Alcuni anni fa, gli Avengers e gli X-Men si sono scontrati sulle pagine degli albi Marvel in un crossover a fumetti che ha avuto conseguenze importantissime soprattutto sulle storie dei mutanti. In quella lunga storia, la Fenice tornava sulla Terra per possedere una giovane mutante: gli Avengers volevano impedire a tutti i costi che un'adolescente ottenesse quei poteri cosmici, mentre gli X-Men credevano che solo la Fenice poteva salvare la razza mutante sull'orlo dell'estinzione. Alla fine, il professor Xavier ci rimetteva le penne, ucciso nientepopodimeno che dal suo pupillo Ciclope. Era una storia strana e forzata che i fan delle collane Marvel non apprezzarono molto, e che ha avuto strascichi particolarmente negativi per gli X-Men, la fazione che usciva dal confronto indebolita e svantaggiata.
Furono in molti a credere che quel crossover avesse un secondo fine: rinforzare la presenza editoriale degli Avengers al costo di quella degli X-Men. Era il 2012 e in quei mesi uscivano al cinema The Avengers di Joss Whedon, il primo crossover nel Marvel Cinematic Universe, e X-Men: L'inizio, il reboot di un franchise che Fox non era mai riuscita a sfruttare fino in fondo. In pratica, si pensava che la Marvel stesse cercando di boicottare la Fox, nella speranza che prima o poi mollasse la presa sugli X-Men: del resto, fumetti e cinecomic ormai vanno di pari passo, perché è facile supporre che chi si scopre fan di un medium, decida di esplorare anche l'altro.
La fenice porta guai
La Fenice, dal canto suo, sembra essere diventata il simbolo della sconfitta, non quello della rinascita. Sulla Fenice, Brett Ratner e Simon Kinberg avevano incentrato X-Men: Conflitto Finale del 2006, e sulla Fenice sempre Kinberg ha scritto e diretto il recente X-Men: Dark Phoenix, un film che, tuttavia, ha deluso critica e pubblico, mettendo un debole punto fermo alla gestione Fox di questo brand, ora tornato nelle mani di Marvel Studios e Disney che hanno già annunciato l'intenzione di rilanciarlo, anche se non prima di cinque anni. Solo che non è stata solo colpa di Kinberg o di Bryan Singer, che ha diretto quattro film su dodici, includendo gli spin-off come Deadpool e Logan, se la serie degli X-Men non ha mai funzionato bene come il Marvel Cinematic Universe, nonostante abbia effettivamente rigenerato i cinecomics all'inizio del millennio.
Sui pregi e i difetti cinematografici dell'ultimo film ci siamo espressi nella nostra recensione di X-Men: Dark Phoenix, ora cerchiamo di capire quali sono stati i motivi che, al di là di tecnicismi e budget, hanno condotto al lento e inesorabile declino di queste pellicole che non sono mai riuscite a riscuotere lo stesso successo del Marvel Cinematic Universe, sebbene anche la Fox abbia avuto per le mani un universo cinematografico, e ben prima di Disney, senza saperlo sfruttare.
Non c'è coerenza
Nel momento in cui i film degli X-Men hanno generato gli spin-off su Wolverine e Deadpool, per non parlare di New Mutants,a lungo rimandato, si è cristallizzata l'idea di un universo cinematografico in cui ogni film, incentrato su personaggi ben precisi, richiamava gli altri. A differenza del Marvel Cinematic Universe, però, non c'è mai stato un coordinatore come Kevin Feige e ogni regista o sceneggiatore ha sostanzialmente fatto di testa sua. L'idea era quella di girare film che fossero essere autonomi, pur utilizzando attori, nomi e situazioni in comune con le altre pellicole. In questo modo, tuttavia, si è creata un'enorme confusione e non solo a livello di casting. Per fare un esempio, il bravo Liev Schreiber interpretava Sabretooth in X-Men - Le origini: Wolverine, mentre in X-Men, ambientato anni dopo ma uscito prima, a interpretare Sabretooth è Tyler Mane: la cosa peggiore, però, è che Sabretooth, in X-Men - Le origini, è il fratellastro di Logan, mentre in X-Men i due non si conoscono minimamente.
