Se il sogno americano è ormai morto, Sean Baker lascia la provincia centrando invece il cuore degli Stati Uniti d'America: New York City. Un cuore però avulso, lontano dalla verità geografica e umana degli USA, e invece più vicino all'immaginazione, all'aspettativa, all'utopia. Appunto, più vicino al cinema. Niente Fifth Avenue, ma le palazzine basse di Brooklyn, tra Jamaica e Coney Island, ultimo baluardo di una gentrificazione ormai inarrestabile. Un netto cambio (anzi, un ritorno), per un autore che conferma e rafforza la sua visione indipendente, legata tanto alle immagini quanto alle parole. In questo senso, Baker, prosegue i suoi discorsi, messi in circolo prima in Tangerine, poi in Florida Project, ancora nello splendido Red Rocket: una traccia che segue gli irregolari, gli sperduti, gli abbagliati. Insomma, segue l'essenza. E avanza (come meglio non si potrebbe) nella sua esplorazione antropologica in Anora, presentato in concorso a Cannes 2024.
Brooklyn fa da sfondo ad Anora, ma New York per Sean Baker non è certo una città sconosciuta. Lui, nato nel Jersey come Bruce Springsteen, prima di passare alle realtà suburbane (quella che considereremo la pancia degli States), aveva già raccontato squarci e angoli di Gotham in Take Out del 2004 e poi in Prince of Broadway del 2008, spostando poi l'obbiettivo verso i residui dell'America post-Obama (soprattutto in Red Rocket). Una America divisa e affranta, sudata e sporca, ossessionata e ombelicale. Un'America alla disperata ricerca di un nuovo centro di gravità, impegnata a ricostruire un'identità che sembra relativa, ma che invece il regista pone come spunto di confronto, mettendo sempre al centro i suoi straordinari personaggi.
Anora, notte folle a Coney Island
In un certo senso, Sean Baker, evolve la sua poetica, scrivendo e dirigendo quello che sarà il suo film più divertente, inaspettato e scalmanato. In 139 minuti (ma il cut originale era di 143), segue le disavventure di una sex worker, Ani, interpretata dalla rising star Mikey Madison (a proposito: ancora un lavoro che ha a che fare con il sesso, assillo e vergogna della società). Sullo sfondo, appunto, Brooklyn. Anzi, Coney Island, con la sua ruota delle meraviglie in un dicembre che la rende ancora più malinconica.
Un tumulto di colori resi vividi dalla pellicola (il film è stato girato in 35mm), e dallo score di Matthew Hearon-Smith. Ani, lavora in un night club, è l'incoscienza e l'inafferrabilità, la declinazione di una generazione schiacciata dal peso di un futuro inesistente. Ani, che avrebbe bisogno solo di una carezza. Ani, simbolo di indipendenza e individualità (in un'epoca che ci spinge al costante sacrificio in nome di una fantomatica causa), cerca un modo di fuggire via. Solo che la scelta di sposare un viziato ragazzino russo (Mark Ėjdelštejn), forse, non è delle migliori.
La metrica di Sean Baker e il temperamento di Mikey Madison
Anora, qualora ci fosse bisogno di sottolinearlo, è un grande film, completo e deciso, più profondo di come vorrebbe apparire nella sua turbolenta messa in scena. Nonché, è la riprova di quanto la poetica di Baker, oggi, sia difficilmente superabile, essendo tra gli autori che meglio inquadrano il panorama americano. L'immagine filtrata in controluce (ancora un ottimo lavoro di Drew Daniels) insieme alla la macchina a mano che segue la folle notte di Ani, sono la metrica del regista, la riconoscibilità e l'appartenenza. Alba, tramonto, e ancora alba. In mezzo un volo per Las Vegas, torrida e impersonale; c'è la neve a Brooklyn, la New York dei sogni infranti e dei tacchi troppo alti. Ridiamo, e comprendiamo quanto il set sia stato esplosivo: lo capiamo dalle interpretazioni, dalla libertà e dal temperamento con cui Mikey Madison affronta la sceneggiatura. Perché con Ani, Sean Baker rivede Cenerentola e pure Pretty Woman.
In tal senso, il regista riscrive gli obblighi della commedia romantica. Come? Sporcandola, eccitandola, stritolandola come se fosse l'ispirazione che darà poi vita a qualcosa di bellissimo. Una scrittura che gioca sull'azione e sulla reazione, che ha i suoi tempi, che non forza la mano, scegliendo la verità invece che l'apparenza (gesto politico, oggi). E senza perdere colpi, Anora, come se fosse un romanzo, evolve le molte figure che popolano il film (citiamo la delicatezza di Jurij Borisov, l'esuberanza di Karren Karagulian), senza perdere nessun pezzo.
Di più, emoziona nella sua visione sexy e scalmanata, finendo però per riprende fiato, calmandosi e ragionando, quando l'emotività trova lo spazio per imporsi. Solo al momento giusto, brutalmente e disperatamente, i pezzi di una vita sull'orlo della distruzione verranno ricomposti, e scaldati da quello che mai ci saremmo aspettati: un abbraccio.
Conclusioni
Non il migliore, ma comunque un altro grande film di Sean Baker. Sexy, frizzante, divertente, e poi anche riflessivo, inaspettatamente emotivo. Anora rivede il concetto di rom-com, sporcandola e affrontandola da un'altra prospettiva. Funziona nell'umore e nel temperamento, anche grazie alla folgorante prova della protagonista. Mikey Madison. Com'è che si dice? Ah, sì: è nata una star.
Perché ci piace
- La metrica di Sean Baker.
- Mikey Madison è formidabile.
- Divertentissimo.
- La sexy e scalmanata messa in scena.
Cosa non va
- Occhio al finale: non è immediato.