Arrivato in sala solo due giorni fa, Barbie è già un evento cinematografico di dimensioni enormi a livello globale. Da noi, in Italia, la risposta del pubblico è stata fenomenale: 2,178 milioni al botteghino nel primo giorno di programmazione, secondo solo a Spider-Man: No Way Home negli ultimi tre anni e miglior debutto a luglio, addirittura dal 2010, dopo Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 2 (!). Negli Stati Uniti, invece, si parla di un week-end da oltre 150 milioni di dollari, nonostante l'uscita in contemporanea di un altro dei film più attesi dell'anno, Oppenheimer di Christopher Nolan (da qui la nascita, sul web, della parola-tormentone "Barbenheimer").
La distribuzione nei cinema statunitensi nello stesso giorno di due film così importanti ha rappresentato un vero e proprio evento nell'evento, di cui sentiremo parlare ancora nelle prossime settimane.
Entrambi i lavori sono stati molto apprezzati dalla stampa internazionale ma, rimanendo nello specifico del fenomeno Barbie, come è stato accolto l'atipico blockbuster diretto da Greta Gerwig e interpretato dalla spumeggiante coppia Margot Robbie-Ryan Gosling? Scopriamolo insieme leggendo le opinioni della redazione di Movieplayer (l'articolo sarà aggiornato mano a mano che arriveranno ulteriori pareri). Piccolo spoiler: ci è piaciuto e non poco.
La recensione di Valentina Ariete
[...] Almeno una volta vi sarà capitato di scrollare la home di Instagram senza riuscire a fermarvi. Un gattino e un servizio fotografico in costume dopo l'altro, provando allo stesso tempo disagio - perché, invece di essere lì, su quella spiaggia, siete nella vostra stanza o in ufficio - e senso di colpa, perché, senza che ve ne rendeste conto, è passata mezz'ora e voi siete ancora lì, col telefono in mano. E con meno soldi sul conto, dato che nel frattempo avete comprato quel costume, sperando di metterlo durante vacanze che non potete permettervi e forse quest'anno nemmeno farete. Con un triplo salto carpiato, Greta Gerwig è riuscita nel miracolo: la recensione di Barbie è quasi la testimonianza di un evento più unico che raro. [...]
[Leggi tutta la recensione di Barbie]
Le opinioni della redazione
Via dallo stereotipo (Luca Ceccotti)
Il controverso ideale di perfezione non serve più in un mondo dominato dall'ansia dove persino l'ordinarietà è un lusso, soprattutto per le donne. Barbie si sveste così dei suoi stereotipi affrontando la realtà paradossale della sua esistenza tra complessi e ispirazioni, trasformandosi da bambola in donna con tutte le difficoltà del caso, in primis di ruolo in una società patriarcale.
Basta poco a far scricchiolare un sogno, anche solo l'idea che il mondo sia nato per essere dominato dagli uomini (e dai cavalli!) e che tutto sia a loro asservito. E la verità è che di Ken sbagliati ne esistono tantissimi, con la loro fragile mascolinità, gli esercizi, la spiaggia, il mansplaining, la paura di non essere interessanti, ma di Allan ce n'è uno solo, a rappresentare quei valori che vanno oltre il femminismo tout court e invece legati a questioni di civiltà e parità sessuale. Non vuole smascherare gli orrori del maschilismo ma parlare di emozioni e repressione delle stesse, da un lato e dall'altro del genere.
Barbie è un film profondamente commerciale che incontra lo spirito indie di Greta Gerwig e Noah Baumbach, ibridando uno spettacolo visivo semplice ma ingegnoso nella sua colorata fantasmagoria a una riflessione energica e diretta sulla società contemporanea, tra divertimento ed emozioni, assoluzione della Mattel o meno.
