Dopo il successo di Quo Vadis, Baby? e Romanzo criminale - La serie, Sky Cinema torna alla produzione con la miniserie in due puntate Nel nome del male incentrata sul fenomeno del satanismo e sul fascino perverso che esercita sui giovani italiani. Negli ultimi 35 anni più di 20.000 persone sono scomparse in Italia, quasi la metà dei quali sono minori di 18 anni, un fenomeno che ha interessato la cronaca e ha lanciato un allarme sette. Diretta con la solita inventiva da Alex Infascelli, la miniserie racconta una tragedia ambientata nel Nord-Est del nostro paese: Giovanni Baldassi, un industriale benestante, vede misteriosamente sparire il figlio e nelle sue indagini scopre sconvolto il coinvolgimento di questi nell'inquietante sottobosco delle sette sataniche. Nell'affannosa ricerca del ragazzo, partirà per lui anche un percorso di cambiamento personale lungo il quale dovrà affrontare i fantasmi del proprio passato. Protagonista di Nel nome del male è Fabrizio Bentivoglio, alla sua prima esperienza in una fiction italiana per la tv, mentre ad affiancarlo ci sono Michela Cescon, nel ruolo della moglie dal carattere duro che sceglie di abbandonarlo in questo suo difficile percorso di ricerca, Pierpaolo Spollon, che veste i panni del figlio Matteo, lo scrittore Vitaliano Trevisan ancora una volta nelle vesti di attore, Davide Lorino e Alessandra Agosti. Regista e attori hanno incontrato la stampa per parlare della mini-serie che andrà in onda il 2 e 3 giugno in prima serata su Sky Cinema 1.
Alex Infascelli, per la prima volta in una fiction italiana viene utilizzata la camera HD Red, uno strumento che conselnte la massima risoluzione possibile. Com'è stata quest'esperienza?
Alex Infascelli: Siamo stati i primi in Italia a usare la HD Red che è forse la più bella e la più cinematografica digitale in circolazione. Noi ne abbiamo fatto un tipo di utilizzo narrativo: invece di avvicinarci al digitale come fanno molti, pensando cioè al digitale, l'abbiamo usato pensando a un film in 35mm. La sua velocità e la sua versatilità ci hanno spinto poi a scelte che si ritrovano anche come sensazioni guardando i film.Com'è stato lavorare per una fiction televisiva?
Alex Infascelli: Nessuno di noi ha mai pensato di fare un prodotto televisivo. Avevamo una sceneggiatura unica e abbiamo fatto un unico film, lasciando poi a Sky la discrezione di tagliarlo in due parti come fosse un pezzo di pane. Il film avrà però una sua versione più compressa, con scene che sembravano troppo forti per il passaggio in prima serata. Non volevamo insomma spingere l'acceleratore su certe cose e ce le siamo tenute per una versione alternativa.
Come ha scelto di affrontare il tema del satanismo?
Alex Infascelli: Da un punto di vista etico questo film comportava un'onestà intellettuale nel raccontare fatti che poi si sono sovrapposti alla cronaca. La mia scelta, fin dall'inizio, è stata quella di allontanarmi il più possibile dalla cronaca, dai fatti reali e dai numeri. La differenza credo che la faccia sempre cosa avviene in questi casi e perché. Nel nome del male è un film con una grossa componente soggettiva che è quella del protagonista Giovanni Baldassi, interpretato da Fabrizio Bentivoglio. Non si tratta di una vicenda con un punto di vista aereo, di chi guarda a un plastico. Non sapendo il personaggio nulla del satanismo, ho voluto rappresentare la sua ignoranza rispetto al tema, raccontare le sette sempre attraverso la chimica epidermica di Giovanni Baldassi. Il satanismo è un argomento che non ho mai approfondito personalmente, tranne alcune letture, più filosofiche che pratiche. Non volevo approfondire l'argomento da un punto di vista scientifico, ma concentrarmi sugli aspetti umani. Quello che ho raccontato è quello che il protagonista incontra, quindi ho mantenuto un punto di vista naïf. Se avessi scelto un punto di vista criminale mi sarei spostato su uno stile più descrittivo e non credo che questo avrebbe giovato alla buona riuscita del film.Spesso nella fiction italiana non vengono affrontati temi così scioccanti. Perché secondo lei?
