Forse non tutti conoscono le vicissitudini della bambola più famosa di sempre, delle battaglie che ha dovuto combattere durante i vari decenni e di come la pellicola di Greta Gerwig ripercorra in moltissimi suoi punti le tappe salienti della sua vita. Il Barbenheimer potrebbe rappresentare la "battaglia" tra due film biografici senza saperlo, proprio per completezza di informazioni (considerando le grandi urla che ci sono state per questa pellicola) prima di tutto c'è bisogno di ripercorrere i momenti salienti della giovane vita (presenti anche sul film) della bambola più famosa di sempre.
Alta, bella, bionda, curvilinea, capace di ogni impresa. Iconica. Eternamente giovane. Sono i tratti distintivi della bambola più famosa al mondo, che mai come in questo momento sta vivendo una seconda vita grazie al film magistralmente interpretato da Margot Robbie e diretto da Greta Gerwig. Film che ha spaccato la critica realizzando quello che non si vedeva da moltissimo tempo: il "tifo da stadio" a contorno di un prodotto cinematografico. Per molti ha rappresentato un inno al femminismo, per alcuni un tentativo di mortificare l'uomo e per altri addirittura un bieco insulto alla condizione femminile, insomma una pellicola che ha diviso in tutto e per tutto (andando forse oltre in moltissimi casi) ma se il vero punto focale fosse un altro? Se fosse proprio il racconto di due "biografie" il cuore pulsante delle pellicole di Nolan e della Gerwig? Molti penseranno ad un'altra provocazione, ma la storia reale della Barbie intreccia in modo così importante il film interpretato da Margot Robbie, che le grandi critiche sui simboli all'interno della pellicola dovranno in qualche modo essere riviste sotto la grande dicitura: Biopic.
Barbie: storia di una lotta continua.
Iniziamo con il principio. Il successo di Barbie è figlio della campagna promozionale infernale? Sì, ma non c'è nulla di cui scandalizzarsi dato che parliamo di uno dei simboli del commercio americano che ha letteralmente rivoluzionato il mondo dei giocattoli. Difatti Barbie nasce nel 1959 da un'intuizione di Ruth Handler, moglie del co-fondatore della Mattel, una casa produttrice statunitense che poi diventerà, ad oggi, una delle più grandi potenze commerciali che produce giocattoli e non solo. Negli anni sessanta i giochi per bambine più diffusi erano i bambolotti da cullare e le bambole di porcellana, proprio come si nota nell'incipit del film con citazione a Kubrick. La svolta si ebbe quando Ruth decise di donare alla figlia un gioco con cui potesse immaginarsi nel ruolo di un'adulta, un'operazione di storytelling dove la consumatrice (la figlia di Ruth) doveva rappresentare il fulcro delle idee. Con un'idea geniale tra le mani la Handler propose al marito di avviare la produzione di bambole rivoluzionarie per l'epoca, ma Elliot non fu capace di cogliere il potenziale di quella che si sarebbe rivelata un'intuizione più che fortunata.
Nonostante il rifiuto, Ruth aveva presagito la grande idea che si nascondeva dietro la "nuova bambola" e, prendendo ispirazione da Bild Lilli, bambola svizzera tratta dai fumetti, creò la prima Barbie - con un ringraziamento alla figlia "Barbara", il nome della figlia - facendola debuttare sul mercato americano il 9 marzo 1959. L'ispirazione per la bambola finale fu appunto Bild Lilli, una disinibita escort protagonista di vignette sexy sul quotidiano tedesco Bild, come vi abbiamo raccontato anche nel nostro articolo sulla storia di Barbie. Tuttavia come la Gerwig ci mostra nella intro la rivoluzione delle bambine di passare da un bambolotto di ceramica ad una bambola snodabile, accompagnata da un ampio set di abiti alla moda, è stato epocale, da qui la scelta di accostare questo momento alla scena più iconica del capolavoro di Stanley Kubrick.
Grazie anche alla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti del tempo e alle trasformazioni estetiche e culturali che si sono susseguite nel corso degli anni, Barbie, da giocattolo leggendario, si è trasformata in un modello intergenerazionale. Le avventure con le Barbie hanno rappresentato inoltre nella storia dei giocattoli il primo vero multiverso creato dal vivo, dove più Barbie convivevano in varie situazioni, magari incontrando anche personaggi di altri mondi come Big Jim o He-Man per "coinvolgere" anche i maschietti nelle avventure più disparate. Ma quello che sta accadendo al film è la riproposizione del primo successo storico della bambola per eccellenza. Sì perché per le bambine di tutto il mondo la "Barbie non è una semplice bambola" non lo è mai stata per tutto quello che ha sempre rappresentato e per cui ha combattuto.