Voto: ☆☆☆☆
Barbie, la storia della bambola più importante e controversa del mondo
Un piccolo miracolo rosa (Antonio Cuomo)
Barbie e Greta Gerwig. Dal primo annuncio sembrava scontato che l'autrice avesse scelto di affrontare la popolare e iconica bambola per portare avanti i discorsi già sviluppati in passato nei suoi film precedenti, a lei cari. E l'ha ovviamente fatto, ma è riuscita a integrarli in un film capace di raggiungere e coinvolgere un pubblico ampio, rendendo un lavoro su temi come ruolo della donna (e di riflesso dell'uomo), patriarcato e capitalismo ancora più preziosi ed efficaci, perché accessibili a tutti grazie ai toni leggeri del film.
Ci si diverte con la Barbie della Gerwig. Lo si fa per situazioni e prove del cast, tutto in parte e al servizio del progetto, anche al di là di Margot Robbie e Ryan Gosling. Ci si diverte e si riflette allo stesso tempo mentre restiamo incantati dalle splendide e plasticose scenografie, mentre sorridiamo nel vedere i costumi che hanno fatto la storia della Barbie giocattolo e gli oggetti che tutti conosciamo, per averli posseduti o soltanto averli visti negli spot tv o nelle vetrine dei negozi di giocattoli. Il Barbie della Gerwig è un piccolo miracolo rosa che l'autrice mantiene in perfetto equilibrio con maestria e consapevolezza della propria cifra stilistica.
Voto: ☆☆☆☆
Barbie è riflessione rosa sulla difficoltà di essere se stessi oggi (Chiara Nicoletti)
Una visione attenta dei trailer di Barbie già lasciava presagire che il film avrebbe criticato e, quando necessario, smascherato il sistema patriarcale in cui viviamo e contro cui combattiamo ogni giorno. Ebbene, alla prima visione, abbiamo avuto conferma di ciò. Attraverso infatti quegli stessi cliché rosa, plastici, troppo sorridenti che hanno circondato non solo Barbie ma le donne, da (quasi) sempre, Greta Gerwig insieme a Noah Baumbach nella scrittura e Margot Robbie in produzione e nel ruolo di Barbie, non solo riescono nell'intanto ma si superano.
Come? Attraverso il Ken dello straordinario Ryan Gosling (già in odore di Oscar) che rappresenta la crisi dell'essere umano di fronte all'incapacità di trovare e ritrovare se stesso, poiché troppo concentrato sulle "cose che pensava lo definissero", la sua adorata Barbie compresa. Barbie è poi un concentrato di omaggi al cinema, è la Elle Woods che ci mancava da tanto ed è una vera ventata di aria fresca e rosa che sta bene con tutto.
Voto: ☆☆☆☆
Un sorprendente, audace connubio tra blockbuster e cinema d'autore (Luca Ottocento)
Muoversi tra le strettissime maglie e i possenti vincoli del blockbuster (Barbie è costato 145 milioni di dollari, ma bisogna aggiungervi circa 100 milioni di spese per il marketing) non è affatto semplice, se l'obiettivo dichiarato è quello di realizzare un film insolito e anticonvenzionale. Greta Gerwig e Noah Baumbach (qui co-sceneggiatore) ci sono riusciti alla grande, compiendo un'operazione che per molti aspetti ha qualcosa di miracoloso: proporre una stimolante e anche profonda riflessione sulla società contemporanea partendo da un brand come quello di Barbie, la bambola più venduta al mondo.
Da questo punto di vista, non temiamo di sbilanciarci troppo nel dire che Barbie rappresenta un vero e proprio unicum nel panorama cinematografico dei blockbuster o di quelli che, in ambito accademico, una volta venivano definiti high concept movie. Per banalizzare a scopo di sintesi, quei film ad altissimo budget pensati per vendere elementi collegati al film stesso nei più disparati contesti, attraverso strategie aggressive ed estremamente profittevoli di marketing e merchandising (gadget, giocattoli, colonne sonore, etc.).