Alex Infascelli: Il veicolo per affrontare un argomento deve essere la storia e la nostra è la storia di un'antitesi rispetto al solito raccontare di personaggi noti. E' il biopic di uno sconosciuto. Abbiamo fatto questo film perché, al di là dell'argomento, c'era una storia reale di base che abbiamo preso come spunto e dalla quale ci siamo però allontanati. E' la storia della ricerca di un figlio scomparso da parte del padre. Noi cerchiamo di creare dei prototipi su degli archetipi. Per esempio in Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick c'era un unico personaggio centrale e quello che si vede in quel film è quello che lui sperimenta. Qui avviene lo stesso: sperimentiamo quello che sperimenta Baldassi. Con questa mini-serie non abbiamo fatto altro che raccontare un aspetto di un fondamentalismo, quello che sta succedendo nel mondo: sotto il tappeto c'è anche questo.
Perché la scelta di raccontare una madre che non piange mai e un prete ben poco simpatico?
Alex Infascelli: Abbiamo semplicemente scelto di raccontare una madre che non piange e un prete stronzo. Il bello di questo mestiere è creare personaggi tridimensionali, che siano dei prototipi. Un personaggio è vero nel contesto in cui si trova, non rispetto alla realtà.Com'è stato lavorare con Fabrizio Bentivoglio?
Alex Infascelli: Lui è un attore che ha un approccio alla recitazione di tipo scientifico e metodico. Con me invece si è dovuto inventare uno stile totalmente diverso e credo che i risultati si vedano. Io e Fabrizio siamo diventati un po' il papà e la mamma del resto del cast. Per me è stata un'occasione particolare, perché ho sempre fatto film sulle e con le donne, rimandando perennemente il confronto con cose che in passato mi hanno fatto soffrire. Questo film è stato un passaggio fondamentale per me e in Fabrizio ho trovato un alleato e anche un rifugio nei momenti in cui mi sono perso, perché a volte per trovare una storia bisogna perdersi. Ho ritrovato questa familiarità con tutto il cast, da Michela Cescon a Vitaliano Trevisan, fino a tutti i ragazzi che hanno preso parte il progetto. Sul set si era venuta a creare un'atmosfera particolare che poi è stato un dispiacere abbandonare.
Fabrizio Bentivoglio, è stato difficile piegare il suo approccio scientifico alla recitazione allo stile particolare di un regista estroso come Infascelli?
Fabrizio Bentivoglio: E' vero, il mio approccio è di tipo metodico, ma con certi tempi produttivi non sempre è rispettabile. Certe volte bisogna fare i cowboy, buttarsi a capofitto nel progetto senza stare troppo a pensarci. In questi casi la metodicità e la scientificità vanno a farsi benedire. Questo è possibile se si ha una complicità con le persone con le quali si lavora: solo questo permette di non perdere la bussola e fa uscire cose nuove, impreviste, creative.Lei interpreta il protagonista Giovanni Baldassi, il padre di un ragazzo che viene coinvolto nel mondo inquietante delle sette sataniche. Qual è il percorso del suo personaggio nel film?
Fabrizio Bentivoglio: Prima di cominciare a girare abbiamo diviso Giovanni Baldassi in tre diversi momenti, a ognuno del quale corrispondeva un colore e una postura corporea diversa. Il primo Giovanni Baldassi è quello che si vede all'inizio, un imprenditore di provincia che ha tutto: una bella famiglia, una bella casa, una fabbrica che produce belle scarpe. E' un uomo che ha perso in umanità, si è un po' inaridito e che non riesce a comunicare granché con chi gli sta intorno. Con la scomparsa del figlio si passa a un secondo Giovanni Baldassi: prima viene sorpreso, meravigliato da quella scomparsa, poi comincia goffamento ad analizzarsi, a farsi domande, a chiedersi dove abbia sbagliato, per capire infine che questo figlio non lo conosceva per niente. Baldassi è un uomo che porta gli occhiali, ma il suo è più un non vederci emotivo, sentimentale, Il terzo Giovanni Baldassi è quello a cui si rompono gli occhiali, ma che malgrado questo torna a vedere, che si ricongiunge con il proprio padre e con le proprie origini contadine. Potremmo addirittura trovare un quattro Baldassi, proprio nel finale: quello che si comporta di conseguenza a quello che è successo.
Come si è preparato ad affrontare questo film sul satanismo?
