Sul web spopolano le opinioni sul film Barbie: c'è chi si scaglia contro e chi lo trova un capolavoro; chi lo reputa geniale e chi superficiale. Tutti ne parlano tra lustrini, brillantini e colori accesi. Eppure nessuno si esprime sull'elefante (rosa, appunto) al centro della stanza che nessuno guarda: la continua tensione verso la morte. Ma come, e la conquista di sé? Della propria indipendenza? Della felicità? Certo, il film presenta anche caratteristiche positive, ma non solo.
Paura, ansia da prestazione, speranze inattese e morte sono tematiche egualmente presenti: non può esserci scoperta del sé senza crisi, non può esserci felicità senza percorso intricato, né vittoria senza conflitto. Ed è per questo che conosciamo il finale di Barbie dal primo attimo. Quello che scuote la tranquilla routine di Barbie è il "pensiero di morte" che inizia ad attanagliarla senza preannunciarsi in alcun modo. Scopriremo in seguito i motivi per cui ciò accade ma, di fatto, la sola possibilità di lasciarsi influenzare dalla negatività di queste idee è un'opportunità per proiettarsi verso l'avventura nel mondo reale che la nostra protagonista affronterà.
La tensione di Barbie verso la morte non è altro che un istinto di vita: i pensieri che la tormentano sono pensieri che immaginano una condizione di vita perché possa esserci una morte. Sono pensieri tipici non di una bambola, ma coerenti con gli impulsi più reconditi di una coscienza che impara a volere di più. Che, se già si sente abbastanza per la sua esistenza attuale, desidera una nuova sfida per misurarsi con un nuovo traguardo da raggiungere. E l'unico modo in cui può ottenere altro è conoscere il mondo e conoscersi meglio. Ma per conoscere e mettersi in gioco serve rischiare. Anche di non esistere più. Almeno non per come ci si è sempre conosciuti. In un modo o nell'altro, Barbie quindi muore, perché solo così può rinascere. Muore la bambola e muore l'idea; rinasce donna, mortale e influenzabile, pronta a sperimentare ed esplorare tutto si sé. Anche la vagina.
Barbie "pensieri di morte"
Inizialmente i suoi sentimenti positivi e la sua routine perfetta da bambola si contrappongono a quelli di chi una vita ce l'ha, ma la trova vuota e poco soddisfacente. È il caso del personaggio di America Ferrera, Gloria, reale creatrice del desiderio di vita come aspirazione e speranza. Perché lei, alla morte, ci sta pensando da mesi, per davvero. Sua figlia, in piena crisi adolescenziale, non parla più con lei; a lavoro non viene ascoltata (né la sua arte viene capita). Due personaggi opposti, che si influenzano a vicenda e ognuna può imparare dall'altra.
Jep Gambardella, direttamente La Grande Bellezza, direbbe "finisce sempre così, con la morte. Prima però, c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore" ... e il rosa e le coreografie, si dovrebbe aggiungere in questo caso.
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La vista ci viene offuscata dai brillantini, i sorrisi e i colori accesi, ma in realtà abbiamo tutti gli elementi per sapere, sin dalla terza scena, che tutto sta per collassare per poter ricominciare. Sappiamo già come andrà a finire, ci sono tutti gli ingredienti per capirlo... ma non riconosciamo la ricetta. Per questo un film del genere, popolare ma profondo, diventa un'opportunità per comunicare qualcosa di emozionante e sottile.
Proseguendo con la narrazione, i "pensieri di morte" diventano in maniera naturale "pensieri di vita", rivolti verso l'aspirazione più alta che possa esserci: l'abbandono della perfezione e la voglia di provare emozioni forti, altalene emotive contrapposte ad una realtà sempre uguale con una routine costruita e noiosa. Proprio come quella di Gloria.
Assaporare la vita ha il suo prezzo: incontrare lungo la strada sofferenza, decadimento e morte. E Barbie questo lo sa bene. Quando chiude gli occhi ad una fermata del bus sorride nell'ascoltare il vento tra gli alberi e le risate dei bambini; ma si emoziona anche davanti alla lite di due innamorati e alla bellezza di un'anziana al suo fianco. Ma andiamo per gradi.
Gloria e Barbie: la connessione col mondo reale e l'alter ego
Tuttavia, una sfumatura importante inerente al pensiero di morte di Barbie sfugge facilmente agli spettatori. Per tutto il film, la connessione tra Gloria e Barbie ci sembra un gradevole escamotage narrativo per far andare la nostra beniamina nel mondo reale e ciò ci porta a perdere di vista un dettaglio fondamentale: le motivazioni di Gloria inerenti ai suoi pensieri di morte.
