Il mio aspetto si può raggiungere facilmente. Le donne possono somigliare a Audrey Hepburn stirandosi i capelli e comprando grandi occhiali da sole e abitini senza maniche.
Non c'è dubbio sul fatto che Audrey Hepburn, oltre ad essere stata una grande attrice, sia ricordata anche - e forse soprattutto - come uno dei più duraturi modelli di eleganza e di femminilità del ventesimo secolo. Sulla prima affermazione la stessa Audrey, notoriamente molto umile, aveva avuto qualcosa da ridire, essendosi autodefinita "una star del cinema che, a rigor di logica, non avrebbe mai dovuto farcela" e facendo spesso riferimento alla sua scarsa esperienza e alla sua limitata versatilità.
In effetti Audrey Hepburn, al secolo Audrey Kathleen Ruston, originaria di una cittadina nei pressi di Bruxelles, dove era nata il 4 maggio 1929 da un diplomatico britannico e una nobildonna olandese, non sarà stata la più versatile delle star della Hollywood classica; ma in fondo, è proprio nella sovrapposizione fra la Audrey 'personaggio' e la tipologia di ruoli da lei interpretati, una sovrapposizione capace talvolta di apparire come una perfetta coincidenza, che risiede la principale ragione del successo inossidabile della Hepburn.
Audrey Hepburn, our fair lady
A partire dagli anni Cinquanta, del resto, Audrey Hepburn ha incarnato un preciso modello di femminilità, che in lei ha trovato un'ideale rappresentante (in particolare dopo l'abbandono delle scene della coetanea Grace Kelly): una grazia al tempo stesso aristocratica e moderna, caratterizzata da un'eleganza impeccabile, ma pure da una vivacità e una spontaneità da ragazza della porta accanto. Audrey, in sostanza, si è trovata a incarnare un modello complementare a quello dell'altra, grande icona femminile del cinema dell'epoca, Marilyn Monroe: se Marilyn esprimeva una sensualità sfrontata, prorompente e sottilmente maliziosa, il sex appeal della Hepburn era invece più sofisticato, leggiadro e 'angelico', e pertanto più familiare e rassicurante.
Alla soglia dei quarant'anni, seguendo le orme di Greta Garbo, Audrey avrebbe deciso di allontanarsi dal clamore di Hollywood, ma il suo non sarebbe stato un vero e proprio addio, in virtù di qualche saltuario ritorno sul set. Gli ultimi anni della sua vita, invece, li ha dedicati interamente alle cause di beneficenza per le quali si era spesa anche in passato, tanto da essere nominata nel 1989 ambasciatrice dell'UNICEF, prima di spegnersi a causa di una malattia il 20 gennaio 1993. E a venticinque anni dalla scomparsa di questa attrice unica e ancora oggi amatissima, abbiamo deciso di ripercorrere la sua carriera attraverso cinque tappe fondamentali: cinque film che hanno trasformato questa ragazza timida, scoperta per caso dalla scrittrice Colette, in una delle star più leggendarie del ventesimo secolo...
Leggi anche: Fuori parte a chi? 10 famosi casting "sbagliati" che si sono rivelati perfetti
Una Principessa da Oscar: Vacanze romane
Quando, nel 1953, viene ingaggiata per il ruolo della Principessa Ann, Audrey Hepburn è ancora una sconosciuta che può vantare soltanto una manciata di parti minori, ma William Wyler, il regista di Vacanze romane, non potrebbe esserne più entusiasta: la sua protagonista, infatti, con il suo fisico minuto e la sua bellezza verginale è infatti l'esatto opposto rispetto all'archetipo della maggiorata italiana, e corrisponde in pieno a ciò che Wyler cercava. E il film, sceneggiato sotto falso nome da Dalton Trumbo mentre Hollywood è nel pieno della bufera maccartista, si rivela un trampolino di lancio a dir poco perfetto: nei panni della Principessa in viaggio diplomatico a Roma, che fugge dagli impegni istituzionali per aggirarsi in incognito per la città come una turista qualunque, innamorandosi del giornalista Joe Bradley (Gregory Peck), la Hepburn è impeccabile.
Grazie anche ad alcune scene memorabili, come la corsa di Ann e Joe su una Vespa per le vie di Roma o lo spavento di Audrey di fronte alla Bocca della Verità, Vacanze romane si tramuta in un gigantesco successo, nonché nel primo gradino della consacrazione della Hepburn a icona cinematografica; e per la sua performance nella commedia sentimentale di Wyler, la giovanissima star riceve il premio Oscar, il Golden Globe e il BAFTA Award come miglior attrice.
Leggi anche: I 100 anni di Gregory Peck: il fascino discreto del gentleman di Hollywood in 5 film
La nuova star della commedia, da Wyler a Wilder: Sabrina
Appena un anno più tardi, nel 1954, sull'onda del trionfo di Vacanze romane Audrey Hepburn è la protagonista di un'altra commedia romantica destinata a fare epoca: Sabrina, trasposizione di un testo teatrale di Samuel A. Taylor ad opera del geniale Billy Wilder. Il suo personaggio, stavolta, è quello di Sabrina Fairchild, una ragazza di umile estrazione sociale, innamorata del ricco e viziato playboy David Larrabee (William Holden), perlomeno fin quando non susciterà anche l'interesse del suo più responsabile fratello maggiore, Linus (Humphrey Bogart). Nel film, la Hepburn ha l'occasione per far emergere il proprio fascino e di imporsi come un modello di eleganza, grazie agli abiti disegnati da Edith Head e dal suo stilista di fiducia, Hubert de Givenchy; Sabrina le permetterà inoltre di mettere a segno la sua seconda nomination all'Oscar consecutiva.
