Sapevate che in Barbie c'è anche un po' di Jack Ryan? Un semplice quanto curioso caso di omonimia con il mitico personaggio letterario di Tom Clancy, essendo il Ryan interessato un mitico designer e non un analista della CIA. Si tratta di una figura tra le più storiche e centrali in casa Mattel, leggendaria compagnia di giocattoli dietro alla creazione di brand quali Masters of the Universe, Hot Wheels, Fisher-Price, Polly Pocket e Mega. Siamo nel 1952 e Ryan diventa uno dei designer di punta della società, successivamente responsabile di alcuni dei più grandi successi dell'azienda e assunto per la sua esperienza nel settore aerospaziale, laureato in ingegneria a Yale.
A metà degli anni '50 la corsa alla spazio americana entra infatti nel vivo della rivalità con la Russia, finanziata come non mai dal governo USA e tra le principali divisioni impegnate nella ricerca di materiali resistenti e innovativi. Ryan viene assunto proprio per il suo know how di questi materiali, tanto che diventerà nel corso del tempo anche vicepresidente della sezione ricerca e sviluppo di Mattel, non prima di aver creato però il suo capolavoro con l'altra figura essenziale dietro alla nascita di Barbie, Ruth Handler, cofondatrice della compagnia e anima e intelletto ispiratrice dell'aspetto e del messaggio rinnovatore racchiuso nella bambola più importante del mondo.
Cambio di prospettiva
Se Ryan è la mano che ha disegnato Barbie, la Handler è colei che l'ha pensata. Figlia di immigrati ebrei di origine polacca, nel 1945, a 30 anni, fonda insieme al marito Elliot Handler e ad Harold Matson la Mattel, divenendo una delle prime e più importanti imprenditrici della storia americana contemporanea. Questo non le impedisce comunque di essere discriminata in quanto donna dal partner commerciale e dal marito, considerando che il nome dell'azienda è composto dalle iniziali del cognome di Matson e del nome di Elliot, nonostante fosse stata proprio la Handler e vedere per prima il potenziale di uno sforzo imprenditoriale nel settore della fornitura mobiliare. La Mattel si occupava inizialmente di design d'arredamento (ed ecco spiegata l'assunzione di Ryan), ma durante la Seconda Guerra Mondiale il settore entrò in crisi e il mercato crollò, spingendo la società a dedicarsi alla manifattura di giocattoli, che si rivelò talmente remunerativa da costringere i fondatori a re-indirizzare sforzi e investimenti dell'azienda solo ed esclusivamente in questo ramo.
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Mattel comincia a crescere esponenzialmente e si impone come leader del settore, ma non ha ancora il suo giocattolo-immagine, il game changer che possa rendere la società effettivamente unica e riconoscibile. A questo punto la verità comincia a mischiarsi con le dichiarazioni contrastanti e mai comprovate dei protagonisti della storia, Handler e Ryan, arrivati anche a una disputa legale irrisolta sull'effettiva maternità o paternità del design di Barbie. Inquadrando la nascita del giocattolo in quei tempi dove la realtà imprenditoriale era ancora profondamente sessista, verrebbe da pensare a un'appropriazione artistica semi-indebita da parte di Ryan, ma la realtà parla di una fase ispirazionale della Handler e di una condivisiva con Ryan, tra scambi di idee e battute. Se avete visto Air di Ben Affleck, capirete come il design di un prodotto commerciale nasca da numerosi input differenti e da svariate fasi di brain storming. Per Barbie sarà stato verosimilmente uguale, ma ci sono due famosi aneddoti che legano la bambola soprattutto alla Handler.
Il primo è quello di un viaggio in Germania dove l'imprenditrice restò sorpresa da Bild Lilli, un giocattolo in polistirene ispirato al personaggio di Lilli creato da Reinhard Beuthien per il giornale scandalistico tedesco Bild e commercializzato solo in Germania. La novità che colpì la Handler fu il look adulto ed elegante della bambola, drasticamente agli antipodi dagli altri bambolotti rappresentati come neonati. Il mercato dei giocatoli per bambini era ovviamente concepito e strutturato all'epoca su ideali drasticamente sessisti per cui le ragazzine dovevano essere "instradate" alla crescita dei figli e alle faccende domestiche, motivo per cui la Handler si dice rimase di stucco davanti a una bambola che ispirava a prima impatto un'ideale differente e a cui ambire. L'altro aneddoto racconta invece di come l'imprenditrice venne ispirata dalla figlia Barbara mentre giocava con delle bambole di carta a cui dava spesso dei ruoli adulti. Quale che sia la verità, il fatto certo è che Barbie prese il nome proprio da Barbara è che venne ideata con lo scopo ben preciso di rivoluzionare il settore e cambiare lo standard sessista dell'epoca, non senza errori e criticità.
Un impatto culturale deflagrante
La prima Barbie venne commercializzata sia nel modello biondo che moro, vestita con un costume pezzo unico zebrato. Il claim la presentava come "una fashion model adolescente" e con linea e forme adulte e mature. Questo preoccupò le associazioni di genitori e consumatori dell'epoca, preoccupati di una certa sessualizzazione dell'oggetto e del gioco in sé, tanto che nel tempo Barbie venne modificata diverse volte per rispettare i canoni di pudicizia e decoro del mercato. La bambola fu più volte accusata in età moderna di veicolare un'ideale troppo perfetto e impossibile da raggiungere per le bambine, dipingendo la femminilità esteriore secondo stereotipo maschilista e inadeguato, con il rischio di problematici complessi d'imitazione e disturbi d'alimentazione annessi. Tutto questo prese il nome della Sindrome di Barbie. C'è però da dire che per lo più la bambola è difesa in quanto rappresentazione di una donna forte, sicura di sé e in carriera che non si lascia dominare dall'uomo, che era poi la base del messaggio di riformazione sociale attraverso il giocattolo a cui mirava la Handler.
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Ha persino una sua finta biografia ufficiale e una tonalità di Rosa (il Rosco fosforescente) che ha contribuito alla sue enorme crescita commerciale soprattutto negli anni '90 e divenuto iconico del personaggio. Pensate che per avere una fornitura adeguata di questo rosa, la produzione del film di Barbie di Greta Gerwig ha praticamente esaurito lo scorso anno le scorte mondiali di tale colore. Parlando di Barbie è anche importante sottolineare l'innovazione commerciale dietro alla promozione della bambola, essendo stato il primo giocattolo della storia con una strategia di marketing estensivo attraverso la pubblicità televisiva. Secondo dati del 2006, il successo di Barbie permetteva di vendere tre bambole ogni secondo in oltre 150 paesi differenti, e questo nonostante l'arrivo delle Bratz sul mercato delle fashion doll che nel 2001 mise per la prima volta in seria competizione la creazione Mattel.
A 64 anni d'età (considerando che il 9 marzo del 1959 è sia la sua data di nascita che il primo lancio sul mercato del giocattolo) e dopo aver toccato numerosi medium differenti tra animazione, videogiochi e merchandising di ogni tipo, cambiando per altro continuamente per divenire sempre più ideale d'inclusività aperto a ogni minoranza, Barbie è adesso pronta a debuttare sul grande schermo e in live action interpretata da Margot Robbie, in un lungometraggio visivamente spettacolare e divertente pronto a ricalibrare nuovamente l'immagine del personaggio in un'epopea femminista contro ogni mascolinità tossica ancora esistente, non più di plastica ma comunque fantastica.