A quasi due anni dal grande successo di Cetto LaQualunque che aveva stregato il pubblico con il suo ferocissimo fascino pesantemente politically uncorrect, la squadra formata da Giulio Manfredonia e Antonio Albanese torna sul grande schermo per quello che viene annunciato come il sequel di Qualunquemente ma che in realtà non si focalizza come il precedente su un solo personaggio. In Tutto tutto niente niente infatti Cetto è in compagnia di Frengo Stoppato, erede del vecchio Frengoestop televisivo riproposto nella versione rispolverata e rimodernata di una specie di santone dell'hashish deciso a riformare la Chiesa, e da Rodolfo Favaretto, detto Olfo, personaggio nuovo di zecca che con il suo razzismo ed il suo esercito del nord tenta di rincorrere il sogno secessionista traghettando immigrati clandestini in laguna. Al fianco del mattatore Antonio Albanese, che a febbraio sarà impegnato sul set del nuovo film di Gianni Amelio dal titolo L'intrepido, ritroviamo Lorenza Indovina, Davide Giordano (nei ruoli di moglie e figlio di Cetto), Lunetta Savino nei panni dell'esilarante mamma di Frengo la cui missione è far beatificare il figlio da vivo e un irriconoscibile Fabrizio Bentivoglio nell'insolita veste del viscido Sottosegretario, figura di riferimento della politica romana al servizio del Presidente del Consiglio interpretato da un avido Paolo Villaggio. Il cast al completo, capitanato da Antonio Albanese e dal regista Giulio Manfredonia, ha presentato il film al cinema Nuovo Sacher di Roma insieme a Domenico Procacci, produttore del film con Fandango. Il film sarà distribuito nelle sale in oltre settecento copie a partire da giovedì 13 dicembre grazie a 01Distribution.
Non è mai facile riprendere in mano una storia che ha avuto un successo capace di superare le aspettative, quanti dubbi, perplessità o domande vi siete posti prima di lanciarvi in questo nuovo progetto?Antonio Albanese: Dopo Qualunquemente l'intento era quello di continuare sulla linea di quella comicità per continuare a sviscerare la situazione attuale italiana ma stavolta volevamo provare ad andare oltre, a sviluppare ritmi diversi lavorando su personaggi diversi, su diverse gestualità, insomma su diversi livelli. Il mio modo di fare comicità, lo sapete, è soprattutto una questione fisica e mi divertiva l'idea di assemblare più elementi per raccontare la situazione da tre punti di vista diversi. La mia fortuna è stata quella di poter lavorare in piena autonomia e libertà, ho potuto lavorare di fantasia e liberarla totalmente, e come me anche gli scenografi, i musicisti e tutti gli altri. E' stato un grande onore aver avuto la possibilità di rappresentare il nostro lavoro senza condizionamenti.
Come definirebbe il suo film e i personaggi che lo abitano?
Antonio Albanese: E' un film psichedelico, grottesco, drammatico e anche comico. A me piace raccontare quello che ci circonda, i tempi che stiamo vivendo sono così o almeno io li vedo così, l'aria è nevrotica intorno a noi e le tante cose che ci succedono intorno spesso rasentano la follia senza che ce ne rendiamo conto. Siamo un po' tutti sul limite di un esaurimento nervoso come i nostri tre personaggi (ride).
Giulio Manfredonia: Quando ho letto il copione sono rimasto molto piacevolmente sorpreso perché mi sono subito reso conto che, nel bene o nel male, non sarebbe stato un 'numero due' come tanti. Il Cetto che vediamo qui non è lo stesso di Qualunquemente ma è solo una delle tre visioni di come l'italiano si pone oggi dinanzi a certi argomenti. Ho trovato un copione pieno di idee e di invenzioni e quindi ho deciso di buttarmi in quella che si è rivelata essere per me una grande sfida, più difficile di quella precedente, una sfida che mi ha portato a parlare del Vaticano, del Parlamento e che mi ha portato in luoghi non per forza vincolati al realismo in cui la realtà è deformata a misura di Antonio Albanese. E' stato difficile riuscire ad entrare nella sua ottica, con questo film Antonio mi ha aperto le porte della fantasia e mi ha mostrato le cose dal suo punto di vista, ed è stata questa la svolta.
