"La miglior serie di Star Wars". Così è stata definita Andor, ultima creazione live action del franchise appena conclusasi su Disney+. È una definizione che, per quanto sensazionale, forse lascia il tempo che trova, dato che sono millemila le ramificazioni nate dall'universo di George Lucas, e rischia di non rendere bene l'identità del serial. Già ne avevamo avuto un primo sentore coi quattro episodi visti in anteprima, ma è stato solo in seguito, settimana dopo settimana, che si è consolidata dentro di noi la consapevolezza, anzi la certezza, di trovarci di fronte alla serie più politica, più attuale e più matura dell'universo di Star Wars. Cerchiamo di capire insieme i motivi che ne hanno decretato il silenzioso successo - se ne è parlato molto poco se confrontata al chiacchiericcio settimanale intorno a The Mandalorian e Obi-Wan Kenobi.
N.B.: Nell'articolo ci possono essere spoiler sullo show.
Non c'è più bisogno della Forza
Riflettendoci un attimo, c'è una sostanziale differenza tra questa e le altre opere a puntate della saga di Star Wars. Al centro del racconto non c'è più la secolare e misteriosa storia dei Maestri Jedi e della Forza. Il fascino senza tempo che hanno esercitato per decenni i due elementi strettamente connessi potrebbe essere arrivato al capolinea, o quasi. O meglio, la strada intrapresa da Tony Gilroy fin da quel gioiellino che è Rogue One: A Star Wars Story è stata un'altra: non rifarsi sempre alla trilogia classica, la più amata, e a Una nuova speranza e a quell'incipit così iconico. Lo sceneggiatore e regista, già dietro titoli spy thriller come Michael Clayton, Duplicity e The Bourne Legacy, ha scelto il racconto politico che strizza prepotentemente l'occhio all'attualità piuttosto che quello fantastico d'avventura che ha sempre caratterizzato il franchise, e che aveva colorato proprio le scorribande di The Mandalorian, The Book of Boba Fett e Obi-Wan Kenobi, il Maestro Jedi per eccellenza. Quasi una rottura col passato ma in realtà semplicemente un altro lato della stessa medaglia. Insomma non c'è più bisogno della Forza per raccontare una storia di Star Wars?
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Tra nazisti imperiali ed ebrei ribelli
Tutta la parte centrale di Andor è uno schiaffo all'attualità e alla Storia vera con la S maiuscola. La terribile esperienza di Cassian Andor (Diego Luna) sotto lo pseudonimo di Keef Girgo e Kino Loy (un ritrovato Andy Serkis senza trucco prostetico) su Narkina 5, la prigione in mezzo all'acqua ha alzato moltissimo la tensione narrativa, mostrando allo spettatore uno dei tanti motivi che lo porterà a diventare un mercenario senza scrupoli in Rogue One (così come la morte della madre adottiva Maarva nel finale). Quello che accade in quella prigione fa raggiungere all'Impero Galattico nuove vette di filo-fascismo e nazismo e infatti si dimostra un sostanziale e terribile corrispettivo dei campi di concentramento. I prigionieri vengono trattati alla stregua degli ebrei: presi senza un reale reato o motivo, tenuti lì al massimo dell'asservimento - le mani sopra la testa, lo sguardo basso, il pavimento riscaldato per farli rimanere al proprio posto, i suicidi in cella, le fantomatiche "docce". È incredibile come Gilroy e gli autori, tra cui guarda caso il Beau Willimon di House of Cards, abbiano scelto questo sfortunato momento storico per raccontare questa storia, un periodo che sembra riportare a quelle pericolose vibes in tutto il mondo. Gli Imperiali - attraverso i personaggi fin troppo zelanti di Dedra Meero (Denise Gough) e Syril Karn (Kyle Soller) - sono una perfetta e inquietante rappresentazione di una Setta fascista capace di convincere potenzialmente chiunque ad unirsi alla causa, anche perché nella loro missione contro Andor pensano di sapere e fare ancora meglio dei loro superiori imperiali. Una combo pericolosissima in quel mondo come nel nostro.
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Questa è la via?
Andor si è dimostrata quindi la serie più politica, più attuale e più matura dell'universo di Star Wars perché ha scelto un altro punto di vista del racconto pre-Una nuova speranza per mostrare la nascita dell'Alleanza ribelle come sentimento di rivalsa prima ancora che come movimento politico e sociale. Il corrispettivo delle proteste nella realtà di oggi, così come nella storia della Rivoluzione Russa ad esempio. Nel serial queste tensioni producono un climax ascendente fortissimo nel pubblico insieme a un grande sentimento comune di ribellione per ciò che è giusto. Un risveglio delle coscienze mai così ben narrato, dalla prigione a quanto accade nel resto della galassia, dal furto degli stipendi mensili in pieno stile spy story per colpire l'istituzione nel suo cuore economico alle trame ordite da Luthen (Stellan Skarsgård) e Mon Mothma (Genevieve O'Reilly), all'azione del popolo di Ferrix nel finale, ai monologhi motivazionali lungo tutta la stagione. Per utilizzare il motto dei Mandaloriani del nostro cuore, questa è la via per far sopravvivere Star Wars e farlo entrare in una nuova era narrativa più al passo coi tempi? Abbandonare la dimensione fantastica per abbracciare quella realistica? Tony Gilroy potrebbe sembrare uno sprovveduto ma in realtà dimostra una tale consapevolezza della materia da poterla riadattare, o meglio analizzare prospettive diverse di un fatto ultra-noto e mostrarle agli spettatori. Forse dobbiamo solo accettare che la saga nata dalla mente di George Lucas si sia evoluta, perché è il mondo là fuori ad essere cambiato, e non può più permettersi di rimanere la stessa.