Il sorprendente Avatar: La via dell'Acqua di James Cameron è un successo. Raggiunto il miliardo e mezzo, il secondo capitolo dell'epopea fantascientifica Disney ha cominciato a generare profitti, dando quindi il via libera all'autore di concludere la sua annunciata pentalogia cinematografica - che forse proseguirà anche ad oltranza. Un risultato per nulla scontato che migliora di settimana in settimana al boxoffice, al momento con un drop di appena il 34% a circa un mese dall'uscita ufficiale.
Il sequel del film del 2009 registra attualmente 1 miliardo e 708 milioni di dollari, piazzandosi temporaneamente al settimo posto dei lungometraggi con il più alto incasso della storia del cinema. Se manterrà queste performance senza subire ulteriori drop significativi è quasi certo che supererà la soglia dei 2 miliardi di dollari, con la speranza di scalzare al massimo Star Wars: Il risveglio della forza dal quarto posto in classifica, essendo già Titanic a questo punto inarrivabile (il discorso cambierebbe con un re-release).
Un trionfo non solo economico ma anche di critica e pubblico, comunque. Persino su queste pagine, nei commenti della redazione ad Avatar: La via dell'Acqua, analisi e riflessioni sono state un quasi totale plebiscito di positività, eppure se qualcuno prova a sottolineare delle mancanze narrativo-strutturali nel concept e nella stesura della storia, sono in molti a infuriarsi ed ergersi a paladini "della critica solida e costruttiva": "Perché la trama nei blockbuster non conta". Oggi siamo qui per provare a riflettere proprio su questo adagio e sulle polarizzazioni ormai meccaniche non solo di fan o cinefili ma anche di esperti di settore, sfruttando proprio il sequel di Cameron come cartina tornasole.
La parte per il tutto
Ci vorrebbero delle regole ufficiose e di puro indirizzo etico per far sì che un'opinione non debba per forza surclassarne un'altra. Presupposto fondamentale è ovviamente una buona argomentazione con dati, fatti e pensieri che possano dirsi soddisfacenti per un dialogo acceso ma almeno edificante, per uno scambio pro-attivo di punti di vista anche differenti. Ma il punto è proprio questo: quando mancano le argomentazioni, subentra la polarizzazione; perché essere ai margini estremi di un pensiero, positivo e negativo che sia, in qualche modo sembra concedere per i più elevata posizione e grande caratura allo stesso. Sostenere che Avatar: La via dell'acqua sia un ottimo film pare non poter conoscere obiezione alcuna se non quella che lo considera un pessimo film, così da poterlo definire semplicemente divisivo tra chi ama e odia Cameron, tra chi capisce e accetta i blockbuster e chi no, tra chi è interessato allo spettacolo e chi non ne comprende invece il valore, troppo interessato alla storia, ai suoi sviluppi, alla profondità narrativa e via discorrendo.
In questo modo confronto e dialogo non trovano concretizzazione perché non esiste punto d'incontro intermedio, la soggettività della visione prende il totale sopravvento e l'obiettività della costruzione cinematografica complessiva del prodotto ignorata, così come le intenzioni del regista. Nel bel Thank You for Smoking di Jason Reitman si sostiene che "argomentando si avrà sempre ragione", certo in senso un po' arrogante e retorico ma resta vera l'importanza delle ragioni personali e l'assunto che idealmente non esista una sola e unica verità: l'essenziale è poter spiegare la propria secondo strumenti adeguati per farlo.
Questo ci porta a considerare l'eventualità di criticare con solide argomentazioni la trama di un blockbuster come Avatar: La via dell'Acqua - ma in generale di tutti i blockbuster - un diritto, fatto altrettanto vero per il contrario partendo dalle stesse premesse. Dato ciò per assodato, cioè la legittimità platonica dell'elemento soggettivo della critica, bisogna tenere conto delle caratteristiche oggettive di un film, in cui storia, trama o narrazione che sia sono singole parti del tutto, senza dimenticare la volontà stilistica e artistica dell'autore dietro al progetto. E i blockbuster, che lo si voglia o no, non sono esenti da questa analisi.
Avatar - La via dell'acqua: il ruolo della famiglia
L'elemento è nudo
Al cuore del caso in esame, Avatar: La via dell'Acqua rispetta certamente le promesse di spettacolarità e innovazione tecnologica. La magnificenza tecnico-stilistica del progetto alza l'asticella del processo di perfettibilità cinematografica del comparto di ricerca ed effettistica di settore. Quello che è più impressionante è la cura per i dettagli, il mastodontico lavoro di cesello fatto per ogni texture, campionamento digitale, nelle operazioni di ripresa, nell'editing e nel montaggio. Non solo: concettualmente, mettere insieme una tale mole di lavoro e idee, svilupparla artisticamente per renderla priva di qualsivoglia sbavatura visiva e rendere assolutamente stupefacente un colpo d'occhio già incredibile 13 anni fa resta un'impresa superlativa, per molti addirittura impossibile per mancanza di soldi, strumenti, tempo e volontà. Cameron ha invece tutto questo, lo mette in gioco e confeziona un sequel più grande dove l'intrattenimento tra dramma, commedia e azione raggiunge un equilibrio formale da fare invidia nonostante una significativa durata.
Eppure, nonostante il tutto sia il più delle volte davvero eccezionale, è altrettanto deludente il modo in cui l'autore ha sfruttato la sceneggiatura del film come pretesto per proseguire e contemporaneamente rilanciare il franchsie. Dicevamo come la trama sia una sola parte del complesso filmico, e al netto di uno spettacolo avvincente la storia è per lo più un ricalco concettuale della precedente in un differente bioma. Si confà all'amore per le trame più archetipiche di Cameron e non rovina la bontà visiva o creativa del prodotto, ma in un lungometraggio blockbuster mainstream di 3 ore e 12 minuti il dramma familiare miscelato a una sorta di documentario fantascientifico sulla fauna marina di Pandora ha il suo peso specifico e non può essere ignorato "perché il resto funziona", lasciandolo da parte con un "va bene così", soprattutto se le tematiche raccontante nel dramma rappresentano un significativo elemento narrativo e cinematografico.
Criticare una generale mancanza di novità ideativa di una trama non vuol dire distruggere un blockbuster esclusivamente per questo, senza riconoscere appunto le intenzioni stesse di un regista o il peso specifico della parte nel tutto. Significa solo mettere a nudo un elemento oggettivo del film per esaminarlo al dettaglio al fine d'incorporarlo nel giudizio soggettivo finale, sempre tenendo conto dei presupposti basilari per farlo nel modo più giusto. Che significa senza detestare a priori genere, regista, studio, attori e e così via, comprendere ciò che si sta vedendo, mettere a fuoco l'intenzione autoriale e produttiva e leggere il più possibile le opinioni contrarie, morbide o assolute che siano. Perché anche idolatrare in positivo è un presupposto sbagliato per una critica centrata e puntuale.
Avatar: La Via dell'Acqua, la recensione: la via del grande cinema
E anche chi scrive - come tutti - non è assolutamente esente da errori di giudizio o polarizzazione. L'importante è essere in grado di tornare sui propri passi, allargare l'orizzonte, accettare il confronto e capire i perché degli altri, mettendosi in discussione con la propria verità e le proprie argomentazioni. Quindi sì, anche le trame dei blockbuster si possono criticare, soprattutto se si tratta di un esponente di genere fondamentale come Avatar: La via dell'Acqua. L'essenziale sono premesse, motivazioni e modi.