1 novembre 2019: in quel giorno c'è stato il lancio ufficiale di Apple TV+, la piattaforma streaming il cui annuncio risaliva a pochi mesi prima, durante un evento speciale della società creata da Steve Jobs che si era tenuto il 25 marzo (ma già dal 2015 si parlava di un servizio apposito targato Apple, per rivaleggiare con i vari Netflix, Amazon Prime Video e compagnia bella). Un lancio non privo di contenuti, poiché il primo giorno erano disponibili otto serie televisive e un lungometraggio documentario, e nuovi titoli sono stati aggiunti a ritmo regolare ma non eccessivo: generalmente una o due novità al mese, contro le offerte a cadenza settimanale di altre piattaforme. Nel corso di questo primo anno, caratterizzato in parte da un aumento generale di popolarità per lo streaming, gli sviluppi interessanti sono stati non pochi, e il futuro si annuncia ancora più intrigante, ragion per cui abbiamo deciso di stilare questo primo bilancio provvisorio di alti e bassi del servizio, tra modalità di fruizione e tipologia di contenuti.
Poco per volta
Tra i principali pregi di Apple TV+ c'è sicuramente quello della modalità di visione, sin dal primo giorno: salvo rare eccezioni, le produzioni seriali originali esordiscono con tre episodi, e quelli successivi arrivano una volta a settimana. Una strategia che consente agli utenti di farsi un'idea del contenuto dello show e mantiene viva la conversazione attorno allo stesso, soprattutto se si tratta di una storia serializzata che si avvale di misteri e cliffhanger (vedi The Morning Show, o la miniserie thriller In difesa di Jacob).
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A questo si aggiunge anche la decisione da parte della Apple di non avere l'approccio alquanto bulimico di altri servizi: mentre Netflix, Amazon Prime Video e Disney+ tendono ad avere almeno una novità ogni settimana (se non di più nel primo caso), Apple TV+ si limita a una manciata di titoli al mese, fra serie e film. Difatti è forse l'unico dei servizi disponibili per cui si può veramente dire, come alcuni hanno scherzosamente fatto per altre piattaforme a partire da marzo 2020 per via del lockdown, di "aver finito" il catalogo, se ci si mette d'impegno. Prendiamo i lungometraggi, per esempio: al momento ce ne sono nove (quattro di finzione, cinque documentari), contro i diciassette che Disney+ ha lanciato più o meno nello stesso arco di tempo, avendo debuttato una decina di giorni dopo.
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Star system
Già al momento della conferenza stampa con l'annuncio ufficiale la piattaforma ha sottolineato il suo volersi avvalere della collaborazione di nomi prestigiosi, soprattutto davanti alla macchina da presa: basti pensare che nel giorno del debutto le varie serie vantavano volti del calibro di Jennifer Aniston, Reese Witherspoon, Steve Carell e Jason Momoa, senza dimenticare Oprah Winfrey per la componente non-fiction. In altri casi si parla soprattutto del cineasta coinvolto come produttore esecutivo (Steven Spielberg o M. Night Shyamalan) o direttamente come autore di uno dei lungometraggi (Werner Herzog, il cui nuovo documentario arriverà sulla piattaforma a breve dopo essere stato in programma a festival come Toronto e Roma), e si prospettano altre partnership succose come quelle con le case di produzione gestite da Leonardo DiCaprio e Martin Scorsese. E poi c'è l'aspetto, non meno importante, di determinati brand forti da poter sfruttare: oltre a produrre nuove serie animate basate su quel mondo, Apple TV+ detiene ora i diritti esclusivi di tutti gli speciali televisivi tratti dai fumetti dei Peanuts (mentre il lungometraggio cinematografico del 2015, prodotto da Blue Sky Studios per l'allora 20th Century Fox, è di proprietà della Disney), e nel 2021 arriverà Foundation, atteso adattamento della saga letteraria di fantascienza creata da Isaac Asimov.
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Catalogo in crescita
Caratteristica davvero unica di Apple TV+ nelle prime fasi della sua esistenza era il voler puntare esclusivamente sulle produzioni originali (con eventuali acquisizioni come accaduto con Greyhound, inizialmente previsto per le sale all'interno del listino Sony/Columbia), senza un catalogo fatto di materiale di terzi. Una scelta principalmente finanziaria e strategica, dato che le licenze costano e l'assenza di prodotti non originali avrebbe reso più uniforme l'offerta del servizio in tutti i paesi dove è disponibile, a differenza di quello che accade con piattaforme come Netflix e Amazon i cui archivi sono in costante mutamento (un esempio recente è Mad Men, che ha migrato da un catalogo all'altro durante l'estate 2020). Complice la crisi sanitaria globale che ha portato a ritardi nella lavorazione degli originali, in particolare le nuove stagioni delle prime serie disponibili al momento del lancio (al momento l'unica data certa è quella della seconda annata di Dickinson, che arriverà l'8 gennaio), c'è stato un cambio di rotta, attualmente legato soprattutto alle novità in catalogo: alla già menzionata questione dei Peanuts si aggiunge il ritorno di Fraggle Rock, storica produzione di Jim Henson che in attesa di un già annunciato revival è presente con gli episodi classici, così come la docuserie sui viaggi in motocicletta di Ewan McGregor e Charlie Boorman, il cui terzo ciclo è stato realizzato appositamente per Apple. Una scelta forse inevitabile, dato che oltre al fattore pratico legato alla produzione di nuovi titoli c'è la necessità di attirare un pubblico ormai abituato alla possibilità di poter accedere anche a materiale più vetusto.
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Questioni tecniche
Se bisogna scovare un vero e proprio difetto (al di là della controversia legata all'accusa di plagio nei confronti degli autori di Servant), esso è rintracciabile, come per praticamente tutte le altre piattaforme, nella componente tecnica legata all'utilizzo del servizio stesso: ci si lamenta spesso dei problemi di interfaccia e ricerca titoli sui vari servizi (in particolare quella di Amazon Prime Video, decisamente poco user-friendly e forse di scarsa importanza per la società principale in quanto solo un'estensione di una realtà più vasta che è la modalità Prime per gli acquisti online), i quali comunque hanno siti o app dedicate. Apple TV+ invece esiste o all'interno dell'applicazione Apple TV o come sezione del sito principale della società (a seconda del dispositivo che si usa), e soprattutto nel primo caso, complice la presenza di altri canali e di un catalogo di film disponibili per l'acquisto o il noleggio digitale, la navigazione può risultare meno intuitiva del previsto. Se a questo aggiungiamo problemi di compatibilità con certi sistemi e dispositivi (in particolare Chromecast), non sorprende più di tanto che il servizio abbia un po' faticato ad attirare abbonati (se facciamo il paragone con Disney+, quest'ultimo ha ottenuto in un giorno il numero - 10 milioni di utenti - che Apple ha raggiunto dopo tre mesi), pur offrendo soluzioni vantaggiose come un anno gratuito per chi acquista un nuovo dispositivo. Un ostacolo di non poco conto ma non impossibile da superare, soprattutto se la strategia rimarrà quella di puntare sulla qualità e non sulla quantità.