Dalla fine degli anni '70 compare sugli schermi delle televisioni italiane un nuovo tipo di prodotto: i cartoni animati giapponesi. Si tratta di serie composte da episodi di una mezzoretta l'uno e molto diversi, per temi e stile, dai cartoons occidentali (americani, principalmente, ma anche francesi o italiani) a cui il pubblico era abituato fino a quel momento.
Robot giganti in lotta contro gli alieni, orfanelle dagli occhioni luccicanti, ragazzi e ragazze che ambivano a diventare campioni attraverso terribili sacrifici e allenamenti disumani... un intero multiverso di appassionanti avventure dal tocco esotico, affascinanti nonostante una realizzazione tecnica che spesso mostrava tutti i limiti di una produzione seriale portata avanti con pochi mezzi.
A distanza di mezzo secolo da quella prima, storica "invasione", gli anime sono diventati un elemento imprescindibile nel catalogo dei servizi di streaming, e un mattone fondamentale dell'immaginario collettivo di intere generazioni.
La nuova vita del mito
La pratica del remake, della riproposizione di un mito del passato rivisto in una chiave più moderna, è una prassi comune nell'industria dell'intrattenimento. Oltre a fornire alle case di produzione una comoda strada per assicurarsi visibilità e guadagni relativamente facili, è anche il modo in cui un personaggio o una storia rinnovano sé stessi: l'adattamento ai nuovi gusti degli spettatori, pur mantenendo una coerenza più o meno forte con gli elementi che in qualche modo li caratterizzano, è l'unico modo in cui le icone del passato possono trovare nuovo slancio ed evitare di rimanere cristallizzate o, peggio ancora, di finire nel dimenticatoio.
Complice anche una produzione quantitativamente senza precedenti di entertainment, con uno show business costantemente affamato e obbligato a proporre sempre di più per un pubblico mai sazio di nuove serie.
In questo senso, potersi appoggiare a fondamenta già sedimentate è spesso una garanzia: i produttori sanno che non solo non c'è bisogno di perder tempo e fatica a creare o "introdurre" nuovi personaggi, ma che possono contare sulle aspettative e sull'affetto dei fan per le vecchie glorie del passato.
Naturalmente non è così facile, ma ci arriviamo tra un attimo.
Da Atom a One Piece
Anche l'industria degli anime giapponesi non può esimersi dal remake. In parte perché, dopo un periodo in cui l'animazione sembrava relegata a un ruolo di secondo piano nel solo mercato dell'home-video, la richiesta di nuovi contenuti è tornata altissima. Le emittenti televisive nipponiche chiedono serie per poter riempire i palinsesti, soprattutto notturni e, soprattutto, i colossi dello streaming hanno capito che avere serie anime in catalogo è una garanzia di visualizzazioni (e relativi abbonamenti) da parte di un pubblico internazionale che, dopo la pandemia, ha (ri)scoperto gli anime.
Se è vero che le serie animate giapponesi sono diventate famose anche grazie alla creazione di titoli sempre nuovi (anche se appartenenti più o meno sempre agli stessi "generi") è altrettanto vero che nel Sol Levante il concetto di remake è comunque ben presente fin dalle prime decadi, con personaggi immensamente famosi, come Atom/Astro Boy di Osamu Tezuka, o il Tetsujin 28/Super Robot 28 di Mitsuteru Yokoyama, che hanno goduto di trasposizioni animate sia negli anni '60 che negli anni '80.
La tendenza degli ultimi anni, tuttavia, vede un progressivo aumento di questo tipo di produzioni.
Ci sono diversi motivi: oltre a quelli squisitamente economici che abbiamo già elencato, un remake a volte viene messo in cantiere per dare a una serie una versione più fedele all'opera originale da cui è tratta, visto che gli anime sono spesso tratti da manga ancora in corso di pubblicazione (è quello che è successo, per esempio, con Fullmetal Alchemist : Brotherhood). Ma, soprattutto, è subentrato anche il cambio generazionale necessario perché un remake acquisti senso.
Le persone che guardavano Grendizer/Goldrake in TV hanno adesso più di quarant'anni. O, se volete sentirvi davvero vecchi, considerate che la prima puntata di One Piece, la serie culto che a oggi conta più di 1120 episodi (sì, avete letto bene) è stata trasmessa in Giappone nel 1999.