Moon river, wider than a mile: Colazione da Tiffany
Se c'è un film a cui, più di ogni altro, Audrey Hepburn ha legato la propria portata iconica, questo è di sicuro Colazione da Tiffany: perché anche a più di mezzo secolo di distanza dalla sua uscita originale, nel 1961, la pellicola di Blake Edwards resta uno dei più emblematici esempi di romanticismo hollywoodiano, capace di penetrare nell'immaginario collettivo e di superare a pieni voti la prova del tempo. E pensare che la Hepburn non si sentiva per nulla adatta al ruolo di Holly Golightly, un'ambiziosa socialite amante del lusso e dalla vivace vita privata: l'introversa Audrey ha dichiarato di aver faticato non poco per immedesimarsi nella spigliata Holly, un personaggio nato dalla penna di Truman Capote, autore del romanzo omonimo (e ben più amaro rispetto alla sua edulcorata trasposizione sullo schermo).
Eppure, la scommessa è vinta su tutta la linea: dall'immagine celeberrima di Audrey con lo chignon, gli occhiali da sole e il tubino nero di Givenchy, che osserva la vetrina della gioielleria Tiffany di Manhattan; alla sequenza in cui Holly, seduta sul davanzale della finestra con un look più 'casalingo', intona con voce sussurrata le note della splendida Moon River, la dolcissima ballata composta da Henry Mancini e Johnny Mercer; fino al commovente finale sotto la pioggia battente, con Holly pronta a ricongiungersi al suo vicino, lo squattrinato scrittore Paul Varjak (George Peppard), e ovviamente al suo adorato gatto. Colazione da Tiffany, che vale alla Hepburn la sua quarta nomination all'Oscar, è insomma il film responsabile di aver trasformato definitivamente l'attrice nel mito.
Leggi anche: Colazione da Tiffany: un sogno romantico senza tempo
Una metamorfosi a ritmo di musical: My Fair Lady
Nel 1956, il mondo di Broadway si inchina di fronte al nuovo, fortunatissimo musical di Alan Jay Lerner e Frederick Loewe, ispirato alla commedia Pigmalione di George Bernard Shaw; ed è solo questione di tempo (e di lauta spesa per i diritti) prima che la Warner Bros ne metta in cantiere una versione cinematografica per la regia di George Cukor. Ma la protagonista dello spettacolo teatrale, una certa ragazza inglese di nome Julie Andrews, non ha mai recitato in un film, mentre la produzione vuole che il ruolo di Eliza Doolittle sia affidato a una vera star: ecco dunque ingaggiata Audrey Hepburn, pronta a calarsi nei panni di una sgraziata fioraia che, nella Londra di inizio Novecento, diventa l'oggetto della sfida del professore di glottologia Henry Higgins (Rex Harrison), intenzionato a trasformarla in un'autentica gentildonna dalla dizione perfetta e ad introdurla nell'alta società britannica.
Leggi anche: Omaggio ad Audrey Hepburn, icona di fascino e talento (VIDEO)
Avvolta dagli sfarzosi costumi di Cecil Beaton, per il ruolo di Eliza la Hepburn mette a frutto la propria raffinatezza, ma anche una notevole verve comica, e il risultato è il massimo successo di pubblico della sua carriera: uscito nel 1964, My Fair Lady registra un totale di sessanta milioni di spettatori soltanto negli Stati Uniti, diventando uno dei musical più visti di tutti i tempi, e si aggiudica otto premi Oscar, tra cui miglior film. Ma mentre il suo partner Rex Harrison riceve la statuetta come miglior attore, a sorpresa stavolta Audrey non viene neppure candidata: un'omissione dovuta probabilmente al fatto che, nelle sequenze canore, la diva sia stata doppiata da una cantante professionista, Marni Nixon. Per ironia della sorte, quell'anno l'Oscar come miglior attrice verrà assegnato proprio alla Eliza originaria, Julie Andrews, per il suo debutto al cinema in un altro film musicale, Mary Poppins.
Frammenti di un discorso amoroso: Due per la strada
Il 1967 segna l'ultimo atto del percorso professionale di Audrey Hepburn prima di un ritiro dal set, interrotto soltanto nove anni più tardi con Robin e Marian, ma si tratta di un'uscita di scena in grande stile: l'attrice è infatti la protagonista del famoso thriller Gli occhi della notte di Terence Young, che le vale la sua quinta e ultima nomination all'Oscar, e contemporaneamente di Due per la strada, sua terza collaborazione con il regista Stanley Donen dopo il musical Cenerentola a Parigi (1957) e il giallo Sciarada (1963). Fra le pellicole più toccanti e 'moderne' nella filmografia della Hepburn, Due per la strada ripercorre dodici anni nella vita di Joanna Wallace e di suo marito Mark (Albert Finney) attraverso una serie di viaggi in automobile intrapresi dalla coppia, in periodi diversi, nella campagna francese. Contraddistinto da una narrazione non lineare che alterna diversi piani temporali, il film offre un'indagine lucida e malinconica delle varie fasi di un rapporto d'amore, con due protagonisti in stato di grazia; e quarant'anni più tardi, nel 2008, un intero episodio de I Simpson, Curve pericolose, sarà costruito come una sorta di rivisitazione di questo gioiello diretto da Donen.