Se infatti l'operazione portata avanti da Gerwig e Baumbach ha certamente l'obiettivo di rivitalizzare il marchio Barbie e far guadagnare miliardi di dollari alla Mattel, soprattutto al di fuori della sala cinematografica, paradossalmente riesce ad essere allo stesso tempo un audace film d'autore su temi importanti e "impegnativi" quali il capitalismo, l'evoluzione dell'attuale società "post-patriarcale", la sessualizzazione del corpo femminile. E tutto questo, lo fa con intelligenza e un notevole senso del ritmo e dell'umorismo. Come dicevamo sopra, siamo di fronte a un piccolo miracolo.
Voto: ☆☆☆☆
Barbie: Greta Gerwig, la Mattel e una missione (quasi) impossibile
Barbie, la super eroina dei due mondi (Damiano Panattoni)
Barbie di Greta Gerwig è esattamente quello che credete che sia. Ma è anche tutto il contrario di come vorrebbe apparire. È un film sulla libertà, e sulla libertà di evadere dallo stereotipo. È un film sull'equilibrio, perché solo con l'equilibrio si può ottenere la giusta consapevolezza capace di andare oltre il femminismo o il maschilismo. Fenomeni sociali fini a se stessi, se non approfonditi e analizzati con le giuste misure. Così, il film, si struttura in un discorso stratificato, che la regista allunga in un viaggio di molte andate e di molti ritorni, tra il mondo reale e il mondo delle bambole. Tutte e due le parti, però, sono la diretta conseguenza di uno squilibrio che altera il mito stesso dell'icona prodotta da Mattel. Per questo, Barbie è l'eroina perfetta di due mondi complementari e paralleli, trasformando la plastica in coraggio, per volare verso un'edificante liberazione. Come Frances Ha, Lady Bird e Jo March in Piccole Donne. Va da sé che Barbie diventa la summa di tutto il cinema della Gerwig, dimostrando che con le parole e con le immagini si può compiere una rivoluzione.
Voto: ☆☆☆☆
Barbie: chi ha paura del patriarcato? (Erika Sciamanna)
Un uragano rosa sta invadendo le sale in questa torrida estate ricca di uscite. Barbie è finalmente nei cinema ma non aspettatevi una commedia come tante perché il film di Greta Gerwig, avvalendosi di una forte impronta autoriale, porta sul grande schermo le tematiche femministe con un linguaggio tanto semplice quanto funzionale. La pellicola sembra avere uno scopo preponderante: quello di spiegare attraverso la figura della celebre bambola e del suo viaggio nel mondo reale, i meccanismi patriarcali che ancora troppo spesso regolano importanti settori della nostra società, metterne in luce gli aspetti più ridicoli mostrando il tutto con coraggio e con la disarmante efficacia di un gioco. La regista confeziona un film divertente e profondo, un'opera a cui penserete anche dopo essere usciti dalla sala e che è destinata a creare quel giusto dibattito utile a misurare anche la salute dei valori della collettività in cui viviamo.
Voto: ☆☆☆☆ ½
Barbie, o come l'idea di perfezione si tramuta in manifesto della rivendicazione umana (Elisa Torsiello)
Forse non tutte da piccole volevamo essere Barbie, ma quasi tutte da piccole volevamo una Barbie. Perfetto prodotto del sistema capitalistico, quella fashion doll nata in casa Mattel nel 1959 allontana le bambine da quel ruolo di madri e moglie perfette innestate in loro dal gioco innocuo delle bambole, per avvicinarle a un senso di femminilità e indipendenza che con il tempo le indirizzerà verso l'accettazione inconscia di uno stereotipo di bellezza imposto dalla società contemporanea. Magra, bionda, statuaria, sorridente: e così, all'alba della pubertà, forse in poche continuavano a volere una Barbie, ma a tante era richiesto di essere come Barbie.
