Torna sugli schermi Pupi Avati. E questa non è una novità, dato che ormai il cineasta italiano è lanciato alla media di una pellicola l'anno. Ma torna, dopo più di dieci anni di commedie, al cinema di genere, con un horror in cui dirige Laura Morante.
"Il cinema di genere è snobbato con una certa diffidenza dalla cinematografia nostrana - si lamenta il regista - Io volevo resettarmi, fare il punto del mio rapporto con la macchina da presa. Dopo tanti anni che facevo film in qualche modo autobiografici, parlando in prima persona, volevo parlare in terza persona, con il cinema, parlare solamente al pubblico. E' un pò come fare il rinnovo della patente dopo tanti anni. Anche perchè ogni tanto fa bene rimettersi in discussione".
Avati porta avanti un discorso del tutto personale, di buon artigianato all'italiana, scevro dalle influenze delle filmografie horror orientali o statunitensi. E lo ammette candidamente: "La mia ignoranza sulle cinematografie altrui è abissale. Faccio troppo cinema, lavoro troppo per poter andare la sera in sala. Il cinema sta dentro la mia vita, e la mia vita dentro il cinema. L'unica cosa che conosco benissimo sono gli incassi, perchè purtroppo è quello il motore del cinema oggi".
Anche la Morante debutta con un horror, anche se dice di non fare attenzione al genere che di volta in volta interpreta: "Non distinguo i film che ho fatto per il genere a cui appartengono. Anche in Cuerpos perdidos, una pellicola che non è uscita in Italia, in qualche modo ho affrontato il thriller. Mi piaceva semplicemente la sceneggiatura, l'atmosfera generale era resa veramente molto bene. Mi incuriosiva anche molto quella vena di umorismo che pervadeva sottile tutta la storia".
"A proposito di vena umoristica - si intromette il regista - abbiamo fatto girare a Laura un finto finale, più rassicurante, nel quale lei salvava il bambino. Non sapeva che in realtà avremmo rimontato la scena con lei che incrociava lo sguardo con la vecchina e si spaventava a morte!".
Il nascondiglio è un film che può piacere o meno, ma che rivela un notevole livello di fattura artigianale, che il regista non esita a sottolineare: "Gli interni del set erano ambientati a Cinecittà, mentre gli esterni sono negli Stati Uniti, a Davenport. I tecnici italiani a Roma hanno fatto un lavoro sublime nell'armonizzare i due set. Sono dei grandissimi esperti, ma non sono usati pur essendo straordinari. Ormai li si usa solo per le tv, Cinecittà è ormai diventata Telecittà!".
In arrivo anche una versione per in lingua inglese del film: "Stiamo verificando la fattibilità di una distribuzione all'estero, specialmente negli States. Proprio in questi giorni lo stiamo valutando attraverso delle proiezioni private".