Puoi avere tutto, oppure niente, ma se in te è innestato il seme della ribellione, non vi è conto in banca, o automobile lussuosa, che possa sradicare quel fiore del male pronto a nascere.
Come sottolineeremo in questa recensione di Barracuda Queens, in Lollo non solo germoglia il seme della ribellione, della discordia e dell'attacco alle autorità genitoriali, ma anche la capacità di trascinare nei propri piani menti più malleabili, sensibili, buone, come quelle delle sue amiche. E così, il gruppo di ragazze indivisibili, ma dai debiti insolvibili, si trasforma in una gang di rapinatrici in erba, pronte a rubare ai ricchi per dare a loro stesse, che povere non sono.
Ispirata a fatti reali, quella di queste Robin Hood sui generis è una storia che si slega dai fattori biografici per raccontare un mondo di insoddisfazione e solitudine che nessuna ricchezza può colmare. Una parabola in discesa compiuta senza sentimentalismi, o richieste di partecipazione affettive da parte dello spettatore, bensì con freddo distacco. E forse non vi era modalità di racconto migliore per delle ragazze che non hanno bisogno di essere compatite, comprese o giustificate, ma tutt'al più giudicate dalla corte suprema dei propri spettatori.
Barracuda Queens: la trama
Barracuda Queens: non vi era forse nome più azzeccato di questo per un gruppo di cinque inseparabili (e agiate) amiche della Stoccolma degli anni Novanta. Già, perché tra feste sfrenate e passioni adolescenziali, a seguito di conti salati da pagare, da brave studentesse durante il giorno di notte queste ragazze si trasformano magicamente in rapinatrici in erba. Tuttavia, sembra che il loro vero obiettivo sia la ricerca di emozioni per sfuggire alla monotonia, finché non si troveranno ad affrontare la realtà e parecchi imprevisti.
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Sguardo distaccato in terra gelida
È una cinepresa che tutto immortala e registra a debita distanza quella di Amanda Adolfsson; uno sguardo severo, obiettivo, ma mai giudicante quello della regista, che segue le proprie protagoniste senza mai elevarle a modello da seguire, o esempio da imitare. È una penna che redige un saggio scientifico dove i sentimenti, o la possibilità di immedesimazione spettatoriale, trovano poco spazio nei raccordi delle ampie inquadrature da lei concepite. Con fare quasi documentaristico, la regista non pare mossa da intenti simpatetici nei confronti delle proprie protagoniste. Limitando il proprio operato a pochissimi primi piani, la regista impedisce al proprio pubblico di aprire un varco nell'interiorità delle protagoniste sullo schermo, lasciando che sia quest'ultimo a ipotizzare autonomamente la natura dei sentimenti che le pervade, e la tempesta emotiva che le scuote.
E in effetti, grazie a riprese ad ampio respiro, e a una sceneggiatura solida e meticolosa, allo spettatore vengono messe a disposizione tutte le informazioni necessarie per tracciare personalmente un profilo psicologico per ogni ragazza, emanando da solo - e senza alcun filtro esterno, o registico - un giudizio finale sul loro intero operato. Giudizio di per sè già inizialmente nascosto nel nome scelto da questo gruppo di amiche: non solo Barracuda, ossia animali avidi e aggressivi, dal corpo slanciato, e la bocca ampia (metafora perfetta della loro sete di ricchezza a discapito di una monotonia da distruggere), ma addirittura regine di tale specie, capi supremi pronti a dominare e far proprio l'ambiente circostante, divorandolo con la propria ambizione e supponenza.
The Bling Queens
Vive di ricordi e rimandi all'universo di giovani senza stimoli, viziati e alla ricerca di quel brivido capace di scuotere esistenze all'apparenza perfette già immortalato da Sofia Coppola con Bling Ring, Barracuda Queens. Due universi così distanti geograficamente (da una parte le colline di Hollywood, dall'altro i vicinati svedesi di Stoccolma) ma così uniti da un'insoddisfazione interna di giovani che tentano di rompere quella cella dorata in cui si credono prigionieri, sfidando il sistema e, con esso, i massimi rappresentanti di quella società di cui non si sentono parte: i genitori. Ma se nel microcosmo immortalato dalla Coppola, fatto di pseudo-criminali che auspicano a vivere come le star che idolatrano rubandone capi e gioielli, tutto (dalla fotografia accecata da luci stroboscopiche, al lusso sfrenato) si fa specchio riflettente l'ambiente dominato dal culto dell'apparenza di Los Angeles, quello della Adolfsson vive sospeso, in una bolla fredda, gelida. A nulla valgono i caldi tratti cromatici che avvolgono ambienti e personaggi: quello che riveste l'universo delle Barracuda Queens è una coperta di ghiaccio invisibile. Non lo vediamo, ma lo percepiamo: è un avvicinamento mancato da parte dell'occhio della regista a un giro di vite che se da una parte permette allo spettatore di formulare una propria opinione, dall'altro rischia di far sentire il proprio pubblico dimenticato e messo da parte.
Fortunatamente, grazie a performance convincenti (da plauso le interpretazioni delle giovani attrici) e a un montaggio solido e dinamico (per non parlare della colonna sonora anni Novanta) Barracuda Queens riesce a coinvolgere il proprio pubblico, facendolo vittima della rete di rapine e piani fallaci, ambizioni ed esigenze da bambine viziate, di chi non si accontenta del proprio status, ma decide di ribaltarlo dall'interno.
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Giudizi universali tenuti a tacere
È un viaggio breve, ma sufficientemente intenso, quello di Barracuda Queens. Un itinerario nella mente di chi gioca col fuoco, rischiando di bruciare il proprio futuro, in una terra fredda ma illuminata da gioielli e diamanti luccicanti. Dopo sei episodi giocati sul filo di lana, l'epilogo potrebbe lasciare l'amaro in bocca, ma in un universo dove tutto si compra, e l'apparenza si fa specchio per le allodole, è il giudizio altrui - più di quello legale - a pesare come macigni sulla testa di queste ragazze. Non più gli sguardi attenti e indagatori dei detective, e nemmeno quello di genitori che si atteggiano ad adolescenti mancati: a farsi giudice severo dell'operato di queste ragazze è il pubblico, dispensatore di una vox populi che sancirà la sentenza taciuta, e mai mostrata, nei confronti di Lollo e delle sue Barracuda Queens. Un giudizio perentorio, condiviso, di chi è pronto a gettare le ragazze nel buio della vergogna, mentre tutto attorno il mondo brilla di lusso.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Barracuda Queens sottolineando come la serie svedese firmata Netflix metta a disposizione dei propri spettatori tutti i tasselli necessari per tracciare un profilo psicologico di queste Robin Hood sui generis, al fine non solo di emanare un giudizio personale sul loro operato, ma per comprendere le motivazioni interiori che le hanno spinte a macchiarsi di crimini come quelli da loro commessi. Uno stile documentaristico, che non sempre però risulta mordace.
Perché ci piace
- Il far sentire allo spettatore il giudice supremo dell'operato delle Barracuda Queens.
- La fotografia cangiante in base alle situazioni narrate.
- La meticolosità nozionistica della sceneggiatura.
Cosa non va
- La troppa freddezza di racconto a volte non permette ai propri spettatori di essere totalmente coinvolti nella storia.
- Il finale può non essere apprezzato da tutti.