Ci concentriamo sulla perfezione di Barbie, perfezione prima da preservare e poi da abbandonare, privandola della sua importanza. Poi invece ci concentriamo su di lei, che compie il suo percorso e scopre se stessa, assaporando la vita; alla fine, ci soffermiamo sulle sue emozioni e sulla sua capacità di provare emozioni; ma non ci chiediamo mai nulla sul momento di profondo dolore che intanto attanaglia la quotidianità di Gloria. Eppure, è proprio da lei che inizia tutto. È la vera protagonista. Magari non del film, ma sicuramente della storia.
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Il motivo per cui l'icona di perfezione pensa alla morte è che è influenzata dai pensieri della madre di Sasha, sempre più insoddisfatta e avvilita da una vita stanca, monotona e priva di affetto. Gloria è depressa. E i suoi pensieri di morte sono un presagio che tendiamo a rimuovere velocemente, forse per difesa. Eppure, sono la ricchezza del personaggio che, nella sua sofferenza, trova la forza per esplodere, diventando iconico grazie al monologo di America Ferrera, che riesce a restituire alle Barbie la forza per reagire: parole che risultano una doccia fredda, un'analisi reale del mondo contaminato da figure maschili tossiche e ruoli femminili stereotipati. Un monologo che ha la funzione di un "vaccino" contro il patriarcato.
Non è Gloria a salvare Barbie, è Barbie a salvare Gloria. A restituirle la voglia di combattere e a ricordarle il chiaro legame tra la morte e la vita, tra la sofferenza e la resilienza, tra la depressione e la rinascita. Se Barbie pensando alla morte scopre la vita, Gloria ritrova la voglia di affrontare la realtà aiutandola a non cedere sotto le stesse pressioni di cui soffrono entrambe. L'una è l'alter ego dell'altra. Barbie le restituisce valore ed entrambe si guariscono a vicenda dalla pressione delle aspettative. Il messaggio di speranza di Barbie è molto più ampio e profondo di quanto sembri.
Barbie e la depressione
Quando Barbie scopre che Ken ha portato il patriarcato in Barbieland, la nostra eroina manifesta impotenza e resa, tipiche caratteristiche della depressione, dichiarandosi in attesa che qualche "Barbie più portata per la leadership" faccia qualcosa. È il primo modo per svelare la sua frustrazione nel non essere abbastanza in gamba e di non essere protagonista della sua stessa vita.
"Non essere la leader della propria esistenza" significa non essere in grado di scegliere per la propria vita e di portarsi in salvo da sola. La stessa sensazione che prova Ken dopo i suoi goffi e malsani tentativi di sentirsi importante. Ma con un crollo emotivo ben diverso. Quello che Barbie prova quando si sente immobilizzata dagli eventi è alleggerito allo spot pubblicitario "Barbie depressione". Usare l'ironia aiuta a non appesantire la tematica, molto più profonda di ciò che sembri.
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Il reale significato di Barbie verte in realtà su quello che è espresso in seguito alla gag della pubblicità, ossia la voglia di intervenire sugli eventi esterni che le accadono e su cui non ha il controllo, in modo tale da combattere il suo stato di ansia nei confronti della propria incapacità a reagire che, nei fatti, preannuncia il vero motivo per cui Barbie è un film rivoluzionario: l'importanza della lotta per affermare se stessi, anche di fronte a realtà che ci impediscono di esprimerci per come siamo.
Si riallaccia con la paura di Barbie espressa poco dopo alle sue compagne: nella fase acuta della sua crisi esistenziale il suo vero tormento è quello di non essere "abbastanza intelligente per essere interessante". È la stessa paura che ostenterà Ken poco dopo, reduce da un tentativo di affermazione di sé sbagliato ed eccessivo, impulsivo e rabbioso, poiché anche lui non ha gli strumenti per riconoscersi in qualcosa di appagante e soddisfacente.
Ecco perché scelta di Gloria nel finale di sponsorizzare una bambola dichiarata "ordinaria" non è soltanto un modo per insegnare alle bambine di tutto il mondo a piacersi per come sono senza sentirsi in dovere di avere delle aspirazioni di incredibile evoluzione di sé, ma anche una maniera per fronteggiare il dilagante problema dell'affermazione di sé, riconoscendolo come parte di una quotidianità diffusa molto più di quello che si pensi. Comune, più di quanto si pensi. "Ordinaria", appunto.
