In occasione dell'uscita al cinema di Apocalypse Now: Final Cut riscopriamo il film capolavoro di Francis Ford Coppola. Opera che, grazie a un atto finale indimenticabile, a distanza di 40 anni dalla sua prima uscita mantiene intatta tutta la sua potenza.
This is the end
Non inizia con loghi o titoli Apocalypse Now, ma con il rumore di un elicottero che lascia lentamente spazio alla chitarra di Robby Krieger mentre sullo schermo una giungla viene bombardata. In sovrimpressione, al lato sinistro dello schermo, vediamo per la prima volta il protagonista del film, il capitano Willard (Martin Sheen), a testa in giù. Il fuoco della giungla si confonde con i suoi capelli, il ventilatore appeso al soffitto della sua stanza d'albergo si confonde con le pale dell'elicottero. Complice la musica psichedelica dei The Doors, il montaggio di Walter Murch e la follia improvvisata di Martin Sheen (tirerà davvero un pugno allo specchio tagliandosi la mano), a due minuti dall'inizio del film siamo già catapultati dentro un'esperienza audiovisiva unica, un viaggio allucinogeno all'interno della guerra (non solo del Vietnam) e della psiche umana.
Lungo il filo di un rasoio
Dopo il prologo, il film - considerato oggi uno dei migliori film cult della storia del cinema - sembra adagiarsi su direzioni più canoniche. Willard ha una missione: risalire un fiume con una piccola squadra, trovare e uccidere il colonnello Kurtz (Marlon Brando), un pluridecorato americano che sembra aver perso la ragione. Per arrivare a Kurtz Willard inizierà a confrontarsi con il suo io e a rendersi testimone dell'inferno della guerra. Risalire il fiume che "serpeggia tra la guerra come un cavo elettrico, con la spina inserita direttamente dentro Kurtz" vuol dire addentrarsi nella giungla selvaggia del cuore (di tenebra) umano. Un viaggio, quindi, che ripercorre il conflitto del cuore umano, lo scontro tra bene e male, tra ragione e irrazionalità. Un viaggio fatto di disumanità, d'interessi personali, di assassinii a cuor leggero, di pianti e di paure, di momenti rilassati che si trasformano in scontri a fuoco, di fumo, sangue e urla. Lungo tutto il film siamo circondati dal caos, più proseguiamo più questo caos diventa la natura umana e motivo di sopravvivenza per chi ci vive dentro. "Mai lasciare la barca a meno che uno non sia pronto ad andare a fondo" viene detto. Kurtz ha lasciato la barca e ora viene visto come un dio.
La fine del viaggio
È proprio nel terzo atto che il film si trasforma abbandonando il caos della guerra, lo stile realistico e la narrazione asciutta. Una volta arrivati nel tempio di Kurtz si entra in una dimensione quasi onirica, il racconto si liquefà, si entra in una dimensione che non appartiene all'uomo. All'inizio del film Willard non riesce a collegare il volto di Kurtz alla sua voce e la fotografia caravaggesca di Vittorio Storaro ci nasconde il volto di Marlon Brando continuamente. Siamo giunti alla fine del viaggio, al cuore oscuro e il buio ci circonda. Gli ultimi trenta minuti richiamano il prologo psichedelico dando vita a una delle sequenze più celebri e potenti della storia del cinema. La morte di Kurtz alternata al sacrificio del vitello, i lampi che illuminano per un istante un Willard ricoperto di fango, il fumo che si alza dalle acque rendono il film una vera e propria esperienza cinematografica al pari del finale di 2001: Odissea nello spazio.
Paradossalmente, è proprio arrivando al cuore del film, in un ambiente intimo, chiuso, buio e silenzioso, che la potenza espressiva del cinema sembra illimitata. Si compie l'apocalisse che non è solo la fine del sogno americano, non è solo la denuncia sulla mancanza di senso della guerra (del Vietnam, ma non solo), ma anche il rendersi conto che l'uccisione del padre non è più un atto sovversivo da parte del figlio. Willard, alla fine, se ne va dal tempio con la consapevolezza di essere molto più simile a Kurtz di quel che credeva. Le nuove generazioni sono state, infine, plagiate e assorbite da quelle vecchie. Non è un caso che Apocalypse Now, insieme a I cancelli del cielo di Michael Cimino, porrà ideologicamente fine a quel periodo fertile, giovanile e innovativo del cinema americano noto come New Hollywood. Rimangono, ad ogni modo, i temi più che mai attuali, quello dello scontro generazionale (basti pensare a opere di successo come Il trono di spade che basa l'ultima stagione proprio su questo conflitto) e quello dell'alienazione dell'individuo giudicato come un pericolo dalla società (vedasi Joker di Todd Phillips).
Apocalypse Now: 40 anni fa Coppola stupiva Cannes e il mondo intero
L'orrore... l'orrore
Dal 14 al 16 ottobre, Apocalypse Now torna nelle sale, restaurato dai negativi originali e nella nuova versione firmata da Francis Ford Coppola chiamata Apocalypse Now: Final Cut, una specie di compendio tra la versione cinematografica originale e la ben più lunga Redux. È un'occasione preziosa per riscoprire un film che, qualunque durata abbia, non invecchia di un giorno. Apocalypse Now è una vera e propria esperienza sensoriale audiovisiva che merita il buio della sala cinematografica. Se è vero che usa il Vietnam per parlare della guerra intrinseca in ognuno di noi, è altrettanto vero che rimarrà indelebile e potente, un'opera fresca e attuale, finché intorno e dentro di noi ci sarà una guerra.