Un ribaltamento sia estetico che psicologico, che spinge quelle ex bambine ad accanirsi verso l'oggetto del proprio gioco, elevandolo a obiettivo da distruggere, quasi nella speranza di annientare il modello di femminilità che esso racchiudeva. Da questo squarcio interiore Greta Gerwig (coadiuvata dalla penna di Noah Baumbach) riesce a capovolgere i sistemi, elargendo come strumento di emancipazione femminile, e di denuncia sulla discrepanza tra uomo e donna, proprio quell'oggetto che ha fortificato la costruzione di un modello stereotipato difficile da raggiungere: la Barbie. Sarà nel momento preciso in cui la Barbie-stereotipo di Margot Robbie toccherà terra con i propri talloni, che la bambola elabora un'auto-coscienza attraverso cui ammantare di umorismo e sarcasmo un universo in cui gli uomini (Ken compresi) vengono trattati con rispetto, mentre le donne arrancano a vivere nel mezzo di giusti compromessi. Plastica e realtà si mescolano, si conoscono e riconoscono, prendendo in prestito i vizi degli uni, in cambio delle virtù degli altri.
Forse ai più potrà sembrare un discorso superficiale (e l'incontro tra creatrice e creatura rischia di scadere in effetti in una filippica ricca di retorica) ma dietro a quel mondo finto, roseo e perfetto di Barbie, si nasconde un saggio amaro sul passato e presente di una società che tenta di evolvere, per ritornare alla fine a vivere sempre nello spazio di un mondo abitato da uomini e donne intenti a trovare un proprio posto nel mondo, siano essi dei Barbie, o dei Ken.
Voto: ☆☆☆☆ ½
Un manifesto femminista forte ma equilibrato (Federico Vascotto)
Si può trasformare la storia della bambola Barbie in un manifesto femminista? Proprio come sembrava impossibile per il romanzo di Piccole donne, per Greta Gerwig evidentemente non lo è. Elemento estremamente importante però, sebbene diretto dalla regista di Lady Bird, il film è scritto a quattro mani insieme al marito Noah Baumbach. I due hanno concepito un film e il secondo figlio insieme ed è proprio grazie a questo doppio punto di vista - femminile e maschile - che ciò che emerge dal film non è un manifesto femminista che tende solamente su un lato della bilancia: gli uomini sono spaesati tanto quanto le donne a causa del patriarcato e di ciò che la società impone loro di essere (o non essere). La crisi d'identità di Barbie la porta a mettere in discussione se stessa e tutto il "mondo dei sogni" in cui vive, e ad intraprendere un percorso nel mondo reale in un vero e proprio viaggio dell'eroina insieme a Ken, che ha perso la propria strada (o forse dovremmo dire la propria "spiaggia"). Questo dualismo, nonostante le apparenze che sembrano propendere per una delle due parti, accompagna la pellicola fino alle sue ultime battute e a quel colloquio chiarificatore e decisivo tra Margot Robbie e Ryan Gosling (eccezionali) nel provare a darsi da fare per trovare se stessi prima di avere un qualsiasi tipo di relazione con gli altri. Che forse è quello che tutti noi dovremmo imparare a fare, soprattutto nella società di oggi, in cui è sempre più difficile essere, o semplicemente esistere.
Voto: ☆☆☆☆ ½
La redenzione di Mattel è un'occasione sprecata (Federica Cremonini)
Nel postmoderno è destino comune a tante icone quello di riuscire a superare i confini del proprio mondo per raggiungerne uno opposto. Come la Giselle di Enchanted, la Barbie di Gerwig e Baumbach è vittima di un sortilegio che la costringe a valicare la plasticosa Barbie Land, dove ogni giorno è parte di un flusso temporale bloccato nel presente (la Midge incinta è eternamente incinta), dov'è sempre festa e dove Barbie Stereotipo può essere il centro di tutto senza avere particolari abilità, se non quella di incarnare la perfezione alla perfezione. Una volta catapultata nel mondo reale Barbie dovrà, come il Buddy di Elf, trovare una persona speciale. Gerwig ha bene in mente le due opere (e chiama persino Will Ferrell), ma opta per una scrittura che non consente il conflitto fra i due universi, assurdi in modo simile, e che rende epidermica ogni possibile riflessione sull'origine culturale del simulacro Barbie e sul suo ruolo nella società. Certo, s'inveisce contro il patriarcato e la mascolinità tossica, ma lo si fa per sommi capi e tentando sempre la via della pacificazione semplicistica. Ciò che conta è il divertimento: Ryan Gosling e il suo Ken, baricentro dell'intrattenimento, rimarranno impressi anche più di Robbie.