La situazione, se possibile, è andata peggiorando soprattutto dopo X-Men: L'inizio. Il film di Matthew Vaughn avrebbe dovuto rilanciare i film sui mutanti con una serie di avventure ambientate nel passato, ma i pupilli pensati per affiancare i giovani Xavier e Magneto non convinsero il pubblico, abituato da anni a eroi molto più iconici come Ciclope o Tempesta. Giorni di un futuro passato reintroduceva quindi il vecchio cast attraverso l'escamotage dei viaggi nel tempo e ristabiliva la linea temporale originale, cancellando metacinematograficamente il flop di X-Men: Conflitto finale, storia che scopriamo non essere mai avvenuta grazie all'intervento di Logan nel passato. A questo punto, però, si è persa ogni pretesa di coerenza. A cominciare da X-Men: Giorni di un futuro passato, si è deciso di ambientare ogni film successivo a dieci anni circa dal precedente, pur mantenendo gli stessi attori, come Evan Peters, che in Dark Phoenix dovrebbe avere più di quarant'anni. E lo stesso vale per quasi ogni membro del cast: è assurdo pensare che Michael Fassbender, otto anni dopo Dark Phoenix, sarebbe diventato Ian McKellen.
Non c'è un legame con i fan e gli spettatori
Il problema alla base sta nel fatto che i film Fox non riescono a fidelizzare i fan e gli spettatori. Uno dei punti di forza del Marvel Cinematic Universe è la sua coerenza interna, che è qualcosa che non si compra col budget e che stabilisce con lo spettatore un rapporto speciale. Guardare i film targati Marvel/Disney è una specie di gioco che appaga ogni volta che si coglie un riferimento ai film precedenti: lo spettatore diventa parte di quell'universo perché lo ha visto costruirsi un tassello alla volta. Questo è uno dei motivi principali del successo di Avengers: Endgame, un film straripante di rimandi nostalgici che inducono lo spettatore a pensare "io c'ero" ogni volta che ricorda una scena chiave nei film precedenti e intuisce le sue ripercussioni su quello che sta accadendo. Un esempio? Thor che esclama "Lo sapevo!" quando Captain America impugna Mjolnir: lo sapevamo anche noi, che gliel'abbiamo visto spostare leggermente in Avengers: Age of Ultron. L'esempio contrario? Alla fine di X-Men: Apocalisse, Xavier sblocca i poteri di Jean Grey e la vediamo infiammarsi come la Fenice, ma nel sequel X-Men: Dark Phoenix la vediamo acquisire quei poteri solo dopo essere stata investita dall'energia cosmica. Eppure in Conflitto Finale la Fenice era la seconda personalità di Jean! Come stanno veramente le cose?
L'universo dei mutanti Fox, insomma, non riesce a essere coerente con sé stesso, ma soprattutto coi messaggi che vuole trasmettere. Non serve scomodare il treno alla fine di Dark Phoenix, che cambia numero di vagoni da un'inquadratura all'altra, né i problemi di età e di logica summenzionati. Nei film, l'incoerenza narrativa è rappresentata dal personaggio di Mystica che, dopo essere stata una semplice femme fatale nei primi film, diventa improvvisamente la protagonista assoluta dopo il rilancio. Ovviamente si tratta di un ruolo cucito su misura per un'attrice premio Oscar come Jennifer Lawrence, che nei film interpreta una mutante che può assumere qualunque forma ma che non riesce a comprendere la propria identità. Gli X-Men a fumetti nascono nel 1963 come un prodotto mediatico a sostegno dell'integrazione sociale: i mutanti rappresentano una minoranza oppressa come la vera gente di colore, gli omosessuali, i disabili, ogni tipo di emarginato. Sono fumetti che trasmettono un messaggio molto chiaro: siamo tutti uguali e possiamo essere tutti eroi.
