I film di animazione digitale moderni, specialmente quelli non Pixar, si orientano sempre di più verso l'integrazione di disegno e performance dal vivo. Da Polar Express in poi la tecnica del motion capture si è imposta nella maggior parte delle pellicole animate al computer e soprattutto nella creazione dei personaggi di sintesi da integrare nei film tradizionali.
Il motion capture è quella pratica che consente, applicando dei sensori sul corpo e sul viso degli attori, di catturare i loro movimenti e poi attribuirli ai corrispettivi personaggi digitali. Una tecnica che si va perfezionando di continuo, film come il secondo episodio di Pirati dei Caraibi, Happy Feet o Monster House hanno fatto fare grossi passi in avanti in questo senso.
Così anche Arthur e il popolo dei Minimei porta avanti l'evoluzione di questa tecnica, assecondando però percorsi differenti, decisamente meno convenzionali e quindi più europei.
Luc Besson, notoriamente antitecnologico, non si è mai posto il problema di come avrebbe fatto a dirigere le parti animate del film (lui che con i cartoni non aveva la minima dimestichezza) fin dall'inizio sapeva che le avrebbe girate come i suoi film, nè più nè meno. A rendere possibile l'integrazione tra lo stile di lavoro del regista e le esigenze dell'animazione computerizzata ci avrebbe pensato Pierre Buffin e la sua BUF, lo studio di effetti speciali e animazione digitale tutto francese che opera con successo da molto tempo in America (sono loro i responsabili degli effetti di Fight Club, Panic Room, Matrix, Human Nature ecc. ecc.).
L'idea è stata semplice quanto innovativa, per sfruttare l'abilità di Besson bisogna fargli dirigere tutto come sa fare e dunque mettere a punto un sistema di motion capture che non preveda i sensori ma che possa catturare i movimenti dalle immagini in video. In questo modo il regista francese ha effettivamente girato anche le scene animate. Certo visto che non servivano set elaborati (tutti gli sfondi sarebbero stati aggiunti in seguito) è stato fatto tutto in una piccola stanzetta con 8-9 telecamere puntate su quei pochi attori incaricati di eseguire i suoi ordini.
Facendo così Besson è riuscito a dare ai tecnici dell'animazione BUF anche dei precisi riferimenti sui tagli di montaggi, i movimenti di macchina e i punti di inquadratura da usare, nonchè sui vari tipi di illuminazione.
Il risultato è sorprendente non solo per le riprese (che effettivamente hanno la mano di Besson), ma soprattutto per la qualità dell'animazione. Abituati come siamo ad un cinema d'animazione europeo tecnicamente debole, un film come Arthur e il popolo dei Minimeiridà speranza in questo senso. Non solo è a livello dei concorrenti americani (il livello degli studi minori, chiaramente, non della Pixar) ma soprattutto ci sono idee nuove, come la scelta di utilizzare oggetti reali e fotografie di set in miniatura per i fondali. Tutti gli ambienti dove si svolge la parte animata del film infatti non sono disegnati ma fotografati e l'integrazione tra animazione e fotografie è assolutamente perfetta, difficilmente distinguibile da un occhio esperto e impossibile da cogliere per un occhio profano.
Ora mancano solo le storie interessanti.