Alla conferenza berlinese per Asylum partecipa un nutrito drappello tra autori e cast: il romanziere Patrick McGrath, che ha firmato Follia, da cui è tratta la pellicola, lo sceneggiatore Patrick Marber, il produttore Mace Neufeld, gli attori Hugh Bonneville, Marton Csokas e Natasha Richardson, e naturalmente il regista David Mackenzie. Doveva esserci anche Sir Ian McKellen, che però ha dovuto dare forfait all'ultimo minuto per un problema di salute.
Mr. Mackenzie, come è nato l'interessaneto per questa storia? David Mackenzie: Beh, incontrai Patrick Marber e scoprii che anche a lui piacevano i Joy Division, così decidemmo di imbarcarci in quest'impresa! A parte gli scherzi, era un progetto interessante: sia il libro che lo script erano davvero interessanti. Mi trovo accidentalmente a fare spesso film ambientati nel passato; non drammi in custume ma film ambientati negli ammi '50. Credo che questo aiuti a mantenere una distanza utile dal soggetto.
Il film si svolge in un'atmosfera opprimente e malata. Come si sono preparati gli attori per rendere tangibile la presenza della follia? Soprattutto Mr. Csokas, ovviamente. Marton Csokas: Beh, non è facile rispondere a questa domanda. Già il romanzo è permeato da un'atmosfera straordinariamente claustrofobica, e così l'ha mantenuta Patrick Marber nello script. Alla fine c'era una notevole quantità di dettagli su cui basarsi; inoltre il film è stato girato in un istituto psichiatrico di Leeds, che aveva chiuso soltanto sei mesi prima che noi cominciassimo le riprese: e vi assicuro che non era difficile percepire cosa significasse vivere lì. Questo è stato molto utile, così come ci sono stati utili un po' di ricerca e un po' d'immaginazione.
Miss Richardson, come ha affrontato questo ruolo così complesso?
Natasha Richardson: Probabilmente si tratta del ruolo più difficile e attraenteche potesse capitarmi di interpretare in un film. Vi si esplorano territori che io in genere esploro a teatro, che poi sono i territori che più m'interessano. Ho vissuto con il cuore e l'anima questa donna per alcuni anni prima dell'inizio delle riprese del film.
E' una donna che vive confinata in un matriminio infelice, poi incontra quest'uomo che sta sull'orlo dell'abisso. E invece di tirarsi indietro, anche lei sceglie l'abisso.
David Mackenzie: Infatti io la vedo come un monito, una storia che invita a riflettere su cosa può succedere a uscire dai vincoli matrimoniali... anche se non so bene come la intendesse Patrick!
Natasha Richardson: Io non sono d'accordo: per me è una storia di esseri umani in situazioni estreme. Non ci leggo la morale della tutela della famigliola felice.
Patrick McGrath: La storia è vera. La sentii quando ero appena un ragazzino: mio padre lavorava in un ospedale molto simile a quello che ho descritto nel libro. Ci fu questo episodio, uno dei saggi, uno degli psichiatri, aveva fatto quelcosa di sbagliato; ovviamente non mi si diceva nulla, ma c'erano quei momenti in cui entravo in una stanza e improvvisamente tutti gli adulti tacevano, ed oviamente ero curiosissimo: sapevo che un paziente e la moglie dello psichiatra erano coinvolti e avevano dato scandalo, ma nessuno voleva spiegarmi che cosa fosse successo. Quindi dovetti invertarmi i dettagli della storia. Non ho mai voluto, tuttavia, dare un giudizio morale del comportamento di questa donna, ma solamente parlare di una storia d'amore. Ma dal punto di vista dello psichiatra questa non è la storia di un amore ma di una malattia, e io volevo che le due interpretazioni alternative convivessero. E volevo che il lettore scegliesse da sé la sua e desse il suo personale giudizio morale.