Barbie: il significato del film
La connessione tra Barbie e Gloria è palpabile se si decide di svolgere un'accurata riflessione sul senso della bambola. Riflessione a cui siamo spinti sin dal primo frame del film, in cui ci viene spiegato il motivo per cui le bambine hanno bisogno di giocare (con una deliziosa citazione a 2001: Odissea nello spazio).
Il giocattolo ha da sempre un ruolo preciso nella crescita dell'individuo: nella fase di ricerca di sé, diventa fonte di ispirazione, ideale da seguire. Nello specifico, parlando della impostazione della nostra società basata sulla cultura occidentale, le bambole sono sempre servite ad aiutare i giochi di imitazione delle bambine che, nella fase di crescita, interpretano dei ruoli che riconoscono nella loro vita, giocando ad essere adulte e ispirandosi alla definizione più vicina che hanno di adultità: quella rappresentata dalle figure di riferimento.
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È in questo modo che, in età infantile, inizia per tutti noi una fase di ricerca del sé necessaria all' evoluzione del bambino o della bambina, che proseguirà con una crisi di valori e certezze in età adolescenziale che porterà alla ribellione - evidente, nel film, nella giovane Sasha - e poi alla riconferma di determinati valori, rinunciando a quelli in cui meno si riconosce. Criteri di valutazione nuovi per un individuo nuovo.
È il percorso che compie Barbie, che da giocattolo diventa una vera e propria bambina alla scoperta di sé e del mondo, proiettata alla crescita e all'esplorazione del suo sentire, salvandosi da stereotipi, aspettative altrui e frustrazioni legate alla necessità di compiere delle scelte. È la rivoluzione che cerchiamo in tutto il film: non ci sono eroi ed eroine per Barbieland, ma eroi ed eroine per se stessi.
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Nel finale, Ruth, sua creatrice, madre e fonte di ispirazione, le prende le mani e le chiede soltanto di sentire. "To feel". Non le insegna niente: lei ha già imparato cosa la vita sia. A quella fermata del bus, mentre sentiva il vento tra gli alberi e una coppia litigare e l'altra ridere insieme. Mentre scopriva l'importanza dell'imperfezione, che comporta innovazione e rinnovamento, toccando gli abissi della depressione, dello smarrimento e della vergogna e risalendo subito dopo verso la luce, chiudendo gli occhi e riconoscendo la bellezza della vecchiaia nel volto al suo fianco - quello della costumista premio Oscar Ann Roth.
Non è Ruth a regalarle la possibilità di respirare. Non a lei, che aveva già imparato a piangere. Lei le fa il dono dell'unica cosa che le manca per essere se stessa: la consapevolezza. E non è un caso che il suo cuore cominci a battere dopo che il ciondolo sul suo petto - raffigurante proprio un cuore, appunto - inizia muoversi al suono di un respiro che nasce ripensando a ciò che aveva visto nel mondo reale; nasce ispirandosi alla bellezza di un sole che splende in un parco, qualcosa che ricorda di aver assaporato proprio a quella fermata del bus. Trova il suo impulso vitale nella natura che si espande e che le ricorda di averle insegnato a respirare dalle fronde degli alberi in fiore.
Barbie come Pinocchio (e Peter Pan)
In un'odierna versione di Pinocchio che diventa bambino vero grazie alle sue azioni umane, così Barbie diventa donna. Con tutto quello che ciò comporta, e, quindi, con la necessità di rivolgersi ad una ginecologa per scoprire la sua sessualità e con nuove strade da percorrere con nuove scarpe, molto più adatte al suo nuovo piede.
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Non è l'unica citazione che ci viene in mente pensando al finale e all'incontro in un non-luogo con la sua anziana mentore e guida (in uno scenario simile a quello in cui Harry Potter incontra Silente prima di ri-nascere grazie alla pietra della resurrezione). Come in Soul il protagonista scopre quanto il sapore della vita risieda nella scintilla e non nell'obiettivo di essa, così Barbie decide di vivere per il gusto di vivere, conscia che ciò comprenda il litigare, l'inciampare sui suoi scomodissimi piedi piatti inadatti ai suoi amati tacchi, l'invecchiare (e provare quindi quella vecchiaia che ha riscoperto bellissima)e sì, anche il morire.
Ma soprattutto, vivere la vita di tutti i giorni implica lo scegliere. Per se stessi, per gli altri, per contrastare l'andamento degli eventi. Barbie non ha saputo solo salvare Barbieland. Barbie si è finalmente salvata da sola. Come una Peter Pan, che rinuncia all'immortalità e ad essere l'eroe di tante avventure e l'idolo dei giochi, così Barbie si prepara alla sua più grande avventura: vivere.