Amiamo i vincitori in questo paese. E scarifichiamo i nostri giovani per vincere...
Non possiamo che aprire questa recensione di Atleta A, il documentario firmato dalla coppia di registi Jon Shenk e Bonni Cohen distribuito da Netflix, con questa citazione. Basandoci sulle poche informazioni preliminari a nostra disposizione, eravamo convinti che il film si sarebbe incentrato esclusivamente sulla figura di Larry Nassar, il medico della Nazionale statunitense di ginnastica condannato per abusi sessuali su centinaia di vittime (la maggior parte minorenni), caso di cui negli ultimi anni si è parlato molto, anche qui da noi e non solo oltreoceano. Atleta A fa però un passo avanti rispetto a quello che ci aspettavamo: il suo obiettivo, infatti, non è solo l'ex dottore - fortunatamente - caduto in disgrazia, ma principalmente l'ambiente malsano che ha permesso che lui portasse avanti per decenni i suoi abusi, ossia la federazione sportiva che ha respinto ed insabbiato ogni reclamo e tentativo di denuncia. Quello che intuiamo è che Larry Nassar sia stato solo uno dei tanti molestatori che hanno avuto (e purtroppo continuano ad avere) la possibilità di prosperare in un contesto come quello che si crea attorno ad uno sport tanto particolare come la ginnastica, le cui stelle sono per la maggior parte ragazzine appena adolescenti.
Oltre a raccontare l'indagine che ha coinvolto Nassar e loschi personaggi come Steve Penny, CEO di USA Gymnastic, questo documentario cerca anche di ripercorrere la storia di questo sport negli Stati Uniti, trovando possibili ragioni per cui situazioni così gravi di abuso si siano potute creare e, soprattutto, riesce a dar voce alle vittime, in particolare la cosiddetta Atleta A, Maggie Nichols, la prima ginnasta del team nazionale a denunciare nel 2015 le molestie subite. Dopo il recente Jeffrey Epstein: soldi, potere e perversione, che si incentrava sugli abusi sessuali perpetrati da un miliardario statunitense e sul mondo di super ricchi che ne erano al tempo stesso complici e testimoni, un altro documentario prodotto dalla piattaforma streaming cerca di raccontare come un determinato tipo di ambiente lasci che questo genere di situazioni proliferino indisturbate. Ancora una volta le vittime predilette sono le giovanissime, che oltre che fisicamente possono essere molestate - e soprattutto manipolate - anche psicologicamente. A differenza della docuserie su Epstain, che in quattro episodi si prendeva il suo tempo - per quanto possibile - per sviscerare il tema e le sue ripercussioni, nel caso di Atleta A concludiamo il film con la sensazione di esser riusciti solo a grattare la superficie: sappiamo che c'è ancora molto di cui parlare, tante testimonianze a cui dare voce e tracce da seguire, e vorremmo che questo documentario fosse solo la prima di una lunga serie di puntate.
Cercare le cause e dar voce alle vittime
Atleta A racconta questa vicenda seguendo quelle che potremmo definire come tre diverse linee narrative: la storia del team nazionale di ginnastica a partire dagli anni '70 (con l'arrivo tra gli allenatori di Béla e Márta Kátolyi, che lavoravano precedentemente con Nadia Comăneci) e l'ambiente "nocivo" creatosi nel corso del tempo, le indagini su Larry Nassar che vengono in parte scatenate da un articolo di denuncia pubblicato dall'Indianapolis Star e, infine, la storia di Maggie Nichols, stella in ascesa la cui carriera è stata stroncata proprio per aver cercato di denunciare. Il film, pur trattando numerosissimi temi e dando voce a molte figure diverse - anche a Rachael Denhollander, la prima ad esporsi pubblicamente contro Larry Nassar -, riesce comunque a portare avanti un discorso organico, coerente dall'inizio alla fine. Anche per chi, come noi spettatori non-statunitensi, non ha una conoscenza dettagliata del caso, l'obiettivo di Jon Shenk e Bonni Cohen risulta chiaro fin da subito: smascherare un mondo fatto di abusi e violenza psicologica in grado di autosostenersi, capace cioè di continuare ad esistere perché toglie alle sue vittime la volontà e la possibilità di denunciare.
