città dei paraggi, il cuore di Lischen era stato preso d'assalto e occupato parecchie volte prima che venisse Barry ad assalirlo". E nel momento in cui sembra sbocciare l'amore fra Barry e Lady Lyndon, è ancora la voce narrante a suggerirci l'artificiosità del loro sentimento: "In breve, sei ore dopo il loro incontro, Lady Lyndon era innamorata. E una volta entrato nelle sue grazie, Barry trovò innumerevoli occasioni per aumentare la loro intimità: non era quasi mai lontano dallo sguardo di sua signoria".
Il secolo dei lumi raccontato da Kubrick
Ma non è solo Barry Lyndon il bersaglio dell'implacabile ironia del film: è l'intero "secolo dei lumi", il Settecento, a subire un'impietosa rilettura, alla luce del feroce classismo e della sotterranea violenza che scorrono appena al di sotto della superficie di opulenza di un'epoca caratterizzata da un divorante horror vacui. Nelle sue inquadrature dal taglio pittorico, nella rigorosa compostezza dei suoi campi lunghissimi, Stanley Kubrick mette in scena un formalismo esasperato che si è ormai ridotto a vacuo simulacro: dagli sfarzosi salotti dell'aristocrazia all'incedere cadenzato di un plotone di soldati verso il fronte nemico, ogni ambiente e ogni gesto sono meri significanti svuotati di significato, anacronistici rituali che si ripetono all'infinito in virtù di un automatismo fine a se stesso. Com'è nient'altro che un rituale, appunto, perfino l'avanzata delle truppe inglesi, decimate dai colpi di fucile dell'esercito avversario, ma che ciò nonostante continuano ad avanzare imperturbabili al ritmo di una marcia militare.
Allo stesso modo, la cipria, gli orpelli e i sontuosi abiti sfoggiati dalla classe nobiliare non sono che la maschera dietro la quale, nel corso dei fastosi cerimoniali dell'alta società, di tanto in tanto fa capolino il ghigno deformante del grottesco - come nel rabbioso confronto fra Barry e l'anziano e moribondo Sir Charles Lyndon (Frank Middlemass), consapevole del tradimento consumato alle sue spalle. E proprio Barry Lyndon, campione di quell'ipocrisia adoperata come strumento di affermazione personale, assurge inevitabilmente a volto simbolo di un mondo marcio e putrescente, dominato da vigliaccheria, opportunismo e meschinità, ma che non cessa di crogiolarsi nei suoi frivoli piaceri, con cieca e stordita inconsapevolezza dell'autodistruzione a cui sta andando incontro. Un mondo i cui contorni e le cui sfumature sono rievocati con il tratto fermo e lo sguardo sapiente di uno dei massimi registi della storia, perfettamente in grado di cogliere - e di restituirci - il senso di modernità di un'era che forse non è poi così distante dalla nostra.