Anima e corpo
Presentato nella sezione conclusiva dell'ultimo festival di Venezia, 21 Grammi - Il peso dell'anima è la seconda opera dell'ottimo e promettente Alejandro González Iñárritu, già autore dell'eccellente Amores Perros.
In questa sorta di thriller melodrammatico intimistico ed affascinante, il regista messicano si avvale della collaborazione di attori ben più celebri, mostrando quanto la sua idea di cinema sia ben apprezzata dagli interpreti più richiesti della cosiddetta Hollywood alternativa. Sean Penn (premiato con la coppa Volpi come migliore attore, proprio a Venezia), Naomi Watts e Benicio del Toro, mostrano infatti, di muoversi alla perfezione nelle complesse strutture narrative del cinema di Inarritu, sfatando un pò la legge che vuole spesso grandi cast al servizio di mediocri film.
Accusato, ingiustamente, di una certa autoindulgenza compiaciuta, questo 21 Grams, si fa notare per la forza delle immagini e specialmente per il notevole controllo narrativo del plot che si dipana in modo decisamente complesso, senza essere per questo un vacuo esercizio formalista. L'unità temporale, è continuamente frammentata sullo stile di Memento (senza però ricalcarne pedissequamente la trovata della narrazione a ritroso, come ha furbamente fatto Gaspar Noé nel suo pessimo Irréversible). D'altronte, Memento si sta dimostrando un piccolo, grande cult la cui influenza sarà sempre più determinante, nel nuovo corso del cinema di genere, per uscire dalle sacche di una ripetitività a volte esasperante. Ma non è solo la temporalità labirintica e la capacità registica a sorprendere nella nuova opera del regista messicano, che dimostra di saper abbandonare un certo tarantiniano gusto dell'assurdo per concentrarsi maggiormente sul tema della vita e della morte e sull'assurdità degli eventi a queste collegate.
E' proprio in virtù di questi suoi innegabili pregi e di questa capacità di attaccare indubbiamente lo stomaco dello spetttatore come pochi film recenti sanno fare, che si perdona al film qualche eccesso mistico al limite del parodistico e l'eccessiva centralità del tema della redenzione, che sta diventando sempre più un dogma tematico di certo cinema (ultimo su tutti Levity, con uno straordinario Billy Bob Thornton). Questo calcare eccessivamente la mano sul tema della religione, del destino e del perdono, si sente soprattutto nell'interpretazione un po' troppo caricata di Del Toro, attore certamente lodevole (basta ricordarlo in Traffic), ma che sta diventando un pò schiavo del suo personaggio misterioso e malinconicamente perdente.
Ad ogni modo, fortemente consigliato.