Questo film sembra essere meno legato del precedente alla stretta attualità politica di questo periodo. E' solo un'impressione? La cosa è frutto di una scelta ben precisa da parte vostra?
Antonio Albanese: Quello che ci interessava era fare un film comico sulla situazione politica e sociale italiana e ci divertiva molto l'idea di ribaltare la prospettiva tra la galera e il Parlamento e poi di riscambiare di nuovo le carte in gioco. Non ci siamo appoggiati su una posizione politica particolare o su un argomento preciso, volevamo puntare sullo sviluppo fisico della risata e rendere ridicolo tutto e tutti. Non so dire fino a che punto le cose che vedete sono reali o irreali, non siamo stati attenti a questo. Se avessimo voluto fare un film politico non lo avremmo fatto di certo così.
Antonio Albanese: E' proprio per il grande rispetto che ho per le donne che ho rappresentato questi tre personaggi in questo modo, è per questo che mi sono impegnato così tanto a rappresentare queste mostruosità umane. Io non amo Cetto, egli è solo una rappresentazione negativa dell'uomo di oggi, io odio totalmente quelli come Olfo e Frengo, ma penso che sia sottinteso. Non è casuale il fatto che io abbia scelto di interpretare Olfo in questo modo, la deriva razzista nel nostro paese viene molto sottovalutata ma posso dirvi che durante la lavorazione abbiamo frequentato gli ambienti armati del nord secessionista e non c'è da stare tranquilli.
Come nasce il nuovo personaggio di Rodolfo Favaretto?
Antonio Albanese: Nasce dalla mia frequentazione in terra veneta, una regione ricca di estremi, politici e di costume, e piena di fantasia, di intraprendenza, ma soprattutto nasce da un suono dialettale. Mi piaceva l'idea di lavorare su questo, dall'osservazione e dalla voglia di raccontare qualcosa di più ingenuamente feroce.
Lunetta Savino: Per me lavorare a questo film è stato un divertimento assoluto, il tipo di approccio al personaggio che usa Antonio è sicuramente qualcosa che a livello attoriale ha un altro passo rispetto alla recitazione classica. Quello che mi ha chiesto di fare in questo film è diverso da tutto quello che avevo fatto fino a quel momento, non hai più un volto ma indossi una maschera che prende spunto dai 'sintomi' che appartengono alla realtà quotidiana di ognuno di noi. Il personaggio della madre del sud così oppressiva e ambiziosa è molto caricato e ha richiesto un lavoro molto fisico, dal costume alla mimica facciale, lavorare con Antonio è un po' come seguire una partitura musicale, ho avuto modo di rispolverare la mia formazione teatrale e di rivisitare con grande gioia le mie origini professionali.
In questo momento così difficile per il paese qual è lo stimolo che la spinge a cercare sempre e comunque di far ridere la gente?
Antonio Albanese: In questo momento il mio desiderio è di continuare a fare il comico per cercare di abbracciare più persone, la crisi ci sta flagellando e siamo tutti più deboli. E' per questo che in questo momento far ridere diventa quasi una trasgressione, credo sia un buon momento per cercare di sdrammatizzare e se c'è una cosa che alimenta l'energia e il pensiero questa è proprio l'ironia.
In ultima battuta, lei in un'intervista ha dichiarato che questo film, sotto un certo punto di vista, è anche una storia d'amore. Ci spiega meglio il senso di questa sua affermazione?
Antonio Albanese: Questo film nasce da un mio grande amore, quello che provo per questo Paese, il mio vuole essere un abbraccio ideale a tutti i suoi piccoli e grandi difetti ma è proprio per questo che non posso fare a meno di lanciare le mie contestazioni e di sollevare feroci dubbi sull'operato a dir poco discutibile adottato dalla nostra classe dirigente.
Riusciremo a toglierci tutti questi Cetto La Qualunque di torno?
Antonio Albanese: Sì, forse sì. Non so, anzi no. Non ci riusciremo. Non so rispondere a questa domanda (ride).