26 agosto 2010. Ad Avetrana, piccolo comune del Salento settentrionale, la quindicenne Sarah Scazzi scompare nel nulla. La cugina Sabrina Misseri e un'amica comune l'aspettavano nella villetta di via Grazia Deledda per andare al mare. Un pomeriggio estivo che doveva essere simile a tanti altri segna, invece, l'inizio di uno dei casi di cronaca nera più mediatici della storia italiana. Sarah sarà ritrovata cadavere in fondo a un pozzo di raccolta delle acque di Contrada Mosca, nelle campagne circostanti, quarantanove giorni dopo la sua sparizione. Ora una serie, Avetrana - Qui non è Hollywood, ripercorre quegli avvenimenti.
Avetrana e un'ossessione collettiva
Presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e in esclusiva su Disney+ dal 25 ottobre, la serie è diretta da Pippo Mezzapesa e scritta dallo stesso insieme ad Antonella W. Gaeta e Davide Serino con il contributo di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, autori del libro Sarah la ragazza di Avetrana (Fandango) da cui il titolo prende spunto. Quattro episodi da un'ora, ognuno raccontato dal punto di vista di uno dei protagonisti della storia, Sarah, Sabrina, Michele e Cosima, interpretati rispettivamente da Federica Pala, Giulia Perulli, Paolo De Vita e Vanessa Scalera. Nel cast della serie prodotta da Matteo Rovere per Groenlandia anche Anna Ferzetti nei panni della giornalista Daniela, Giancarlo Commare in quelli di Ivano e Antonio Gerardi in quelli del Maresciallo Persichella.
Se, nelle prime ore successive alla sparizione, l'idea più diffusa fosse quella di un allontanamento volontario, con il passare dei giorni iniziano a farsi strada ipotesi molto più sinistre. Allo stesso tempo la cittadina di poco più di sei mila abitanti viene invasa dalle televisioni (e dai curiosi) di tutta Italia.
Chi era abbastanza grande da ricordare quei giorni non avrà dimenticato l'ossessione collettiva, i titoli dei giornali, le dirette televisive. Un'ossessione morbosa che, spesso, dimenticava le regole deontologiche e, pur di "arrivare prima", era disposta a tutto. Ma è anche vero che alcuni protagonisti di questa storia quel clamore, quell'attenzione, quelle richieste all'inizio non le hanno affatto disdegnate, finendo per alimentarle.
Il ruolo del mass media
Com'era scontato che fosse, Avetrana - Qui non è Hollywood ha suscitato forti reazioni fin dall'annuncio della sua produzione (con tanto di presa in giro per la locandina ritenuta troppo simile a Omicidio all'italiana di Maccio Capatonda). Troppo presto per alcuni, priva di rispetto per altri. Eppure non è il primo caso di cronaca nera a essere raccontato sul grande o piccolo schermo. Senza pensare poi alla cinematografia o alla serialità anglosassone o d'oltreoceano.
Ma se si vuole circoscrivere l'esempio solo all'Italia basti pensare a Yara di Marco Tullio Giordana, film incentrato sul caso Gambirasio. La verità è che prima di dare giudizi dovremmo vederla per sapere come un fatto così doloroso sia stato trattato. Stando però al libro dal taglio giornalistico di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, dalla firma produttiva (sinonimo di attenzione e dedizione) di Matteo Rovere e dalle prime immagini così minuziose nella ricostruzione di quei giorni, fatichiamo a pensare che Avetrana - Qui non è Hollywood non sia stata attenta alla componente umana.
E, stando a quanto trapelato finora, la serie sarà anche molto incentrata nel raccontare il ruolo dei mass media in quello che è diventato un vero e proprio reality show macabro e grottesco.
La banalità del male
Mentre, lo scorso febbraio, Michele Misseri è uscito dal carcere e continua a dichiararsi colpevole (dopo undici versioni diverse, una prima confessione poi ritrattata e l'accusa ai danni della figlia), Sabrina e Cosima, che si professano innocenti, sono state condannate all'ergastolo nel 2017 con una sentenza della Corte suprema di cassazione.
Le indagini hanno concluso che l'omicidio di Sarah - il cui corpo è stato ritrovato in diretta tv nel corso di una puntata di Chi l'ha visto? in cui era ospite, in collegamento, la madre della ragazzina - è maturato attorno alla gelosia di Sabrina per Ivano Russo, cuoco della zona, e per le attenzioni che la cugina riceveva da lui. La frase che accompagna il titolo, Qui non è Hollywood, comparsa all'epoca dei fatti su un muro della cittadina pugliese, racchiude alla perfezione il circo mediatico, la follia di persone comuni che visitavano i luoghi del crimine in una sorta di pellegrinaggio macabro e l'invasione nella sfera privata perpetrata da tv e giornali.
Il brano che accompagna i crediti finali della serie, scritta e interpretata da Marracash si chiama La banalità del male. Un titolo che rimanda al celebre saggio di Hannah Arendt ma che fa pensare anche alla banalità del movente che ha portato alla morte di Sarah e alla banalità di noi come esseri umani, così desiderosi di sbirciare dal buco della serratura nelle vite degli altri, di scoprirne i segreti più intimi e spingersi fino alle soglie delle loro case per una foto ricordo o un'esclusiva.