Sotto, il brusio del traffico. Clacson, sirene, schiamazzi. Il rumore confortante di un venerdì pomeriggio di inizio novembre, quando il cielo è ormai scuro, confondendosi con la sera. "Sto andando in aeroporto, torno a casa, a Milano", ci dice Antonio Folletto, che ha appena finito di girare la rom-com Ma chi ti conosce di Francesco Fanuele (nel cast anche un'altra promessa già mantenuta del nostro cinema, Simona Tabasco, con cui condivide già il set de I Bastardi di Pizzofalcone).
Venti minuti al telefono con l'attore, venti minuti a parlare di cinema, del lavoro dell'attore, di Breaking Bad e di Gomorra (parte del successo lo deve proprio al personaggio de 'o Principe), di calcio e di Gabriele Muccino. Ma anche e soprattutto del tripudio della serie Rai I Bastardi di Pizzofalcone - "nessuno si immaginava di girare la quarta stagione!", ci dice -, e dell'importanza di lavorare in un film coraggioso come Shukran di Pietro Malegori, presentato ad Alice nella Città, e ambientato nella Damasco del 2011, allo scoccare della guerra civile siriana. Perché "La cosa più bella per un attore è cambiare, e stupirsi del cambiamento".
Antonio Folletto, la nostra intervista
Antonio, partiamo da lontano. Al cinema hai esordito in un film di Marco Risi, Tre tocchi. Era il 2014. Ma te lo ricordi il primo giorno di set?
(Ride, ndr) Il primo giorno non me lo ricordo, a dire il vero, ma ricordo bene l'incontro con Marco. Ero molto emozionato, ero teso, e non smettevo di parlare. Parlavo a macchinetta. Abbiamo parlato parlato di qualunque cosa, tranne che del film. In qualche modo mi ha fatto capire che il ruolo sarebbe stato mio... e non dimenticherò mai l'ok che mi fece Risi, dal balcone, appena lasciai l'ufficio. Non sapevo come rispondere, e feci l'ok anche io. Un ricordo bellissimo...
Tra l'altro Tre tocchi è un film sul calcio, e tu sei un grande appassionato.
Molto. Ho giocato a calcio, ma ho avuto un brutto infortunio a quattordici anni. Ho sempre continuato a giocare ma in modo amatoriale. La passione è forte, credo sia qualcosa di inspiegabile. Quando gioco, ma anche quando vedo una partita. Entro in trance agonistica!
Ma i calciatori, oggi, sono un po' come gli attori?
No, non credo. O meglio... C'è una similitudine, ma la vedo dal punto di vista dell'atletismo. Anche noi lavoriamo con il nostro corpo, dobbiamo prenderci cura di noi stessi. E prenderci cura della nostra anima. La comunicazione è alla base. Se non ti alleni, fai brutta figura.
"Il cinema? Un lavoro che richiede responsabilità"
Ecco, lavoro. Ma perché in Italia il cinema non è alla stregua degli altri mestieri?
Bella domanda. Perché è sempre stato visto in modo banale, come un hobby. Non sempre e non da tutti, ma viene de-nobilitato. E invece è tutto il contrario. Oggi però c'è un grande tentativo di riequilibrare, anche grazie al teatro. Molte scuole mettono il teatro nel programma. La recitazione è uno sport che ha che fare con la vita: mettersi nei panni degli altri permette di aprirsi e imparare. Chiaro, non posso non considerarmi fortunato, perché se una passione diventa lavoro è qualcosa di molto bello, ma è un lavoro a tutti gli effetti. Abbiamo delle responsabilità e degli obblighi, verso noi e verso le produzioni.
Un mestiere che ha a che fare con tanti altri mestieri...
Sì. Facciamo parte di una macchina enorme, non ci sono solo i registi o gli attori o gli sceneggiatori, o perché no, voi giornalisti. Il set è composto da tante figure, le maestranze. A volte sono quelli meno citati, ma sono fondamentali. Sono artisti.