Mystica e il messaggio perduto
Mystica, nel reboot, è combattuta tra il suo vero aspetto e quello che assume normalmente per mimetizzarsi tra gli umani. In una scena iconica diventata meme, Magneto la obbliga ad assumere il suo aspetto originale e commenta: "Perfection." In Giorni di un futuro passato, Mystica finalmente accetta la sua vera natura e diventa un'eroina agli occhi dei giovani mutanti, come scopriamo poi in X-Men: Apocalisse. In X-Men: Dark Phoenix, Mystica insegna nella scuola di Xavier... e in una scena particolare, le vediamo cambiare nella sua forma umana proprio all'interno della scuola, davanti agli studenti, come se si vergognasse del suo aspetto mutante davanti a quei bambini che dovrebbero imparare a essere sicuri e orgogliosi di sé stessi. È assurdo, in questo senso, pensare che l'unico film ad aver affrontato l'argomento con una certa dignità sia stato proprio X-Men: Conflitto finale, in cui una misteriosa cura per il gene X spaccava in due la comunità mutante, rappresentata dalla Rogue di Anna Paquin.
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Certo, non sono argomenti facili da affrontare in un cinecomic hollywoodiano, ma sono proprio queste tematiche profonde a distinguere in modo sostanziale gli X-Men dagli altri supereroi, Avengers inclusi. Gli X-Men combattono l'emarginazione e la discriminazione - "lottano per un mondo che li odia e li teme," recita lo slogan storico del fumetto - vivendo avventure che si incastrano in intrecci da soap opera dove questi eroi si innamorano, si sposano, si lasciano. I film sugli X-Men sacrificano completamente l'aspetto più intimo di queste storie per riciclare costantemente, e senza grande impegno, la tiritera dell'opinione pubblica un po' a favore e un po' contro i mutanti. Poi ogni tanto qualcosa esplode, qualcuno muore e si viene alle mani come in un cinecomic qualunque.
Il fanservice
Un ultimo punto debole, secondario per chi conosce questi eroi solo attraverso i film, ma fondamentale per quel pubblico che al cinema ci va solo per vedere i propri eroi preferiti in carne e ossa, è il fanservice. Feige e gli altri scrittori del Marvel Cinematic Universe hanno imparato a pescare con cura nello sconfinato database della casa editrice e sanno come portare un certo personaggio sullo schermo: bisogna cambiarlo perché si adatti a un medium completamente diverso, questo è chiaro, ma bisogna anche mantenere i tratti caratteristici che lo hanno reso più o meno famoso. In generale, il Marvel Cinematic Universe è riuscito a trasportare sul grande schermo quasi ogni personaggio con grande efficacia e, qualora siano state apportate modifiche importanti alla storia o all'aspetto di un certo personaggio, gli artisti sono comunque riusciti a rimarcare citazioni e riferimenti gustosi. L'importante, ancora una volta, è giocare con lo spettatore, specialmente con lo spettatore che è anche un fan dei fumetti.
Gli autori dei film Fox hanno invece il talento di scegliere personaggi quasi completamente a caso, cambiando drasticamente i loro poteri per adeguarli alla sceneggiatura, senza giustificare trasformazioni o riferimenti. I personaggi diventano i loro stessi poteri, al servizio dello script, e perdono significato: il che è assolutamente senza senso, se consideriamo che questi personaggi hanno spesso decenni di storie alle spalle. In Giorni di un futuro passato, la Kitty Pride di Ellen Page attraversa sempre i muri ma, per qualche motivo, può proiettare la gente nel passato: chi ha letto l'omonima storia a fumetti coglierà una citazione un po' forzata - in quella storia, era Kitty a viaggiare nel tempo, non Wolverine - mentre lo spettatore che Kitty l'aveva conosciuta in Conflitto Finale, quando attraversava le pareti e basta e amoreggiava con l'Uomo Ghiaccio, si sentirà un po' spiazzato.
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Tornando a Dark Phoenix, mentre vedevamo il film ci siamo interrogati a lungo sull'identità della mutante che accompagna Magneto e lo aiuta coi suoi poteri telepatici. Purtroppo Kinberg non stava giocando con noi, non ci stava sfidando a scoprire chi fosse quella donna, perché verso la fine del film Magneto la chiama per nome ed esclama: "Selene!" e noi ci rendiamo improvvisamente conto che Selene Gallio, una mutante millenaria capace di assorbire l'energia mentale per rigenerarsi, nonché una potente strega che qualche anno fa ha persino resuscitato decine di eroi e criminali defunti per tormentare gli X-Men, in Dark Phoenix è soltanto una maglietta rossa con due battute in croce che muore cadendo da un treno. Forse una metafora perfetta per spiegare, con un solo esempio, che cosa erano diventati i film degli X-Men in questi ultimi anni.