Voto: ☆☆ ½
Fake Plastic Film (Simone Soranna)
"Her green plastic watering can/For her fake Chinese rubber plant/In the fake plastic earth". Così cantavano i Radiohead nella monumentale Fake Plastic Trees (1995), e così la penna di Gerwig e Baumbach prova a restituire sullo schermo il disorientamento di una Barbie sull'orlo di una crisi di nervi, o meglio, esistenziale. Il problema del progetto è che, proprio come la sua protagonista e il mondo in cui abita, si tratta di un prodotto colorato, sfavillante, lucidissimo in apparenza ma profondamente vacuo nella sostanza. Tutto è espletato, urlato, strillato come se fosse la pubblicità di un giocattolo. Interpretazione assai interessante se associata proprio al tipo di personaggio al centro della vicenda e alla caricatura dell'azienda a capo del brand. Tuttavia il cinema più fine, intimo, sottaciuto ma al tempo stesso profondo, a cui i due autori ci hanno da sempre abituato, latita non poco. Peccato.
Voto: ☆☆
Barbie alla scoperta di un mondo imperfetto (Giuseppe Causarano)
È stato un lavoro molto particolare quello che Greta Gerwig, regista e sceneggiatrice di Barbie, ha condotto insieme a Noah Baumbach, suo compagno di vita e co-autore del film.
Infatti, l'opera viaggia parallelamente su due binari abbastanza definiti: quello della trama in sé, importante ma non il punto essenziale della pellicola, e la portata complessiva del film, certamente più significativa. La prima lavora in funzione della seconda: i messaggi che Barbie invia al pubblico sono tutti ben calibrati. Tra questi, la riflessione sul patriarcato e sul suo negativo impatto sociale protratto nel tempo; il ruolo purtroppo subalterno delle donne rispetto agli uomini; il desiderio naturale di emancipazione che non dovrebbe essere necessariamente imposto dall'alto, ma piuttosto il prodotto di un percorso di consapevolezza personale che scaturisce dalla libertà degli individui. Così, se anche in un mondo di plastica come Barbieland si può raggiungere la perfetta parità tra i sessi, perché non potrebbe accadere in quello reale?
Barbie suggerisce diversi livelli di lettura: la sfida infinita tra donne e uomini e le sue conseguenze; la confusione che regna sovrana nel mondo degli umani rispetto all'ordine predefinito stabilito da regole ben precise, come accade a Barbieland; la visione limitata dell'esistenza, da una parte di chi non ha mai potuto andare oltre il proprio confine (vedi Barbie e Ken), dall'altra di chi, nel mondo reale, non si è mai interessato al confronto per mantenere lo status quo (ad esempio i produttori Mattel, che altro non sono che la rappresentazione di una certa società arcaica).
Nella sua soltanto apparente semplicità, forte di scenografie, costumi e coreografie di prim'ordine, l'opera della Gerwig, al di là di qualche piccolo difetto, va dritta al punto senza riserve: qualcosa che invece appare sempre più difficile in una società contemporanea che non si ferma mai a pensare davvero, oltre a non guardare le proprie rughe dinanzi lo specchio. Quelle stesse rughe che non sembrano poi così brutte da osservare per una protagonista che si accorge, un passo alla volta, di dover cercare qualcosa di più. Impersonata da una Margot Robbie in stato di grazia come lo è, del resto, anche Ryan Gosling: per entrambi, la candidatura all'Oscar appare già assegnata ma, ciò che più conta, è che soprattutto con attrici e attori del loro calibro che il cinema americano (e internazionale) può ancora sorprendere e far riflettere. Sia Barbie che Ken avranno, adesso, un motivo in più per non essere soltanto degli oggetti inanimati, nella speranza che donne e uomini si rendano conto di valere molto più di quanto spesso il mondo racconti loro.
