"Parte del viaggio è la fine", disse Tony Stark nel primo trailer di Avengers: Endgame, il ventiduesimo lungometraggio del Marvel Cinematic Universe, arrivato nelle sale italiane il 24 aprile. In questo articolo vi daremo la nostra spiegazione del finale di Avengers: Endgame, analizzando il film nel dettaglio. Pertanto, a differenza della recensione del film, questo articolo sarà pieno zeppo di spoiler . A lungo annunciato come il tassello finale della Fase Tre del franchise, il film dei fratelli Russo è in realtà il penultimo (il vero epilogo, come annunciato da Kevin Feige, sarà il prossimo episodio delle avventure in solitario di Spider-Man, in uscita a luglio). Ciò non toglie che la quarta avventura degli Avengers sia, a suo modo, la conclusione di un primo, lungo ciclo del MCU, durato undici anni. Un ciclo che, come annunciato più volte dai diretti interessati, arriva a una specie di capolinea, suggerito anche da quel titolo che contiene la parola end, fine. Il franchise andrà avanti, ovviamente, ma non sarà più lo stesso.
I am Iron Man: la morte di Tony Stark
Partiamo dall'elemento più tragico di Avengers: Endgame, ossia la morte di Iron Man, che per sconfiggere definitivamente Thanos usa la propria armatura come Guanto dell'Infinito e schiocca le dita, eliminando definitivamente il Titano pazzo e le sue armate. Questo gli costa però la vita, a causa dello sforzo sovrumano necessario per usare tutte le Gemme dell'Infinito nello stesso momento (lo stesso Thanos è quasi morto dopo essersene servito due volte, e Hulk ha il braccio destro fuori uso dopo un singolo utilizzo per riportare in vita tutte le vittime della Decimazione). Al di là dell'ovvia spiegazione a livello produttivo, con il contratto di Robert Downey Jr. in scadenza, era proprio necessario ucciderlo? Una domanda lecita, dato che sarebbe stato possibile continuare a far apparire Stark come semplice comprimario, in quanto mentore per la prossima generazione di Avengers come già lo era stato per Peter Parker in Spider-Man: Homecoming. Che uno dei due leader della squadra dovesse compiere il sacrificio definitivo era abbastanza scontato, e molti - anche noi - avevano ipotizzato uno scenario più ineluttabile per Steve Rogers.
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Invece, col senno di poi, sia nel contesto del film stesso che nell'evoluzione di Tony Stark nel corso dei vari capitoli del franchise, risulta abbastanza logico che dovesse essere lui a passare a miglior vita. E il motivo più succinto sta nella frase che lui usa per schernire Thanos, dopo che questi, dicendo "Io sono ineluttabile", schiocca le dita, convinto di stare per distruggere l'intero universo. La risposta di Stark, dotato del vero Guanto dell'Infinito, è la seguente: "E io... sono... Iron Man!" Una frase che ha ripetuto più volte nel corso della saga, a partire dal finale del primissimo lungometraggio del franchise, e che fu anche la memorabile chiusa di Iron Man 3, inizialmente concepito come addio cinematografico del personaggio, spogliato di (quasi) tutte le sue mirabolanti invenzioni. La battuta finale, in quel caso, doveva essere "I am Tony Stark", ma si decise di ripescare la frase più celebre del playboy, per sottolineare da un lato il suo ritorno in scena negli anni successivi e dall'altro l'inscindibilità di Stark e del suo alter ego, anche senza armatura. Un concetto ribadito in Captain America: Civil War, dove Tony ammette di non riuscire a smettere di essere Iron Man, motivo per cui accetta gli Accordi di Sokovia: non dovrà andare in pensione, ma il governo limiterà le sue attività in costume.
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Padri e figli
Grazie agli Accordi, Tony Stark era riuscito a riconquistare l'amata Pepper, la quale dice nel nuovo film "Cercare di farti smettere è stato uno dei pochi fallimenti della mia vita." Stark non può rinunciare alle invenzioni costanti, e anche quando agisce per il bene degli altri lo fa con un secondo fine, come nel caso degli Accordi o, caso ancora più eclatante, la sua partecipazione al viaggio nel tempo per riportare in vita le vittime della Decimazione: conditio sine qua non affinché lui accetti di perfezionare la tecnologia necessaria è che gli eventi degli ultimi cinque anni - nella fattispecie, l'esistenza di sua figlia - rimangano invariati. Come dice a Rogers, la sua seconda chance dopo le azioni di Thanos l'ha già avuta. E poi, nel 1970, mentre si impossessa del Tesseract, Tony incontra il proprio padre, Howard, il quale spera di avere una figlia per evitare il problema di un erede maschio troppo simile al genitore (Tony nascerà circa un mese dopo). "Quale sarebbe il problema?", chiede Stark sotto mentite spoglie. Howard risponde "Non ho mai anteposto il bene comune al mio egoismo."
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Molto probabilmente quella frase riecheggia nella testa di Tony, che già in passato è stato accusato, proprio da Rogers, di non essere in grado di compiere gesti puramente altruistici. E così, sul campo di battaglia, quando tutto sembra nuovamente perduto, il suo sguardo incrocia quello di Stephen Strange, nell'inquadratura che forse è la più straziante di tutto il film (soprattutto alla seconda o terza visione, quando si sa già cosa sta per accadere): il mago, che in Avengers: Infinity War permise a Thanos di vincere per salvare la vita di Stark, alza un singolo dito, simbolo dell'unico scenario, su milioni che lui aveva visto tramite la Gemma del Tempo, in cui il Titano perderà. L'unica soluzione possibile: "I am Iron Man." Stark antepone il bene di tutti alle proprie preoccupazioni, e sua figlia Morgan crescerà sì senza padre, ma in un mondo teoricamente migliore, e senza dover fare i conti con un genitore ossessivo la cui dipendenza da tecnologie varie ha più volte rischiato di distruggere tutto e tutti. "Adesso ti puoi riposare", dice Pepper a Tony, che muore da eroe pur avendo vissuto abbastanza a lungo da essere a volte diventato (quasi) cattivo.
