Gli occhioni dolci di E.T., la melodia ipnotica di Incontri ravvicinati del terzo tipo, l'avvolgente familiarità di Contact: gli alieni al cinema di solito vengono raffigurati in due modi: o come una minaccia mostruosa che bisogna combattere, o come qualcosa di diverso da noi ma che condivide con gli esseri umani il desiderio di scoperta e il fascino per l'ignoto. Attraverso questa fantascienza "ottimista", possiamo vederci sotto una luce diversa e riscoprire la nostra umanità.
Arrival, nelle sale italiane dal 19 gennaio, nuova fatica di Denis Villeneuve, talentuoso autore di Prisoners e Sicario, e presto di nuovo al cinema con il sequel di Blade Runner, Blade Runner 2049, appartiene a questa seconda categoria: all'improvviso, a ogni angolo della Terra, appaiono degli oggetti alieni non identificati, dall'aspetto ovale e di colore nero. Al loro interno ci sono delle forme di vita mai viste prima, che tentano di comunicare con un misterioso linguaggio di segni. Per decifrate i messaggi degli insoliti visitatori, è chiamata la linguista Louise Banks (Amy Adams), a cui viene affiancato il fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner). Più Louise entra nella mente degli alieni, più è convinta che si debba cercare di comunicare con loro, dimostrando di avere più curiosità che paura. Ma non tutti, specialmente i governi, sono d'accordo con lei.
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Un film di fantascienza sull'intuizione e sulla comunicazione
"Non si tiene il conto delle volte in cui, al cinema, gli esseri umani sono attaccati dagli alieni" ci ha detto Villeneuve al 73esimo Festival di Venezia, dove il film è stato presentato in concorso, continuando: "Questo film è diverso, è uno degli aspetti che mi ha spinto a farlo. Negli ultimi dieci anni ho lavorato su temi molto cupi e quando ho letto il libro di Ted Chiang, Story of Your Life, ho sentito che mi avrebbe dato la possibilità parlare della realtà in modo più luminoso e aperto. Sento di aver bisogno di storie così in questo momento. Avevo bisogno di questa storia: ho bisogno di speranza, ho bisogno dell'idea di essere aperti ad altre culture, essere aperti all'ignoto, di cui non bisogna avere paura, ma cercare di capirlo con l'intuito. Per me questo è un film sull'intuizione".
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Arrival è anche un film sulla comunicazione. Oggi abbiamo una tecnologia talmente avanzata da poter raggiungere qualsiasi persona ovunque, eppure scambiarci davvero informazioni e sentimenti è ancora difficile: "Onestamente credo che, mai come oggi, l'umanità sia rovinata dall'ego" ha affermato Villeneuve, continuando: "C'è molto narcisismo. È vero, c'è più tecnologia, ma non siamo più aperti: abbiamo puntato l'obiettivo su noi stessi. Siamo poco umili. Questo è un altro dei temi portanti del film: la mancanza di umiltà di oggi. La sento, almeno nella società occidentale".
Il personaggio di Amy Adams qualche anno fa sarebbe stato, probabilmente, affidato a un uomo. Il ruolo delle donne sta cambiando anche al cinema? "È interessante il fatto che in molti mi stiano facendo questa domanda: perché la tua protagonista è una donna? Dovrebbe essere normale. Personalmente credo che il punto di vista femminile sia molto interessante e stimolante. Amo le donne e credo che oggi ci sia poco spazio per loro. Questo è il mio modo per esprimere amore per l'universo femminile: mi intriga realizzare film con protagoniste donne". Visto che il linguaggio, in particolare quello scritto, è fondamentale in Arrival, abbiamo chiesto a Villeneuve qual è stata la prima parola in assoluto che ha pronunciato e con quale definirebbe l'umanità: "La prima parola che ho detto? Non ne ho idea! Non lo ricordo, dovrebbe fare questa domanda a mia madre. Per quanto riguarda la parola con cui definirei l'umanità invece... è difficile. Ma forse, pensando a oggi, direi controllo. E non è un bene".