Voto: ☆☆☆ ½
Un marshmallow che ha dentro un cuore più amaro (Maurizio Ermisino)
In un momento del film, una bambina cresciuta e diventata adolescente se la prende con Barbie, arrivata nel mondo reale. "Fai sentire le donne sbagliate. Hai fatto arretrare il mondo di 50 anni". "Il mio compito è renderti felice, consapevole" risponde lei. Barbie è un riposizionamento: non commerciale, ma valoriale. È un voler trovare a Barbie un posto nel mondo di oggi. Quello dell'inclusività, dell'accettazione delle diversità, dell'empowerment femminile. È una sorta di autocritica per quello che, forse senza volerlo, negli anni la Mattel e il marchio Barbie hanno comunicato. È il loro bisogno di dire "forse abbiamo sbagliato, volevamo dire un'altra cosa. E, se non l'abbiamo detta prima, la diciamo adesso". "Non c'è nessuna donna al comando?", dice una Barbie incredula una volta arrivata nel mondo reale e arrivata al cospetto del consiglio di amministrazione della Mattel. Il cui CEO, un Will Ferrell mellifluo e ingannevole, risponde in modo evasivo: non sa spiegarle il perché, ma le cose stanno così. Barbie, quando arriva nel mondo reale, scopre che è tutto il contrario di Barbieland: i maschi usano i doppi sensi, la guardano in modo malizioso, e dominano un mondo in cui per le donne non c'è il posto che credeva ci fosse. Barbie è una caramella rosa, un marshmallow che ha dentro però un cuore più amaro, più velenoso. È un film satirico, pieno di citazioni e di spunti, che alla fine fa bene il suo lavoro. Solo che ci sembra troppo programmatico, troppo didascalico. È un film più di testa che di cuore, in cui c'è più logica che passione, più costruzione che empatia. È uno di quei film dove i concetti vengono spiegati per filo e per segno, esplicitamente, più che suggeriti e fatti arrivare in modo indiretto al pubblico. E questo fa sì che, al di là del divertimento, anche cinefilo, e del significato, sacrosanto, il film lasci un po' freddi e non conquisti fino in fondo come potrebbe.
Voto: ☆☆☆
Una rivoluzione plasticosa è possibile? (Jacopo Fioretti)
Barbie è una storia di formazione mirata alla scoperta di una profondità con cui deve fare conti un essere (o due) creato solo per rappresentare la superficialità. Questa storia deve poi essere in grado di raccontare l'ingiusto mondo contemporaneo attraverso la critica di un ingiusto mondo distopico. E qui c'è poco da fare: il mondo ingiusto è ingiusto per tutti. Uomini e donne. Si tratta anche del messaggio più bello e significativo del film. Il tutto viene poi innestato sulla destrutturazione di un "testo sacro" del capitalismo nel mondo occidentale e del Nord America nello specifico, amato e odiato dai movimenti femministi che si sono succeduti fino ai giorni nostri, e che ora, per motivi di ricezione commerciale, necessitava di una riattualizzazione. Qui interviene la "missione Mattel": autocritica sincera o compromesso con se stessa comunicato attraverso una visione autoriale solo per poi ribadire la bontà della propria idea? "Una buona idea", come sottolineerebbe Barbie stereotipo. Pleonastico probabilmente. La prova di Greta Gerwig (affiancata alla scrittura da Noah Baumbach) è maiuscola nella misura in cui l'autrice si conferma essere la regista giusta per le pellicole generazionali, intelligente per come porta avanti l'operazione nel suo complesso, che è di difficilissima gestione visti gli obblighi che la sua natura le impone. Non è stupido quindi soffermarsi su quanto fosse il caso di affrontare temi del genere in un film che è nato dentro il Sistema e che deve dunque essere in grado di parlare