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I am Steve Rogers
Diverso il discorso per Steve Rogers, che ha sempre preferito la sua vera identità all'appellativo da supereroe: basti pensare a Captain America: The Winter Soldier, dove il suo appello al buon senso degli agenti dello S.H.I.E.L.D. per sconfiggere l'Hydra inizia con "Qui parla Steve Rogers", o alla battaglia di Wakanda lo scorso anno, dove risponde con il nome di battesimo alla frase "I am Groot". Certo, in quel momento non era più ufficialmente Captain America, ma proprio quell'atto di rinuncia all'uniforme basata sulla bandiera americana era parte integrante della sua evoluzione: nato come strumento di propaganda, ma pur sempre nel contesto di una guerra nella quale egli credeva, Rogers non ha mai esitato a fare ciò che è giusto, ivi compreso ribellarsi a un governo in cui non credeva più. Dopo la Decimazione, la disobbedienza è anche nei confronti delle proprie parole, come spiega a Natasha Romanoff quando parla del gruppo di sostegno di cui è coordinatore: "Io continuo a dire alle persone di voltare pagina. Alcuni lo fanno. Ma noi no." Solo che per lui il rifiuto di voltare pagina non riguarda solo le malefatte di Thanos, ma ha radici ben più profonde, vecchie di parecchi decenni.
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L'indizio maggiore su come si sarebbe concluso l'arco narrativo di Steve Rogers ce l'avevano fornito proprio i Russo, nel loro primo film Marvel: in tale occasione, Rogers ritrova l'amata Peggy Carter, ormai anziana e affetta dal morbo di Alzheimer. Quando parlano dei rimpianti rispettivi, lei gli dice la frase che è stata usata anche nel secondo trailer di Avengers: Endgame: "Il mondo è cambiato, e non possiamo tornare indietro. Possiamo solo fare del nostro meglio, e a volte il meglio che possiamo fare è ricominciare da zero." Ed è esattamente quello che fa Steve: una volta riportate le Gemme e Mjolnir alle epoche di appartenenza, egli decide di fare un ulteriore salto indietro nel tempo, per ricominciare da capo.
Al fianco di Peggy, con la quale potrà avere la vita che gli fu negata quando finì ibernato nel 1945. A lui spetta l'inquadratura finale di Avengers: Endgame, dove i due innamorati ballano come avrebbero dovuto fare al termine di Captain America: il primo vendicatore, dando così ai Russo l'opportunità di congedarsi (per ora) dal MCU così come erano entrati nel franchise: insieme a Steve Rogers, che si ripresenta a Sam Wilson visibilmente invecchiato (ma non troppo, grazie al siero del supersoldato), senza rimpianti e con un nuovo scudo da affidare al suo successore.
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Avengers, assemble!
I due personaggi-chiave del franchise non ci sono più, ma non è solo la loro dipartita a sancire la fine di un'era: per un anno era stata fatta allusione alla scelta di lasciare in vita tutti e sei gli Avengers originali dopo la Decimazione, allo scopo di riunirli per un'avventura finale. Ed è qui che si coglie il vero senso di ciò che diceva Kevin Feige sulla decisione di chiudere definitivamente (o quasi) un determinato capitolo del MCU, puntando su altri volti e altre storie per gli anni a venire. Una decisione sicuramente presa con criterio, senza leggerezza, poiché, come sottolineò ai tempi un certo Joss Whedon, uccidere uno degli Avengers significa rinunciare a un filone redditizio della saga. E in questo caso non è solo un Avenger a morire, in senso letterale e figurato: per sconfiggere Thanos si è sacrificata anche Natasha Romanoff, che dovremmo rivedere al cinema ma in un prequel, e con la distruzione del quartier generale della squadra assistiamo simbolicamente alla fine dell'intera formazione originale della squadra.
Stark e Romanoff non ci sono più, Rogers è in pensione (in tutti i sensi), Clint Barton torna dalla famiglia come ha sempre voluto (ma lo rivedremo, in teoria, in una delle miniserie annunciate per Disney+), Bruce Banner molto probabilmente è fuori combattimento in modo permanente dopo aver indossato un Guanto dell'Infinito, e Thor, dopo aver ceduto il trono a Valchiria, è diretto verso altri lidi insieme ai Guardiani della Galassia. Li rivedremo quasi tutti, in un modo o nell'altro, ma mai più insieme. La conferma definitiva arriva nei titoli di coda, dove ogni menzione di uno dei sei è accompagnata dall'autografo dell'attore: quello che in inglese chiamano signing off, e che fu usato anche in Star Trek VI: rotta verso l'ignoto per l'addio dell'equipaggio originale dell'Enterprise. Proprio come l'astronave, la base degli Avengers sarà ricostruita, ma gli occupanti saranno diversi: una nuova generazione di eroi, al servizio di un franchise il cui futuro ha molte strade possibili, nate da quell'unico esito, ineluttabile.