"Le ragazze vanno nei centri di allenamento nazionale quando hanno dieci anni, vengono sfruttate e maltrattate per anni, così, anche quando saranno maggiorenni, il confine tra il duro allenamento e l'abuso di minori non è più tanto chiaro. Perciò quando poi si verificano veri e propri abusi, abusi sessuali, tu già non ti fidi più della tua opinione sulle cose", spiega Jennifer Sey, un'ex campionessa nazionale. Dagli anni Settanta, con l'esplosione della moda Comăneci, le atlete di punta di questo sport diventano sempre più giovani, bambine facilmente condizionabili e manipolabili. Con l'arrivo, poi, di Béla e Márta Kátolyi come allenatori del team nazionale, anche negli Stati Uniti si inizia a riprodurre un modello ispirato a quello rumeno (paese che ricordiamo, in quel periodo era sotto la dittatura di Ceaușescu), in cui la violenza fisica e psicologica diventano un mezzo utilizzato per ottenere migliori risultati dalle proprie ginnaste. Questo non può che diventare, col tempo, l'ambiente ideale in cui personaggi come Larry Nassar riescono ad agire indisturbati. Soprattutto quando, come nel caso dell'ex medico olimpico, si è visti, tra gli adulti, come l'unica figura gentile e premurosa: è cosi che certe pratiche piuttosto discutibili, su cui non entreremo nel dettaglio, portate a termine durante le sue visite mediche passano, purtroppo, in secondo piano.
Quanto accaduto a Maggie Nichols, infine, ci fa capire come fosse facile costringere al silenzio queste ragazzine con la minaccia di negargli il proprio futuro: Maggie, seconda nel team solo a Simone Biel (che, per altro, è tra coloro che hanno denunciato Nassar), ha visto sfumare il sogno di partecipare alle Olimpiadi del 2016 proprio per aver rivelato gli abusi subiti ed essersi inimicata Steve Penny. Penny stesso è poi considerato responsabile di aver in parte creato l'ambiente ottimale per molestare impunemente le ginnaste: più preoccupato dell'immagine e dei risultati, che portavano enormi introiti pubblicitari, ha fatto in modo che il benessere delle atlete venisse messo in secondo piano."Erano così occupati a cercare di vendere quel 'marchio', che non avevano più tempo per le ragazze", ci viene spiegato, e diviene chiaro come e perché decenni di violenze sessuali siano stati così facilmente insabbiati.
Un indiscutibile passo avanti
Il documentario si conclude con due sequenze estremamente toccanti, che riescono a chiudere la vicenda raccontata da Jon Shenk e Bonni Cohen con una nota positiva. Le vittime di Nassar che, una dopo l'altra, possono testimoniare contro di lui al processo, riuscendo finalmente ad accusarlo di persona, e Maggie Nichols che riprende a fare ginnastica, lontano dal team nazionale, finalmente tra persone con cui si sente sé stessa ed al sicuro. Atleta A diventa così la perfetta testimonianza della perseveranza di queste ragazze che, pur avendo subito qualcosa di orribile, sono riuscite ad andare avanti con la propria vita, ed hanno avuto il coraggio di affrontare apertamente chi le ha violate così nel profondo, quando erano ancora così deboli ed innocenti. C'è ancora molto lavoro da fare per impedire che situazioni come questa continuino a ripetersi anche in futuro, ma è indubbio che queste ragazze, e chi da spazio alla loro voce, stiano contribuendo a smantellare il mondo marcio e corrotto che il documentario ci ha mostrato.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Atleta A ribadendo quanto questo documentario distribuito da Netflix ci abbia profondamente colpito. La storia raccontata da Jon Shenk e Bonni Cohen non solo ripercorre il caso di Larry Nassar, medico olimpico statunitense condannato per molestie sessuali, ma cerca di smascherare l'ambiente che ha permesso che compisse i suoi abusi indisturbato. Dando voce alle vittime, in particolare a Maggie Nichols - l'Atleta A del titolo -, ci fa capire quanto coraggio e determinazione queste ragazzine abbiano dimostrato di avere denunciando il mostro e il mondo sbagliato che le ha trasformate, da giovanissime, in delle vittime.
Perché ci piace
- L'intento dei registi, Jon Shenk e Bonni Cohen, è chiaro fin da subito: pur dando spazio a diversi temi e moltissime testimonianze, riescono a raccontare la vicenda in maniera coesa e coerente.
- Anche chi non conosce bene la vicenda, come noi spettatori non-statunitensi, riesce a seguire bene il documentario.
- Viene dato il giusto spazio alle testimonianze delle vittime...
Cosa non va
- ...ma avremmo voluto approfondire il caso molto di più. Il documentario si chiude lasciandoci la voglia di scavare ancora.