Babylon di Damien Chazelle è la prova provata di quanto il successo commerciale non sia indice di qualità. Potremmo anche prenderlo come esempio rispetto al valore della critica americana, spesso permalosa quando il cinema hollywoodiano viene sbugiardato, smitizzato e, perché no, anche ridicolizzato. Lungi da noi fare confronti, ma la libertà di pensiero e di veduta con cui è stato accolto Babylon al di fuori degli Stati Uniti, non è paragonabile all'ostracismo mostrato in America. Con un budget di 78 milioni, Babylon ne ha infatti incassati 63 in tutto il mondo, con appena 15 milioni in Patria.
Le critiche americane, come detto, non sono state benevole (che poi, a leggerle, ci si rende anche conto di quanto gli americani siano settati in compartimenti stagni, incapaci di trovare le sfumature), facendo affossare un film, per noi, strepitoso. Mentre ci risuonano ancora in testa le trombe sincopate della colonna sonora jazz di Justin Hurwitz, siamo qui a comporre un'ode tardiva a Babylon in occasione dell'arrivo su Netflix: lo streaming, in quel marasma di uscite, è uno strumento indispensabile capace di ridare vita a titoli ingiustamente passati inosservati.
Babylon, un grande film incompreso
Inosservato e, aggiungiamo, incompreso. Nonostante il cast, da Brad Pitt a Margot Robbie, e nonostante la puntualità estetica di Damien Chazelle, Babylon ha subito una sorta di rifiuto, venendo additato di essere incoerente (come se l'arte debba essere coerente), nauseante, autocompiaciuto. Ci penserà, dopo l'uscita, Stephen King a valorizzare giustamente il film, definendolo "uno di quei film che riceve recensione negative, venendo poi acclamato come classico 20 anni dopo". Niente di più vero, anche perché Babylon, racconta un'epoca di mezzo, fotografando in modo tanto romantico quanto spietato un immaginario messo in crisi dall'innovazione: tra i party orgiastici di Rodeo Drive e i colossal girati negli Studios, Chazelle racconta di un divo del cinema che non trova più posto all'interno di una babilonia effimera, pettegola e bestiale.
Al centro di Babylon il cambiamento che ha ribaltato il cinema: l'avvento del sonoro. Siamo alla vigilia della première de Il cantante di jazz - primo film sonoro della storia, datato 1927 - che getterà nel panico quelle star abituate solo al corpo e non alla voce. In questo senso, Babylon mette sullo stesso piano la figura di Jack Conrad alias Pitt, figura emblematica di una cinematografia fascinosa ma ormai scaduta (per noi, Conrad è uno dei migliori personaggi della cinematografia recenete), e quella di Nellie LaRoy aka Margot Robbie, attrice moderna che riesce a piangere a comando, generando un cortocircuito produttivo che non aveva mai considerato l'emozione come parte integrante dell'arte cinematica.
In mezzo, il vero protagonista che, a guardar bene, va a rappresentare lo stesso Chazelle, nonché la purezza del pubblico nei confronti di un'industria spericolata e pericolosa. Parliamo di Manny (Diego Calva), immigrato messicano innamorato del cinema e della sua potenza progressista, egualitaria e liberatoria. Espressione straordinaria di un finale degno di un classico di Hollywood.
Dall'avvento del sonoro alla minaccia dell'AI
Se di esempio parlavamo, Babylon è allora l'esempio dei giudizi polarizzati, che non lasciano spazio alla visione, alla soggettività, alla comprensione. Macroscopici insiemi in cui il brutto ed il bello non vengono approfonditi, né spiegati. Frutto di un'attenzione da parte del pubblico (e probabilmente da parte della critica) sensibilmente assottigliata, poco paziente davanti opere mastodontiche che arrivano da registi relativamente giovani, di cui pare non si aspetti altro che la caduta. Un gioco generazionale molto simile a quello rivisto da Babylon, tra vecchio e paura del nuovo. "È bello avere qualcosa che stimoli la conversazione e il dibattito, generando opinioni feroci da entrambe le parti. Sapevamo tutti che il film avrebbe irritato e fatto arrabbiare qualcuno, e penso che sia una cosa positiva. Più film dovrebbero farlo", dirà Chazelle, dopo la release, prima di allontanarsi da Hollywood per un po' (facendo tappa in Italia diverse volte) per scrivere il suo nuovo film, ancora targato Paramount, che dovrebbe uscire nel 2025.
Del resto, se l'ardore, l'eccesso e la follia sono la scorciatoia immediata, dietro il film di Chazelle c'è molto di più. Innanzitutto, è una fotografia epocale, che scavalca i libri di storia (a proposito, leggete Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, una sorta di traccia ispirante per Chazelle), sottolineando quanto l'industria sia spesso impreparata davanti ai cambiamenti. Un parallelo che torna anche oggi: il cinema pare in balia di un cambiamento irreversibile, indotto dalla distribuzione streaming (che ha alterato i canoni estetici della stra-grande maggioranza dei casi) e soprattutto dall'avvento incontrollato dell'AI, che minaccia la creatività e l'originalità degli autori e degli interpreti. Per questo, opere come Babylon, conseguenza di una visione e di una personalità, andrebbero capite e raccontate nel modo migliore, senza permalosità (e protagonismo) intellettuale che tenga.