Acqua e fuoco, tradizione e contemporaneità, amore e odio, orgoglio e vergogna. La nostra recensione di Assandira comincia da qui, da questi contrasti che sono il leitmotiv principale del nuovo film di Salvatore Mereu presentato in anteprima nel fuori concorso del Festival di Venezia 2020 e dal 9 settembre nelle sale italiane. Un film fieramente sardo, a partire dal titolo, nome misterioso che c'è sempre stato, dal volto del protagonista principale, il Gavino Ledda di Padre Padrone e pure nella lingua, un dialetto strettissimo che si scontra continuamente con l'italiano, il tedesco e l'inglese. Fiero soprattutto nelle tematiche, nell'affrontare un conflitto generazionale e identitario che, benché ambientato nelle campagne sarde, sembra riferirsi alla società dei social network. Cosa si preferisce? La verità o lo spettacolo?
Turisti in casa propria
C'è stato un incendio che ha bruciato l'intero agriturismo Assandira, situato nel terreno di Costantino Saru, un vecchio settantenne che non si è mai allontanato dalla sua vita di pastore e che viene convinto dal figlio e dalla nuora tedesca a trasformare il suo vecchio ovile in un luogo per turisti, curiosi di conoscere come vivono i pastori sardi della tradizione. Un incendio dove, colpito da una trave, ha perso la vita proprio il figlio di Costantino. L'uomo, mentre viene interrogato in maniera informale dal magistrato che interviene sul posto il giorno dopo, ripercorrerà tutta la storia dell'agriturismo, i suoi pensieri a riguardo, i conflitti (e l'attrazione) con la nuora e forse, nel corso delle memorie, verranno alla luce dei segreti che non dovevano essere scoperti. Il racconto prosegue alternando passato e presente e mettendo a confronto le due visioni di vita della famiglia Saru: quella del figlio e della nuora tedesca, che vorrebbero usare la tradizione dei pastori per trasformarla in uno spettacolo dando ai turisti esattamente quello che cercano dall'esotica Sardegna, e quella del vecchio Costantino che, invece, vorrebbe mantenere questa tradizione intoccata, sacra, uguale a sé stessa, rispettandola perché "è sempre stato così". Non si tratta solo di pastorizia e lavoro, ma proprio di tutti gli aspetti relativi a questo mondo fuori dal tempo e sempre uguale. Ecco che si aggiungono il senso del rispetto, la paura di perdere l'onore, la mancanza di dialogo tra genitori e figli perché "non si parla mai di queste cose" o per non provare vergogna. Lo stesso uso della lingua è indicativo della differenza di pensiero: il figlio che parla solo in italiano (e per questo rimproverato dal padre al loro primo incontro dopo tanto tempo), la nuora che parla tedesco e inglese (e un italiano sgrammaticato) e il padre che non si separa dal dialetto stretto. Tutti e tre non si preoccupano mai di farsi capire meglio dalle persone con cui si rapportano: come a dire che, se non parli la stessa lingua, rimarrai uno straniero che non potrà mai capire cosa significa essere pastori.
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Tra tradizione e contemporaneità
Volto del protagonista è quello di Gavino Ledda, lo scrittore di Padre Padrone reso famoso dall'adattamento cinematografico dei Fratelli Taviani del 1977. In quel corpo ormai vecchio, con la pelle flaccida e segnata dagli anni di lavoro e le rughe che scavano il volto, il suo Costantino porta con sé le tracce di una vita legata alla tradizione, così profonda nel suo essere da rinnegare continuamente le novità che suo figlio vuole portare. C'è un senso di rispetto per la terra che l'ha cresciuto e per gli animali che l'hanno fatto crescere (per quanto sia una battuta detta per i turisti, non neghiamo che Costantino sia davvero convinto che siamo tutti "fratelli di latte") che evita i cambiamenti per timore di andare contro l'ordine naturale delle cose. Al contrario, la pelle del figlio è giovane, bella, così come quella della nuora, una bionda formosa che con il suo carattere assomiglia a una nuova madre benevola. Basterebbe sottolineare quest'attenzione verso i corpi e il diverso modo in cui Mereu li inquadra per riassumere tutto il senso del film: non è solo uno scontro ideologico, ma anche un confronto fisico. E sarà proprio attraverso la fisicità che il film, rischiando molto e osando forse un po' troppo, racconterà la storia di un'epifania. Allo stesso modo Mereu si inserisce nella tradizione di un certo cinema italiano attento a raffigurare la vita contadina (un nome su tutti: Ermanno Olmi) con uno sguardo quasi documentaristico e senza filtri (alcuni spettatori potranno non digerire un paio di sequenze) unendolo, però, a un uso espressivo della fotografia e una base narrativa che ricorda i thriller con il mistero principale da svelare.
Fascino e repulsione
Il mondo catturato dalla macchina da presa di Assandira è pieno di fascino tanto che non stentiamo a credere nel successo dell'agriturismo. Quando Mereu si interessa a mostrarci quel solco della tradizione di cui si fa portatore Costantino si sente uno sguardo sincero, quasi da antropologo che non può che risultare interessante e affascinante. Il conflitto tra il vecchio e il nuovo regge per gran parte del film salvo poi scivolare su qualche scelta narrativa non del tutto a fuoco. Ad un certo punto è come se la storia andasse oltre i limiti del mondo verosimile che fino a quel momento aveva definito perfettamente per diventare qualcos'altro, stonando e mettendone a dura prova la credibilità. Purtroppo, proprio a causa di questo, il tema portante del film subisce un duro colpo, indietreggiando e appiattendosi: il conflitto, fin lì davvero bilanciato, inizia a pendere prepotentemente da una parte che perde di attrattiva e di potenza. Alla fine di Assandira si ha l'impressione di aver perso un'occasione di mandare sì un messaggio davvero innovativo e rivoluzionario, preferendo una più semplice conclusione che, in un'epoca in cui il conflitto tra generazioni e lo scontro tra cambiamento e conservatorismo si tramuta in molti modi, appare fuori tempo massimo. Rimangono le belle intuizioni tra cui una veramente moderna e interessante: non siamo legati alla vera tradizione, ma al racconto di come pensiamo lo sia.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Assandira possiamo affermare che il film di Salvatore Mereu ha più aspetti positivi che negativi. Vengono affrontati molti temi interessanti, moderni e perfettamente inseriti nel nostro tempo, con uno sguardo coraggioso e allo stesso tempo fedele a un certo classicismo funzionale. Purtroppo, alcune scelte narrative allontanano la credibilità dell’intera vicenda, togliendo al film tutta la profondità che si era perfettamente costruita durante tutta la prima metà.
Perché ci piace
- Salvatore Mereu riesce a dare vita a un film che unisce la tradizione (anche cinematografica) alla contemporaneità.
- Il lavoro sui corpi, la fisicità e i volti degli attori (soprattutto Gavino Ledda) costruiscono benissimo il discorso che Assandira vuole affrontare.
Cosa non va
- Le scelte narrative della seconda parte del film depotenziano di molto la profondità dell’opera.
- Alcune sequenze (va detto, per nulla gratuite) potrebbero turbare gli spettatori più sensibili.