Soffia il vento sulla sabbia arida, sulle foglie gialle. Soffia il vento caldo, e scopre le increspature di un mondo lontano, inaccessibile al pensiero orientale, e per questo volutamente sconnesso rispetto al nostro sguardo. Che sia uno sguardo critico, o uno sguardo spassionato. Lo stesso sguardo (interessante, non c'è che dire) della regista senegalese-francese Ramata Toulaye Sy, che al suo film d'esordio, Banel & Adama, gioca con la geografia umana e con la geografia colorata, fendendo il panorama africano (siamo da qualche parte in Senegal) di accese tonalità cromatiche: il viola, il giallo, l'azzurro, il verde smeraldo.
Un gioco estetico di compiaciuta bellezza, per un contrasto focale, e umorale. Del resto, Banel & Adama, presentato in Concorso a Cannes 2023, è la più classica delle opere prime di un potenziale autore. Anzi, in questo caso, di un'autrice. Ramata Toulaye Sy tiene ai suoi personaggi, tiene alla cornice, misura il volume restringendo al massimo l'istinto e la pancia, e quindi rendendo celebrale (a volte eccessivamente) l'attesa della pioggia da parte di due protagonisti innamorati, che sussurrano come fossero una cosa sola i loro due sonori e in qualche modo biblici nomi. Appunto, Banel e Adama.
In attesa della pioggia
Senza dubbio, quello di Ramata-Toulaye Sy è un film che dimostra un certo talento. La regista, classe 1986, diplomata alla prestigiosa "La Femis", mette fin da subito le cose in chiaro, senza nascondere mai il manierismo estetico che accompagnerà l'opera, e quindi già di controluci, di dettagli, di mani che si incrociano, di sospiri e di campi larghi, che indugiano su un paesaggio ancestrale e brullo, eppure reso una specie di boutique scenica. Al centro della storia, l'amore intenso tra Banel (Khady Amane) e Adama (Mamadou Dallo). Un amore intenso, vissuto ancora più intensamente da Banel, che altro non vuole se non passare il tempo con lo sposo, oltre che prendere di mira povere creature con la sua mazza fionda, quasi a respingere qualsiasi forma di vita se non quella di suo marito.
Quello sposo che rifiuta il suo destino di capo villaggio, provocando le ire del villaggio e il malcontento della madre. Perché ci sono degli obblighi, delle leggi centenarie, radicate in una cultura lontana, oltre che suggestiva e decisamente controversa. Da una parte l'amore, dall'altra un rifiuto. Lo stesso rifiuto che porterà, secondo le credenze, una terribile siccità, minacciando l'esistenza stessa del villaggio.
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Solo estetica?
Banel & Adam, dunque, è una sorta di fiaba africana, estetizzata da Ramata-Toulaye Sy in un cinema indubbiamente elegante, nonché raffinato e meticolosamente diluito al millilitro. Una struttura senza grinze, corretta nelle regole visive (gira che ti rigira il paragone va sempre lì: Terence Malick), e persino brutale nelle svolte che, con coraggio, non si preoccupano di rendere Banel una protagonista a volte respingente, fuori giri nella sua repressa (ma giustificata) infelicità, nella sua incompiutezza.
Eppure, mentre le impeccabili sequenze vengono musicate da una colonna sonora al naturale (il vento, gli uccelli), lo stesso scenario africano diventa fin troppo prestabilito, e artificiosamente strutturato per quell'apparenza che, inevitabilmente, supera la sostanza. Anche perché, come detto all'inizio, la sostanza ci sarebbe. A cominciare dal potente simbolismo relativo alla siccità, e dunque alla fertilità, e di conseguenza nella stilizzazione della figura femminile. Un accenno troppo fugace, e sacrificato in nome di un'estetica enfatizzata ma scollegata dall'assordante dramma messo in atto.
Conclusioni
Banel & Adama, come scritto nella nostra recensione, è un esordio interessante, nonché elegante nella sua struttura. Tuttavia, l'eccessivo sguardo estetico penalizza la sostanza di una storia potente nella suo sommesso linguaggio, e quindi poco propensa al mezzo narrativo.
Perché ci piace
- Le scelte cromatiche, ma forse fini a se stesse.
- La metafora della siccità...
Cosa non va
- ... non troppo sviluppata.
- L'estetica affascina, ma è alla lunga ridondante.