"È bello essere qui. È stato molto bello per noi potere esprimere il nostro empowerment". Sulla terrazza più alta del Palais, finalmente illuminata da un caldo sole primaverile, incontriamo Ramata-Toulaye Sy, regista di Banel & Adama, insieme ai protagonisti del film, Khady Maine e Mamadou Diallo. Tre esordienti, e un'accoglienza calorosa per la pellicola africana presentata in Concorso. Come scritto nella nostra recensione, la storia racconta di due innamorati che vivono in uno sperduto villaggio del Senegal, attanagliato dalle rigide regole sociali e, soprattutto, da una drammatica siccità. L'alchimia tra Khady Maine e Mamadou Diallo è fortissima, nonostante siano dei completi debuttati. "Nel film ci sosteniamo a vicenda, siamo più a nostro agio l'uno con l'altro, anche se non ci conoscevamo", raccontano i due attori a Movieplayer: "Quando ci vedevamo parlavamo molto. E man mano che andiamo avanti abbiamo costruito un legame forte".
L'aspetto estetico, tra i colori e i costumi
L'aspetto estetico del film è molto forte, dunque chiediamo alla regista come ha lavorato sui colori e sui costumi: "Abbiamo lavorato con un direttore artistico. Quello che volevamo veramente era costruire qualcosa di visivo, qualcosa di artistico. Ci siamo ispirati molto ai quadri dei grandi pittori perché avevamo un'idea chiara di ciò che volevamo. Volevamo che la messa in scena seguisse il percorso emotivo di Banel. All'inizio la protagonista è felice, quindi è molto colorata, molto bella, con colori pastello. Più il suo cuore si asciuga, più l'immagine diventa bianca e desaturata. E anche con i costumi. I costumi cambiano colore, li abbiamo colorati man mano. Tutto questo è un'idea del direttore artistico e abbiamo cercato di trovare dei colori armoniosi. Adama all'inizio è in nero perché si ribella. E poi, a poco a poco, quando torna alla sua famiglia, alla comunità, diventa blu come gli altri. Ecco, tutto è stato costruito in modo molto ponderato tra la regia, la scenografia e il direttore artistico".
Cannes 2023: da Indiana Jones a Scorsese, i 15 film più attesi sulla Croisette
Le ispirazioni
Le influenze principali per il film sembrano arrivare principalmente da Terrence Malick, ma non solo. "Tutti mi parlano di Terrence Malick all'inizio! Ma un altro riferimento è anche 'Re della terra selvaggia' di Benh Zeitlin. Sfrutto la natura con la voce fuori campo. Ma ci sono anche molti riferimenti letterari. Penso a Maya Angelou, o a Toni Morrison. Quindi ho davvero molti riferimenti letterari, pittorici e cinematografici".
Tra i temi del film c'è il destino: "Tutti crediamo nel destino perché siamo musulmani, siamo di fede musulmana e siamo credenti. E nella nostra religione il destino ha un posto importante. Infatti, bisogna credere nel proprio destino. Il nostro destino è già scritto. Bisogna solo buttarsi nella vita", spiega la regista. Khady Maine e Mamadou Diallo, invece, si soffermano sul loro approccio al copione: "Non capivamo l'importanza di un copione, perché non avevamo mai visto un copione. La regista ci ha spinto a leggerlo come un testo, e non come una sceneggiatura. Le riflessioni sono arrivate dopo".
"Amo il cinema italiano!"
In chiusura, Ramata-Toulaye Sy ci dice la sua sul cinema italiano: "Mi piace molto il cinema italiano perché è un cinema barocco. È un cinema audace e satirico allo stesso tempo. Ed è divertente. Ho rivisto 'Otto e mezzo' e 'La dolce vita'. Sono film che mi hanno ispirato e che mi aiutano a dire a me stessa che possiamo andare lontano, possiamo creare. E poi amo la letteratura. Ecco, penso che gli italiani abbiano qualcosa di audace. Sono come i pittori in realtà, riescono a creare cose".