Avatar: La via dell'acqua, il film che abbiamo atteso per tredici anni, è finalmente alle porte. Il 14 dicembre, infatti, la nuova opera di James Cameron uscirà in tutto il mondo. Tredici anni fa, ancora a caldo poche ore dopo aver visto Avatar, dicevamo tutti che probabilmente avrebbe cambiato la storia del cinema. Quel probabilmente, nel frattempo, è sparito: Avatar ha fatto la storia della Settima Arte, e Avatar: La via dell'acqua la farà ancora. Abbiamo aspettato davvero tanto per vedere questo film: per noi che attendiamo frementi tredici anni sono tantissimi. Non è un tempo lungo per James Cameron, un regista che realizza le sue opere solamente quando tutto - lui, la storia, le tecnologie - sono pronte. Cameron sognava il mondo di Pandora già da quando era un ragazzino e, a scuola, disegnava un mondo in cui vivevano quegli esseri blu. Da regista, l'idea di Avatar ce l'aveva già nel lontano 1995, ma la tecnologia di allora non era ancora pronta per realizzare al computer i Na'vi come li aveva in mente Cameron.
L'immersione in un mondo nuovo
Aspettare tanto tempo, effettivamente, ha avuto un senso. Perché Avatarè arrivato sui nostri grandi schermi con una forma visiva di grande impatto. È stato una gioia prima per gli occhi e poi per il cuore o il cervello. Avatar è stato, ed è ancora, il film da vedere al cinema per eccellenza, l'unico modo per godersi completamente il film nella sua versione tridimensionale, quella per cui è stato pensato e creato. Quella che ha creato James Cameron è una visione che permette di immergersi completamente in un mondo nuovo. E che ha confermato la stereoscopia come mezzo espressivo capace di mettersi al servizio di una storia e di darle forza espressiva, e non un semplice gadget tecnologico da parco dei divertimenti. Quello di Cameron non è il 3D con gli oggetti che ci arrivano in faccia, ma ha una profondità di campo tale da farci sentire circondati, abbracciati delle immagini. Ricordiamo ancora quando, dopo i preamboli iniziali, abbiamo visto per la prima volta le scene notturne nella foresta fluorescente, realizzate interamente in computer grafica. Siamo rimasti a bocca aperta.
Il 3D: una finestra sul mondo
Oltre alla grande immaginazione di James Cameron, quindi, uno dei punti di forza di Avatar è stata la tecnologia 3D. Il direttore della fotografia, l'italiano Mauro Fiore, ha usato il 3D Fusion Camera System, un sistema in grado di girare delle immagini che si mescolassero alla perfezione a quelle create al computer della WETA e dalla ILM. La concezione di Cameron è sembrata subito molto diversa da quello che fino ad allora era stato considerato il 3D: era vissuto come qualcosa in più, un effetto fine a se stesso, come il lancio di oggetti verso il pubblico. Per Cameron il 3D è una finestra sul mondo, un mondo per farci entrare nella narrazione, senza richiamare su di sé l'attenzione. Il sistema era stato sperimentato da Cameron nei suoi due film "marini", Ghost Of The Abyss e Aliens of the Deep. Proprio da questi film sono arrivate nuove idee per il mondo di Pandora: Cameron aveva osservato il fenomeno di alcune forme di vita che nella totale oscurità emanano bagliori e brillano di luce propria. Da qui è arrivata l'idea della foresta fluorescente di Pandora.