Fabrizio Bentivoglio: A dir la verità, non mi sono documentato affatto. Ci sono stati fatti di cronaca, uno in particolare, che conosciamo tutti, ma sono stati solo un pretesto per il film, perché credo che le possibilità di perdersi per un ragazzo siano tantissime, tra le più svariate. Questa è una buona possibilità per rappresentare tutte le altre, per fungere da metafore di tutte quelle sette che ci circondano.Come mai non aveva mai fatto finora televisione e cosa l'ha convinta ad accettare questo progetto?
Fabrizio Bentivoglio: Non mi è mai piaciuto quello che ho visto in tv e avevo di meglio da fare. Ho scelto di fare questo film perché l'incontro con Alex è stato bello e importante. E' stata un'ottima occasione per lavorare con lui, e spero si possa ripetere in futuro, ma non credo di tornare a fare televisione, perché cerco sempre cose che vadano in direzioni diverse. Non c'è nessuna grande differenza tra tv e cinema, anche a livello pratico, a parte il fatto di girare in elettronica. Altra differenza è quella del tempo: abbiamo impiegato otto settimane per girare una mini-serie di tre ore, quando normalmente ce ne vogliono altrettante per un film di un'ora e mezza. E' una sfida puramente artigianale col tempo: devi riuscire nello stesso tempo a fare il doppio del lavoro con la stessa identica qualità, senza arronzare!
Com'è stata l'esperienza per gli altri attori?
Michela Cescon: Quando sono stata chiamata da Infascelli e ho letto la sceneggiatura ho pensato di non accettare, perché questo ruolo di madre così rinunciataria non mi stimolava. Non avevo voglia di affrontare un personaggio così duro, ma l'incontro con Alex mi ha fatto cambiare idea. Quello che ricordo con passione è stata l'avventura sul set: sembrava ogni volta di entrare in uno studio di un artista con colori, suoni e atmosfere di cui poi ho avuto grande nostalgia quando sono finite le riprese. Ci siamo divertiti a scardinare profondamente il personaggio di Lucia, pur lasciandolo nei limiti in cui era stato scritto. E' un personaggio contemporaneo che ha difficoltà di osservare chi ha messo al mondo e di accettare la possibilità che i propri figli facciano un incontro così negativo. Pierpaolo Spollon: Quando ho letto la sceneggiatura ho trovato varie somiglianze tra Matteo e un tipico ragazzo della sua età. Per quanto mi riguarda, era però molto diverso da me, a parte le incomprensioni nel rapporto con i genitori. Matteo è un ragazzo normalissimo, con le sue difficoltà, che è stato traviato dal suo percorso personale dalla vita di paese. E' stata un'esperienza bellissima lavorare a questo film, per me Michela e Fabrizio sono due mostri sacri nonché due genitori, mentre Alex un grande amico. Se non sono scoppiato è stato merito loro che hanno saputo mettermi a mio agio. Davide Lorino: Ho cercato di giocare il più possibile con questo personaggio, quello del meccanico che fa parte del "giro" di Matteo, cercando di divertirmi ma consapevole della storia delicata e importante che si raccontava. Volevo portare il personaggio il più possibile vicino a me per dargli un'umanità.Alex Infascelli: Davide aveva il compito di incarnare un'ambiguità e in lui ho trovato una caratteristica rara per gli attori italiani: un'elasticità sia nella fisiognomica che nel mantenere in movimento il personaggio. Non lo conoscevo prima di questo progetto ed è stato Fabrizio a presentarmelo, perché aveva già lavorato nel suo debutto da regista, [FILM]Lascia perdere Johnny[/PEOPLE].
Com'è andato invece l'incontro con Vitaliano Trevisan?
Alex Infascelli: Per me che faccio film di cattivi Vitaliano è un sogno, è come John Holmes per un regista di film porno. Non l'avevo mai visto prima di Primo amore, il film di Matteo Garrone nel quale recitava accanto a Michela Cescon, e ho deciso di chiamarli entrambi trasformandoli completamente, un po' come Kate Winslet e Leonardo DiCaprio. Per Vitaliano si trattava di un ruolo totalmente antitetico rispetto a quanto fatto da lui finora. Siamo diventati compagni di cattiverie e se gli altri sono dei fantastici pennelli, lui è un pennino di chian che permette grande precisione. Spesso mi affidavo a lui anche per i dialoghi e per il dialetto. Nel momento in cui entra in scena Vitaliano si cade in un buco nero, nel profondo Nord-Est.