È arrivato su Amazon Prime Video il thriller Antebellum, film che ha fatto molto parlare di sé al momento del suo debutto americano qualche mese fa, complice un finale che rende ancora più problematico quello che per molti era già un modo discutibile di affrontare la questione razziale statunitense, da sempre terreno fertile per il cinema di genere. Si è parlato soprattutto di quella che è la pecca maggiore del film, ossia la trasformazione di ciò che poteva essere un'evoluzione tematica interessante in mero colpo di scena, sacrificando il potenziale narrativo in nome del puro fattore spettacolare, sulla falsariga dei momenti più deboli di M. Night Shyamalan (ma anche di tanto cinema horror in generale, dove il colpo di scena è diventato un bieco strumento per rianimare film dall'aria cadaverica). In questa sede vogliamo provare a spiegare perché quel finale è frustrante e al contempo molto affascinante, con qualche intuizione brillante sotto il cinismo da marketing. N.B. L'articolo contiene spoiler.
Tutto nel titolo
Già nel titolo Antebellum si cela parte della soluzione del mistero, perché se in generale l'espressione ante bellum significa "prima della guerra", negli Stati Uniti si tende a fare riferimento al cosiddetto Antebellum South, ossia gli Stati del Sud prima della Guerra Civile (o Guerra di Secessione che dir si voglia), e a seconda del contesto c'è chi parla di quel periodo con non poca nostalgia. Proprio su questo gioca il film, proponendo quelli che sembrano due piani temporali: da un lato una piantagione in Louisiana, dall'altro i giorni nostri, con due donne interpretate dalla stessa attrice (Janelle Monae) e legate almeno spiritualmente (una è una schiava, l'altra è una sociologa che si batte contro il razzismo).
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In realtà è tutto un unico periodo, poiché Veronica - la sociologa - è stata rapita e ridotta in schiavitù con il nuovo nome di Eden, sottoposta a ripetute umiliazioni tra cui numerosi stupri da parte del Generale, il proprietario della piantagione. Una notte lei decide di fuggire, e in quei momenti finali scopriamo la verità definitiva: la piantagione è un parco a tema, chiamato appunto Antebellum, dove i partecipanti sono invitati a vivere come se fosse il Sud d'epoca, con anonimi individui di colore sequestrati e trasformati in schiavi (il rapimento di Veronica, pur dando nell'occhio, è stato orchestrato per darle una lezione, stando alla figlia del Generale). Il tutto gestito da un senatore locale, i cui piani però vanno a rotoli poiché lui e i suoi principali alleati muoiono per mano di Veronica e il parco, come mostrato nei titoli di coda, viene raso al suolo.
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Tutto questo sostanzialmente negli ultimi quindici minuti del film, ragion per cui molta critica statunitense ha avuto da ridire sull'operazione: un'idea molto interessante, e molto attuale poiché la nostalgia dell'Antebellum è una cosa neanche tanto disprezzata in certi ambienti (basti pensare alla popolarità di Donald Trump e della sua retorica xenofoba presso organizzazioni come il Ku Klux Klan), che però è sprecata in nome del colpo di scena, senza approfondire, a cominciare dalla nozione di un influente politico che si serve della propria ricchezza per inscenare le sue fantasie più perverse a discapito di quelli che reputa inferiori. Come è nata l'idea? Chi l'ha aiutato, soprattutto a livello di insabbiamento per far sì che nessuno si accorgesse della cosa prima del caso Veronica? E quanti parchi simili esistono altrove negli Stati Uniti? Il Generale/Senatore dice infatti, in punto di morte, che il piano diabolico non inizia né finisce con lui, lasciando intendere che altre sedi di Antebellum esistano sul territorio americano, soprattutto nelle regioni che furono a favore della Confederazione. Una risposta più classica, e per certi versi stereotipata, alla lettura del razzismo a opera di Jordan Peele, che in Scappa - Get Out ha mostrato come l'intolleranza nei confronti degli afroamericani si celi anche tra i presunti alleati liberali della Costa Est.
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Vendetta simbolica
Al netto della struttura errabonda del film, che punta sull'orrore viscerale e diretto della brutalità contro la protagonista e trascura quello più sottile e terrificante del razzismo sistemico e istituzionale che si cela dietro la premessa, la parte finale contiene almeno un momento visivamente forte che si rivolge apertamente a chi fa l'apologia dell'Antebellum adducendo la motivazione culturale legata al retaggio degli USA e tacciando di revisionismo storico chi contesta l'esistenza di statue e monumenti in memoria della Confederazione (l'esatto contrario di paesi come la Germania, dove l'iconografia nazista è un reato al di fuori di specifici contesti artistici come il cinema e la televisione). Pensiamo, nello specifico, al duello tra Veronica ed Elizabeth (Jena Malone), la figlia del Generale, che muore sbattendo la testa contro una statua. E non una qualsiasi, ma una del generale Robert E. Lee, volto dell'esercito sudista. Ebbene, dopo la sconfitta della fazione confederata lui fu il più accanito oppositore dell'idea di statue che commemorassero chi stava dalla parte del torto, e da più di un secolo il suo desiderio non viene rispettato. A suo modo, quindi, il generale si vendica dall'oltretomba, con una dose brutale di giustizia poetica. L'unico momento davvero ispirato in un finale che, nel tentativo di provocare, lascia solo diversi interrogativi sul senso di un'operazione simile, dove la catarsi provvisoria nella sua forma più banale ha la meglio sull'orrore più subdolo, che rimane dopo la visione.
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