Another End di Piero Messina è un film emotivamente rilevante. Il classico film che resta, anche dopo la visione, quando le luci si accendono e le pupille si restringono. Ed è poi rilevante perché, con piglio narrativo, riesce a mantenere un equilibrio complicato, tanto nel tono quanto nella credibilità. Tradotto: molliamo gli ormeggi, e ci lasciamo andare in un romance che sfrutta le sfumature sci-fi, mescolando al meglio delle proprie possibilità le linee di una storia di cui finiamo per essere testimoni.
Non accade spesso, eppure Messina, che torna sul grande schermo dopo L'attesa del 2015 (in mezzo pure la seconda stagione di Suburra!), riesce con la sua regia discreta (ma sostanziale) a fare un passo indietro, scambiandosi di posto con gli spettatori: oltre la linea, tra lo schermo e il proiettore, ci ritroviamo sospesi in un dramma che si consuma nel giro di due ore, lasciando uno strascico di lucida sorpresa (e ci stupiamo, perché non era facile mantenere il controllo di una storia del genere). Accade raramente, sì, eppure, quando succede, il cinema compie il suo giro della morte (in tutti i sensi), tenendoci a testa in giù, sospesi. Come sono sospesi i protagonisti del film, presentato in concorso al Festival di Berlino. Another End, allora, è uno di quei film che arriva forte, e punta ad essere rilevante nella sua importanza, tra cinema emotivo e cinema di riflessione (anche estetica).
Another End, la trama: il tempo di dire addio
Another End, scritto dallo stesso Piero Messina, potrebbe addirittura essere letto al contrario. È un film palindromo, in cui gli inizi sono i finali (e viceversa); un film in cui i riferimenti, poco a poco, si sfocano, lasciando spazio al dolore. Del resto, tutto parte dal dolore, e dall'elaborazione di un lutto che non avevamo calcolato. Messina immagina un futuro simile al presente (ma forse più impaurito), in cui una società di bio-tecnologia prova ad alleviare il dramma di una morte improvvisa e tragica, offrendo una temporanea sostituzione di chi è trapassato. Come? Impiantando i ricordi in una persona che si offre volontaria.
Lo sappiamo, è più difficile a dirsi che a farsi, eppure la credibilità del racconto non vacilla mai (e non c'è bisogno di spiegazione), e anzi si rafforza nella storia di Sal (Gael García Bernal) che accetta il consiglio di sua sorella Zoe (Bérénice Bejo), impiegata nella società in questione. Sal ha appena perso sua moglie, Zoe, a causa di un incidente, e dunque vuol trovare il modo di dirle addio (ripetiamo, la sostituzione è a tempo). I ricordi della donna saranno impiantati in una ragazza (Renate Reinsve), ma Sal non accetta la fine prestabilita del programma, andando contro le regole di un dolore pericolosamente mascherato da effimera gioia.
Di morte e d'amore secondo Piero Messina
E lo avrete capito: Another End è un film sull'elaborazione del lutto, sull'amore che tenta di sovvertire la morte stessa, in una promessa eterna destinata a rompersi sotto il peso di una beffarda e inevitabile svolta. Another End, che nella tecnica e nella sostanza dell'estetica si fa cinema strettamente contemporaneo, riflette sulla perdita, ma anche sull'egoismo "di chi resta". Piero Messina, in senso largo, lavora in un contesto non troppo dissimile a quello raccontato da Kogonada in After Yang, puntando però sui tratti umani, e sulle conseguenti contraddizioni di un dolore cieco, che prova ad essere lenito da una sfuggente soluzione. Il punto di riflessione, che arriva tanto dalla sceneggiatura quanto dal lavoro (di sottrazione) di Gael García Bernal, è proprio questo: non c'è soluzione alla morte, non c'è niente che può lenire un'assenza inaspettata, ingiusta, fragorosa.
Sviluppandosi in uno coeso sci-fi romance, Another End diventa via via più cupo, nonché a-temporale nella sua geografia indistinta di una città occidentale senza nome. Una città che può essere Londra, Berlino o Madrid. Si parla inglese, ma anche spagnolo. Una società contemporanea, dove i ricordi finiscono in un museo, e dove la stessa morte diventa un ologramma da aggirare, ingannandola. Allora, in una società tristemente omologata (come la nostra), nel dolore come nell'amore, Another End diventa ad un tratto una favola (!), e Piero Messina, spostando lo sguardo su Renate Reinsve (e dunque sulla vita vera), scambia i connotati, letterali ed estetici. La fotografia di Fabrizio La Palombara si scalda, e la pioggia smette di cadere. Il dolore ha fatto il suo giro, e come i protagonisti, anche noi torniamo ad aprire gli occhi, rivelando una luce tutta nuova, che assomiglia tanto ad un bagliore di speranza.
Conclusioni
Non lo abbiamo scritto nella recensione, lasciando spazio all'emotività, eppure Another End potrebbe soffrire di una lunghezza eccessiva (due ore abbondanti), che fanno calare la sceneggiatura nella parte centrale. Tuttavia, Piero Messina, come detto, riesce a mantenere un equilibrio tale da rendere il film assolutamente riuscito, e marcatamente espressivo sia nella struttura narrativa quanto in quella estetica.
Perché ci piace
- Il cast, tutto.
- La credibilità cinematografica (non era facile).
- I colori scelti.
- Il finale.
Cosa non va
- Probabilmente, due ore abbondanti sono troppe.