Sai come diciamo qui in Galizia? Quando i figli crescono, il lavoro raddoppia.
Nuova miniserie Netflix. Nuova corsa in Top 10 sulla piattaforma. Nuova storia vera dalle tinte crime. Ci sono tutti gli elementi per aggiungere un tassello al catalogo di un genere a cui sta chiaramente puntando il servizio streaming nella propria nuova linea editoriale. Eccoci quindi alla recensione di Asunta, serie original spagnola che mette al centro una storia attualissima - reale ma ovviamente romanzata per l'occasione, accaduta una decina di anni fa - e allo stesso tempo terrificante, soprattutto perché chiude e allo stesso tempo lascia aperte molte domande e risposte proprio come la storia vera da cui è tratta.
La trama di Asunta
La trama della miniserie Netflix parte da subito in medias res: a Santiago de Compostela (luogo simbolico legato alla sua importanza religiosa) due genitori (Candela Peña e Tristán Ulloa) si recano alla stazione di polizia più vicina per denunciare la scomparsa della figlia, provati e preoccupatissimi. Gli agenti seguono la coppia, ora separata, a casa per provare a scovare qualche indizio che magari a loro è sfuggito: in realtà ciò che intuiscono quasi immediatamente è c'è qualcos'altro sotto, e forse sono stati gli stessi genitori a compiere un atto indicibile. Parallelamente il corpo della ragazzina viene ritrovato e scattano le indagini, capitanate dal giudice istruttore (Javier Gutiérrez), agguerrito, schietto e senza peli sulla lingua, vecchio compagno di università della donna sospettata, avvocato, che vuole arrivare al più presto al nocciolo della vicenda e alla verità.
Tra fiction e true crime
Fin dalle prime battute, Asunta si presenta come un prodotto seriale a metà strada tra il true crime che va tanto di moda e il fiction crime. Si parte dalle finte interviste ai genitori quasi fossimo in un documentario, mentre testimoniano quanto generò chiacchiericcio la notizia della prima bambina cinese adottata in Galizia della storia, nata Yong Fang e diventata Asunta Basterra, per arrivare a quanto farà parlare nuovamente di sé la ragazzina ora dodicenne, suo malgrado, per l'attenzione mediatica quasi senza precedenti rivolta al caso. Un caso truce e tragico, poiché le stesse persone che l'hanno così disperatamente voluta potrebbero essere le responsabili della sua morte. Non un delitto qualsiasi, bensì un omicidio passionale ad acuire la violenza della vicenda raccontata.
La macchina da presa si sostituisce in parte a quella dei giornalisti e prova ad entrare nel privato e nell'intimità della famiglia protagonista, un nucleo che doveva essere nido dell'amore più puro ma è diventato presto covo dell'ossessione della coppia per le fotografie fatte con lo smartphone ad una ragazzina sempre più truccata man mano che cresceva, fino ai suoi ultimi 12 anni. Proprio questa commistione di realtà e finzione, di documentario e fiction rendono la miniserie drammatica e coinvolgente, nonostante la recitazione spesso sopra le righe, tipicamente spagnola, degli interpreti.
Tra genitori e figli
I creatori Ramón Campos, Gema R. Neira, Jon de la Cuesta e David Orea hanno scelto per ognuno dei sei episodi il titolo e la collocazione temporale di uno dei giorni vicini alla scomparsa della ragazzina e quelli del successivo ritrovamento del cadavere insieme alla raccolta delle prove. Il poliziesco diventa un legal drama arrivati all'epilogo, con il processo ispirato agli eventi reali che ancora una volta attirò a sé l'attenzione mediatica di tutta la Spagna. Il punto di forza del serial, oltre all'orrore tutto umano e non soprannaturale della storia raccontata, è l'incentrare la prospettiva della narrazione su genitori e figli.
Non c'è solo il nucleo della tragedia protagonista che racconta il difficile e complicato mondo delle adozioni ma anche quello del giudice istruttore e quelli dei due poliziotti incaricati del caso. Il primo è convinto che dovremmo tutti estinguerci come esseri umani per l'orrore a cui assiste ogni giorno sul campo, chiedendosi che razza di mondo lasciamo ai nostri figli in cui dovranno avventurarsi da adulti. La seconda sta provando la fecondazione assistita insieme al marito e quindi è in una sorta di transizione mentre si trova a lavorare proprio su un caso come questo. Tutti punti di vista diversi che si intrecciano in una riflessione sulla maternità e paternità, senza prediligere uno dei due rapporti ma dando il giusto spazio ad entrambi. Un racconto che lascia un'interpretazione al pubblico, proprio come accadde con la risoluzione avvenuta nella realtà.
Conclusioni
Abbiamo parlato di genitori e figli nella recensione di Asunta ed era inevitabile dato che la miniserie Netflix tratta da una storia vera si rivela agghiacciante per la realtà romanzata che mette in scena ed estremamente attuale per i nuclei familiari di vario tipo che fa collidere e collimare nel racconto. Uno spaccato truce di dove possano spingersi dei genitori e una riflessione sull’eredità a livello umano ed empatico che lasciamo alla nostra progenie.
Perché ci piace
- L’atrocità e l’attualità della storia raccontata.
- La macchina da presa che prova ad insinuarsi nella vita dei protagonisti, a metà strada tra docu e fiction.
Cosa non va
- Alcuni passaggi semplicistici nello sviluppo della trama.
- La recitazione eccessiva degli interpreti.