trasversalmente a tutti quelli che fanno parte del Sistema con un linguaggio del Sistema in un'epoca in cui forma e contenuto sono spesso appiattite. Cosa che tra l'altro riesce a fare, pagandone il prezzo, ma dimostrando tutta la sua potenza. Esente da dubbi di sorta è invece la bontà della sua parte estetica, la gestione dei cambi di genere, la sua componente cinefila (l'intro e i riferimenti a OZ su tutto) e come raccorda le sue star, entrambe meravigliose. Margot Robbie soprattutto grazie a se stessa, consapevole di essere alla prova della carriera, e Ryan Gosling grazie anche a come viene inquadrato e ai momenti fatti su misura, oltre che a beneficiare del "supporto" del'attrice australiana. I difetti non sono solo nei limiti e nelle ambiguità che l'operazione di cui sopra impone, ma sono anche nella gestione dell'equilibrio narrativo, che a volte viene a mancare, nel tono scelto e in alcune trovate di sceneggiatura, ma anche e soprattutto nella risoluzione dei primi due atti in un terzo più debole, confusionario e cedevole, sia dal punto di vista drammaturgico che di coerenza tematica. Al netto di questo, luci e ombre, secondo voi, una rivoluzione plasticosa è possibile?
Voto: ☆☆☆ ½
No... non è solo una bambola! (Alessio Vissani)
Le amichette con le quali si giocava a fine anni Ottanta rispondevano sempre con la battuta "la Barbie non è una semplice bambola" e all'uscita del film la prima battuta che mi è ritornata in mente è stata proprio questa. Un concetto che sicuramente potrà essere utilizzato anche per la pellicola di Greta Gerwig in quanto nonostante i suoi alti e bassi, soprattutto nella parte centrale che ho ritenuto un po' confusionaria soprattutto sul messaggio che voleva farmi arrivare, la consapevolezza di aver visto qualcosa che segnerà una generazione è stata palese. Un film figlio della campagna promozionale infernale? Sì, ma non c'è nulla di cui scandalizzarsi dato che parliamo di uno dei simboli del commercio americano che ha letteralmente rivoluzionato il mondo dei giocattoli. Lo sfondamento della quarta parete (un po' Lego Movie un po' Toy Story) mi hanno subito catapultato sul nocciolo della questione: raccontare uno stereotipo attraverso il simbolo degli stereotipi e non è un caso che la Robbie sia proprio la Barbie Stereotipo. La regista Gerwig attraverso la vita delle bambole ci racconta i suoi temi radicali in ambito di femminismo che emergono con veemenza e senza nessun giro di parole, specie nel finale che appare conciliante solo al livello più superficiale, ma che alla fine ci fa capire che la lotta tra i sessi non è conclusa e mai si concluderà, che l'utopia sarebbe vivere in un mondo equilibrato dove uomini (Ken) e donne (Barbie) collaborino con i medesimi poteri e invece purtroppo siamo ancora lontanissimi da questa situazione e si dovrà ancora soffrire moltissimo prima di arrivare ad un ipotetico grande equilibrio... se mai ci si arriverà. Per quanto riguarda la messa in scena è un film veramente bello, divertente e demenziale il giusto, molto impegnato con una prova attoriale soprattutto da parte di Ryan Gosling al di là di ogni più rosea aspettativa. L'unico cruccio è che con una campagna così massiccia le sale si stanno riempendo di nuove generazioni, fortunatamente, ma che ahimè (almeno alle mie visioni) tutto fanno meno che digerire al meglio questa pellicola con un tasso di distrazione nei punti "importanti" del film che fanno intendere un messaggio non per tutti: difatti abbiamo parlato di una pellicola che diventerà un cult generazionale... ma la generazione non è quella dei millennials.
Voto: ☆☆☆