Una nuova performance capture
Tutto quel tempo passato dal 1995 al 2009 aveva un senso. James Cameron non voleva utilizzare il trucco prostetico per realizzare i suoi alieni. Le gomme poste sul viso, infatti, non permettono di modificare la distanza tra gli occhi e le loro dimensioni, né di cambiare le proporzioni dei corpi e le loro dimensioni. La performance capture, che si usa per cogliere movimenti ed espressioni di veri attori, permette invece tutto questo. Gli occhi dei Na'vi hanno un diametro doppio rispetto agli occhi degli umani, e sono più distanziati tra loro. Gli alieni sono più longilinei degli umani, sono più grandi, e le loro mani hanno solo quattro dita. Negli anni Novanta, inoltre, le creature realizzate al computer non avevano ancora il fotorealismo necessario per sembrare credibili. Ancora nel 2005, la computer grafica aveva il problema dell'effetto "dead eye", quella mancanza di luminosità negli occhi dei personaggi che si aveva nei primi film realizzati con la performance capture. In questo modo i personaggi non sembravano davvero reali. Ma quella di Avatar, finalmente, era un nuovo tipo di performance capture. Eravamo abituati, fino ad allora, agli attori che indossavano delle tute con dei marcatori e altri marcatori sul volto. Erano i famosi puntini che, rilevati dal computer, andavano a creare una mappatura di corpo e volto, i punti di riferimento su cui ricreare i movimenti della creatura digitale. Con Avatar è stato inaugurato un nuovo sistema di performance capture per cogliere le espressioni del viso, basato sulle immagini: agli attori veniva fatto mettere in testa un dispositivo, con una piccola telecamera, rivolta verso il loro volto. Questa camera era in grado registrare ogni loro minima espressione, ogni movimento dei muscoli. Ma soprattutto quel preziosissimo movimento degli occhi, cosa mai avvenuta in precedenza.
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Performance capture: personaggi espressivi come gli umani
Avatar era questo, ci aveva stupito per quell'uso eccezionale della performance capture. Se la tecnologia era finalmente davvero in grado di cogliere ogni minima espressione dei volti degli attori, compresi gli occhi, il risultato erano sì dei personaggi virtuali, ma che avevano in sé qualcosa di profondamente umano e reale. La tecnologia, in Avatar, era finalmente riuscita a fondere perfettamente l'aspetto umano a quello tecnologico: i personaggi sono creati sì dal computer, ma sono anche in tutto e per tutto gli attori che li impersonano. È questa, più che il 3D, la vera rivoluzione di Avatar: con il computer si possono creare personaggi espressivi come gli umani. Già con il Gollum de Il Signore degli Anelli si era cominciato a parlare di un possibile Oscar per i personaggi "virtuali". I risultati di Avatar ci fanno pensare ancora di più che sarebbe una cosa necessaria.
Tecnologia per un cinema d'altri tempi
Ma la tecnologia non servirebbe a nulla senza l'anima del film. Sì, perché quella di Cameron è una confezione tecnologica e moderna, ma è utilizzata per riportare in auge un cinema d'altri tempi, il kolossal classico hollywoodiano, che dal cinema d'avventura degli anni Trenta e Quaranta, quello di King Kong e dei mondi esotici e incontaminati, arriva fino agli anni Settanta e a certi film di fantascienza. L'impianto di Avatar è profondamente classico: il respiro, il ritmo, le musiche, le svolte narrative (arrivano i nostri...) e, sì, anche la semplicità della trama e l'ingenuità di fondo sono quelle di un cinema d'altri tempi. In Avatar, un film che non somiglia a niente mai visto prima, non mancano comunque le citazioni. Noi ci abbiamo sempre visto Guerre stellari e Jurassic Park, e non è un caso, perché George Lucas e Steven Spielberg insieme a Cameron sono una sorta di sacra triade del cinema spettacolare made in USA, sono i più grandi creatori di mondi di Hollywood. E ci abbiamo trovato anche Titanice Aliens - Scontro finale (i robot-corazza da combattimento) dello stesso Cameron.
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La guerra e l'ecologia
Avatar è un cinema spettacolare, è grande intrattenimento, è magniloquenza visiva. Ma, attenzione, è un film dove non mancano affatto i messaggi. C'è, nella storia di Pandora, una forte critica all'imperialismo americano. Ricordate quella frase? "Cerchiamo di dare loro istruzione, medicine e strade, ma a loro piace il fango". È quello che dicono i terrestri a proposito degli indigeni di Pandora. È un discorso che potrebbe essere stato fatto dagli americani in quelle zone dove intervenivano per "esportare la democrazia". Non dimentichiamo che gli anni di Avatar erano quelli delle rappresaglie contro il terrorismo e degli interventi militari in Afghanistan e in Iraq. Ma in Avatar c'è anche un forte afflato ecologista. Un tema che, oggi più che mai, è attuale, e che speriamo di ritrovare anche in Avatar: La via dell'acqua.