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Una marea di remake
Quindi ci troviamo in una congiuntura astrale, per così dire, molto favorevole per la produzione di nuovi remake. Rappresentano una garanzia per le case di produzione, possono contare sulla memoria dei vecchi fan, e c'è un intero, sterminato pubblico di nuovi spettatori da raggiungere.
Al fianco dei riuscitissimi remake di Hunter X Hunter (purtroppo funestato dalle cattive condizioni di salute dell'autore) e di Trigun, abbiamo quello decisamente meno valido di Saint Seiya e i Cavalieri dello Zodiaco, o di Ruroni Kenshin, e non stupisce quindi la scelta di proporre una nuova versione dell'aliena Lamù di Uruseiyatsura, a cui si affiancherà presto la nuova versione di Ranma 1/2, ovvero i due "cavalli di battaglia" della sensei Rumiko Takahashi.
A beneficio di tutti i numerosi fan delle guerriere che si vestono alla marinaretta, anche la gloriosa Sailor Moon ha avuto una nuova incarnazione con Sailor Moon Crystal, e siamo in attesa del film conclusivo della saga, Sailor Moon Cosmos, in streaming su Netflix.
Discorso a parte meriterebbe invece il remake di Goldrake, ovvero Grendizer U, sia per questioni produttive che di contenuto, ma restiamo in attesa di un'eventuale distribuzione ufficiale nel nostro paese.
Dopo un'attesa durata decenni, farà il suo ritorno anche Ken il Guerriero, ovvero Hokuto no Ken di Tetsuo Hara e Buron Son, giusto in tempo per affiancare un'altra amatissima eroina degli anni '80, ovvero Mademoiselle Oscar François de Jarjayes, meglio conosciuta come Lady Oscar, protagonista del capolavoro della sensei Riyoko Ikeda Versailles no Bara, Le rose di Versailles.
Ma la lista è lunghissima, e non fa che allungarsi a ogni stagione, e non possiamo non chiuderla, per il momento, se non citando appunto la nuova versione di One Piece ad opera dello Studio Wit, caso unico di una serie di cui viene realizzato un remake mentre la serie originale è ancora in corso.
"Questo non è il mio Goldrake!"
Come anticipavamo prima, comunque, con i remake non è tutto rose (citando Lady Oscar) e fiori.
Questo perché c'è un elemento fondamentale da tenere in considerazione: abbastanza paradossalmente, l'affetto di alcuni fan di... vecchia data, per così dire, può rivelarsi un boomerang.
Legati in maniera profonda, e a volte anche imprecisa o vagamente ossessiva, ai ricordi di quei personaggi come li hanno vissuti loro da giovani, molti "vecchi" appassionati restano spiazzati, se non addirittura infastiditi, dalle nuove versioni dei loro beniamini.
Non apprezzano i design rinnovati secondo canoni estetici diversi, non tollerano un approccio narrativo differente rispetto alla storia che hanno conosciuto e amato e, in generale, adottano un atteggiamento di chiusura e diffidenza nei confronti dei remake nel momento in cui vengono annunciati o trasmessi.
In qualche modo, vivono le nuove versioni degli anime della loro infanzia e adolescenza come una sorta di "tradimento" nei confronti delle loro memorie ed esperienze, bollando i remake come prodotti deleteri, figli di un'esigenza puramente finanziaria e mercenaria o, peggio ancora, di una filosofia votata alla deliberata distruzione dei vecchi miti, in nome di non ben definite "agende" votate al politically correct e così via.
In un crescendo parossistico, questa ristretta cerchia di nostalgici arriva addirittura a sentirsi "offesa" dai remake, come se una nuova versione di Goldrake o Lady Oscar andasse a ledere, in qualche modo, la "sacralità" dei loro ricordi.
Non conta, quindi, che i remake siano progettati non avendo loro in mente come target principale, ma le nuove generazioni. O che magari si tratti di opere che in quanto a realizzazione tecnica superano, di buona misura, quelle di svariate decenni fa.
Per fortuna si tratta di voci limitate, per quanto a volte... rumorose e che, paradosso per paradosso, ormai sembrano replicare nei confronti dei nuovi anime le stesse obiezioni che venivano mosse a quei cartoni animati trasmessi all'epoca: sono fatti col computer, i personaggi sono tutti uguali, quelli che vedevo io da piccolo sì che erano belli, e così via.
Insomma: gli anime si adattano ai tempi e provano, pur mantenendo la propria identità e le caratteristiche che li hanno resi un prodotto amato e di grande successo, a cambiare ed evolversi.
Sarebbe bello se lo facessero anche gli spettatori.