Ti vedremo in Shukran di Pietro Malegori, esordiente. Mi sembra tu abbia lavorato spesso con registi al primo film...
Ogni film è un viaggio a sé. Prendo Gabriele Muccino (che lo ha diretto in A casa tutti bene - la serie, ndr.), e parliamo di un grande direttore di attori. Ha una consapevolezza su tutto ciò che accade sul set. L'approccio è quindi diverso. Allo stesso tempo però è bello stupirsi, e con Pietro è stato eccezionale perché con Shukran ha messo in scena una storia coraggiosa. Un regista ma anche un ragazzo che ha girato il suo primo film con una calma olimpica. Tanto che mi è venuto il dubbio fosse un esordio! A volte invece ti capita di esordire con qualcuno che approccia il set in un modo ancora diverso. È il bello degli incontri, degli scambi.
Al centro del film c'è una certa conflittualità. Ma un attore non si sente stretto tra il volere e il potere? Voler cambiare una battuta del copione, o una pettinatura del personaggio...
Il cinema è un lavoro di gruppo, e credo nella gerarchia. Credo sia giusto che ci siano delle decisioni a monte. Penso a Mario Martone con cui ho girato Capri Revolution. Martone è un autore, e sa esattamente il perché non va cambiata una battuta, o il perché il personaggio debba essere pettinato così. Ti affidi ad una visione. Una visione chiara. E non dobbiamo dimenticare che è tutto legato all'armonia. Può essere estemporanea, ma poi finisce per stupirti.
Il successo de I bastardi di Pizzofalcone
Cinema, e serialità. Ma ti aspettavi il successo de I Bastardi di Pizzofalcone? Insomma, essere sulla Rai vuol dire arrivare letteralmente nelle case delle persone.
Nel caso de I Bastardi nessuno si aspettava una quarta stagione. Sapevamo che dietro c'era una forte scrittura, però, come quella di Maurizio de Giovanni. La scrittura è fondamentale, basta pensare a Camilleri. Non ci aspettavamo questa valanga d'affetto, ecco. Le prime stagioni erano in un certo senso inconsapevoli. Tuttavia, poi ti rendi conto, e ne sei grato. Se non ci fosse il gradimento del pubblico non esisteremo...
I Bastardi di Pizzofalcone è una sorta noir urbano. Ma come mai il pubblico è così preso dalle storie thriller?
Siamo attratti dall'idea di farci sorprendere e spaventare, credo. E cito Breaking Bad, che per me è la serie migliore di tutte, un saggio mondiale su come deve essere intesa la scrittura. Li si intreccia tutto. Crime, thriller, ed è un dramma famigliare.
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Allora devo chiedertelo: meglio Breaking Bad o Better Call Saul?
Non ho ancora iniziato Better Call Saul! Ho il terrore di restare deluso, eppure tutti mi dicono sia un altro capolavoro (non possiamo che confermare, ndr.)
A proposito di serie. Parte del tuo successo lo devi anche a Gomorra. Che ne pensi del prequel annunciato?
In realtà sono rimasto sorpreso, perché potrebbe essere molto interessante. Sono curioso di scoprire cosa si inventeranno. È la serie italiana più vista al mondo. Auguro un grande augurio alla produzione e agli autori.
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Sei un attore molto richiesto, ma i tuoi ruoli sono centellinate. Quanto è importate dire no ad un copione?
Lo hanno detto dei grandi prima di me: Carlo Verdone e Mastroianni parlavano spesso dei no. Ad un certo punto è giusto dire no, anzi è doveroso. È giusto valutare che viaggio intraprendere, e con chi. Questo è un momento in cui stanno andando bene le cose, e mi impegno a fare che ciò resti costante. L'attore si mette al servizio delle storie, ed è bello anche poter cambiare... è una fortuna lavorare con dei grandi maestri, devi esserci attento. Poi capita di sbagliare, ma l'importante è provarci.
Ultima cosa: Shukran in arabo vuol dire grazie. E Antonio Folletto chi ringrazia?
Ringrazio mia madre, per come ha provato a tirarmi su.