Addirittura Andy Warhol, nel 1986, la portò nel mondo dell'arte, consacrandola immediatamente a icona pop e, al contempo, di femminilità alla pari di Marilyn Monroe. Ma non solo arte, la Barbie nei suoi primi anni di vita incarnava alla perfezione la rivoluzione delle donne (anche se non sempre è stato così), il suo successo era legato ai look più stravaganti che indossava e alla libertà con cui le bambine potevano abbinare capi e accessori per esprimere la loro creatività. Barbie infatti nasce in un'economia che prospera e che sta all'apice della sua rinascita, la guerra appare ormai memoria lontanissima e ciò che ne è rimasto, la sua industria, si è fatta lezione e cultura del consumo. La classe media negli Stati Uniti sta bene e difatti la bambola inizialmente è rivolta alla classe media, dove la ricchezza del suo guardaroba, dei suoi accessori, auto o case ne sono l'esempio più lampante. Tuttavia, nonostante viva in un mondo perfetto e ricchissimo, si cerca di far passare il messaggio che Barbie potrebbe essere la classica ragazza della porta accanto.
La guerra contro Barbie e le sue "rivoluzioni" fisiche.
La prima interrogazione da parte delle femministe degli anni settanta/ottanta fu proprio sullo stereotipo del suo fisico: stando al rapporto di scala 1:6 applicato al suo mondo, Barbie nella realtà sarebbe alta 175 cm, avrebbe 91 centimetri di seno, 46 di vita, 84 di fianchi. La sua bilancia nel 1965 segnava poco meno di 50 chili, in evidente sottopeso (Estratto dal libro "Barbie, la Venere di plastica" di Valeria Arnaldi). E' l'inizio della particolare guerra da parte di alcune categorie di femministe che individuavano in quel giocattolo, fino ad allora ben voluto da tutti, il simbolo di secoli di sottomissione, sintesi dei pregiudizi moderni. A rendere ingannevole il messaggio per moltissime donne, all'epoca, è in primis la "confezione" (vi dice nulla?): una donna sorridente, "ammanettata" da fascette di plastica che attraverso la trasparenza mostrava felicità e gioia. L'animo da rivoluzionaria è custodito nel corpo di una pin-up perché Barbie è esageratamente bella, un corpo ostentatamente sensuale, evidentemente appagata da sé e spensieratamente vanitosa. Una battaglia tuttavia che nasce più dalle esigenze dei genitori rispetto alle bambine stesse, che non hanno mai denunciato le "inesattezze etiche" della propria bambola preferita. E' per questo che dopo vari decenni la Barbie cambia temperamento e si fa più ambiziosa trasformandosi in un giocattolo ispirazionale per giovani bambine di tutto il mondo: diventa medico, astronauta, donna in carriera, un'atleta formidabile, una rockstar e persino presidente degli Stati Uniti d'America.
Finisce qua la sua rivoluzione? Assolutamente no. Barbie continua a far paura ai genitori e agli adulti (quanti rimandi ancora con il film) e dopo che il mondo della moda ha portato con sé l'immagine malsana di canoni estetici impossibili da incarnare, ecco che anche Barbie inizia (anzi deve) "fisicamente" a cambiare. La richiesta di un maggiore realismo con il mondo esterno toglie a Barbie il privilegio del suo passo eternamente in punta (uno dei focus principali del film) portandola a una terrena, e più anonima, pianta piatta. E la fa uscire sconfitta dalla sfida condannandola ad allargare i fianchi e la vita, togliendole infine anche qualche centimetro di altezza per renderla meno "spaventosa" nella sua irrealtà comunque apprezzata e desiderabile. Il cambiamento è alla base del film con Margot Robbie che ripercorre queste fasi salienti della "vita della bambola" raccontando i temi radicali, in ambito di femminismo, che emergono con veemenza e senza nessun giro di parole.
L'universo di Barbie non si ferma qui: è infinito e non conosce limiti. Ecco che, allora, debuttano sul mercato bambole che rappresentano le donne di tutto il mondo con differenti tonalità di pelle, costumi e forme del corpo, con capelli lunghi, corti o calve, con la vitiligine, con arti artificiali o in sedia a rotelle cercando di racchiudere al meglio decenni di "giochi" e avventure attraverso un unico assioma: la lotta tra i sessi non è conclusa e mai si concluderà e che l'utopia sarebbe vivere in un mondo equilibrato dove uomini (Ken) e donne (Barbie) collaborino con i medesimi poteri. Barbie, proprio per questa sua intrinseca profondità, è un film sorprendente e dona più di quanto non sarebbe lecito aspettarsi da una pellicola su una bambola per bambine. La straordinarietà di Greta Gerwig, attraverso il suo film "biografico", è stata proprio quella di aver raccontato tutte le fasi principali della vita della bambola in modo pulito e lineare, cercando di eccedere sui contrasti come era giusto fare e per concludere in difesa di questa pellicola, a discapito dei tanti odiatori seriali, c'è proprio la storia della Barbie stessa.