In Asteroid City, nuovo film di Wes Anderson dal 28 settembre in sala, nella città che dà il titolo al film a un certo punto arriva un alieno. Solo che Asteroid City non è esiste: è una specie di "sogno dentro a un sogno".
È più facile vedere che spiegare l'ultimo film di Wes Anderson, presentato in concorso al Festival di Cannes 2023 e ora finalmente nei cinema italiani. La cornice della storia è uno spettacolo teatrale, che una compagnia di attori sta mettendo in piedi. La storia raccontata è quella appunto di un gruppo di persone che si ritrovano bloccate in mezzo al deserto, nella città immaginaria di Asteroid City.
C'è un padre con le sue figlie piccole che chiama il nonno, un'insegnante, un'attrice che interpreta solo drammi ma vorrebbe fare finalmente una commedia. Tanti, tantissimi personaggi, interpretati da altrettanti attori, tutti importanti: da Tom Hanks e Scarlett Johansson a Jason Schwarzmann, Adrien Brody, Bryan Cranston, Margot Robbie, Maya Hawke. Ci sono anche Steve Park e Hope Davis, che hanno i ruoli di Roger e Sandy Borden, genitori di ragazzi che stanno partecipando a un concorso di scienza. Li abbiamo intervistati proprio a Cannes.
Asteroid City: intervista a Hope Davis e Steve Park
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Asteroid City: i colori di Wes Anderson
Nella città di Asteroid City a un certo punto arriva anche un alieno: è una metafora del cinema di Wes Anderson secondo i suoi protagonisti. Per Hope Davis è "un esortazione a non dare per scontato cosa ci sia là fuori o cosa no". Mentre per Steve Park: "Sì, nel mondo e nei film di Wes Anderson può succedere di tutto. Bisogna aspettarsi l'inaspettato".
In effetti il regista del Texas, tra colori pastello e linee geometriche, mette sempre un tocco improvviso di realtà: nella città a un certo punto arriva un treno, pieno di avocado, noci pecan e bombe. È l'America in un'immagine? Secondo gli attori sfortunatamente sì: "Siamo proprio noi: avocado e armi. Sfortunatamente".
La convivenza difficile con il prossimo è anche uno dei temi del film, come ci spiega Davis: "Ci penso ogni giorno a quanto sia difficile convivere tutti insieme su questo pianeta. Penso che sia nella natura umana creare delle tribù. Lo vedo anche nei miei figli: vanno a scuola e non capisco perché questi bambini non possano andare tutti d'accordo e vedere il meglio gli uni degli altri. Penso che ci venga spontaneo formare dei gruppi e distinguerci in noi e loro. La cosa bella di questo film è che le persone sono bloccate insieme e, con il passare dei giorni, cominciano a conoscersi e a diventare una comunità".