Una giornalista televisiva dalla brillante carriera che viene picchiata e umiliata da un marito frustrato, una giovane adolescente figlia di immigrati costretta a rinnunciare alla propria dignità e il proprietario di un locale notturno minacciato e poi gambizzato; sono loro i tre protagonisti dell'agghiacciante film che si è aggiudicato il Premio Amnesty International alla 57ª Berlinale. Non siamo in Sicilia e neanche in Calabria, bensì nell'emancipata capitale della Svezia, città che fa da scenario a questo psico-dramma in tre episodi, tratti da altrettanti fatti di cronaca, intitolato Racconti da Stoccolma, in uscita in poco più di 20 sale il 30 aprile prossimo distribuito da Teodora Film. Tre storie di ordinaria intolleranza, tre vite dilaniate dalla paura, tre delitti commessi in nome dell'onore, ma soprattutto tre vittime che nel finale trovano la forza di ribellarsi e di sperare in un futuro migliore, lontano, anzi lontanissimo, da casa. Atti di discriminazione e di inaudita violenza compiuti tra le mura domestiche come per le strade, un male che colpisce la donna in ogni parte del mondo, senza distinzione di età, razza, di classe sociale e di religione.
Argomento attualissimo, storicamente poco affrontato dal cinema ma che purtroppo è perennemente sulle prime pagine dei giornali, specie in quest'ultimo periodo. In occasione della presentazione italiana del film, il regista svedese Anders Nilsson e la Responsabile del Coordinamento Donne di Amnesty International Erika Bernacchi hanno incontrato i giornalisti e raccontato loro le origini e l'importante messaggio del film.
Signor Nilsson, ci racconta qualcosa sulla sua carriera?
Anders Nilsson: Probabilmente non mi avete neanche mai sentito nominare, ma vi assicuro che è dall'età di 13 anni che scrivo thriller. E' un genere che ho studiato e seguito attraverso i grandi giallisti svedesi e i grandi maestri del cinema come Hitchcock. Per questo scelsi di iniziare la mia carriera di regista dirigendo film polizieschi, l'ultimo dei quali risale al 2003. Poi insieme al mio sceneggiatore e produttore Joakim Hansson ho deciso che era ora di cambiare rotta e provare a realizzare un thriller che parlasse di argomenti moderni e più impegnati nel sociale.
Perché ha deciso di raccontare una Stoccolma così diversa da quella che esiste nell'immaginario collettivo?
Anders Nilsson: Proprio nel momento in cui ci eravamo soffermati a riflettere sul da farsi mi è capitato di soffermarmi sulle pagine di alcuni giornali svedesi che raccontavano di spaventosi fatti di cronaca accaduti a poca distanza l'uno dall'altro. Violenze private sfociate in tragedia in nome dell'onore perduto e della voglia di vendetta. In quel momento ho capito che dovevo mostrare come certe cose non avvengano solo in famiglie di immigrati ma anche in quelle che da fuori appaiono come onorabilissime famiglie svedesi. Così ho pensato di scrivere e dirigere un film che parlasse di differenze ma soprattutto di analogie tra un atto di violenza e l'altro, un'opera che riuscisse a portare un messaggio di speranza attraverso il cinema.
Un messaggio di speranza che vive soprattutto nel finale del film, l'unico momento catartico in cui si intravede un briciolo di ottimismo...
Anders Nilsson: Ho cercato di imitare Hitchcock in questo, raccontando le tre storie dal punto di vista delle vittime, sottolineando il loro grido di ribellione, la loro voglia di sfuggire alla sottomissione. Quel che accade loro è solo la conseguenza di un'onore ferito, della perdita di controllo che sfocia in qualcosa di incomprensibile. Per questo ho scelto un finale dal sapore così antico, volevo omaggiare i grandi duelli cinematografici di un tempo, quegli scontri all'ultimo sangue in cui solo uno vive, ed è quello che è riuscito a riprendersi o a rivendicare l'onor perduto.
Dopo la visione del film crollerà senza dubbio il mito della civilissima Svezia. Quanto incide realmente il problema della violenza sulle donne nella società svedese?
Anders Nilsson: Da alcune statistiche è stato evidenziato come il 50% delle donne svedesi abbia almeno una volta nella vita subito dei maltrattamenti. Queste cose purtroppo avvengono in ogni parte del mondo ma il problema più grande che abbiamo nel nostro paese è che da noi di queste cose non si parla, ci si vergogna troppo. Si è cominciato a cercare una soluzione solo quando le donne stesse hanno iniziato a confrontarsi tra loro ed hanno trovato in loro stesse e nell'aggregazione la forza di denunciare le violenze subite. Sapeste quante di loro mi ringraziano ogni giorno per aver fatto questo film.
Erika Bernacchi: Il problema della violenza sulle donne è un problema trasversale, che coinvolge etnie diverse, classi sociali diverse, età e contesti culturali diversi. E' purtroppo un male che affligge ed unisce virtualmente milioni di donne che non hanno il coraggio e la tenacia per denunciare i soprusi subiti.
La scelta di non specificare la nazionalità e la provenienza della famiglia di immigrati protagonista del film è dovuta ad esigenze artistiche o a problemi di privacy, visto che si tratta di storie vere?
Anders Nilsson: La gente è rimasta molto stupita di vedere in un film svedese una famiglia di immigrati, come se in Svezia non esistessero queste realtà. A Stoccolma ad esempio gli immigrati sono tantissimi, una percentuale assai sostanziosa della popolazione cittadina. Ho scelto di non rivelare nulla di più sull'identità della famiglia per due ovvi motivi: dal punto di vista artistico avrei messo sotto accusa solo un solo popolo, una sola cultura o una sola religione mentre invece volevo rendere la storia più universale; dal punto di vista concreto avrei messo in pericolo la vita della ragazza che è sopravvissuta ai soprusi della sua famiglia d'origine e che ora vive altrove. Molti dei colpevoli dell'orrendo delitto che vedete compiere nel film sono ancora latitanti...
Perché secondo Lei si fanno così pochi film sullo stupro e sulla violenza nei confronti delle donne e così tanti sulla discriminazione degli omosessuali?
Anders Nilsson: Le ragioni sono tante, e sono tutte valide. Prima di tutto fare un film di questo tipo è molto difficile, perché bisogna trovare una storia che si possa porre in modo da riuscire ad attirare il pubblico in sala ma che al contempo non sia retorica. E' assai più semplice fare un film su una rapina in banca o su un serial killer, ma se poi andiamo a guardare le statistiche gli stupri e le violenze sulle donne sono di gran lunga superiori ai furti e agli omicidi seriali.
Per lei è stato molto difficile riuscire a trovare le storie giuste?
Anders Nilsson: Obiettivamente si, volevo tre fatti che si bilanciassero tra loro, che non svelassero sin da subito la chiave di lettura del film, che fossero a loro modo tutti talmente assurdi da sembrare inventati. Ho poi tentato di dare alla storia un taglio dark ma allo stesso tempo di non renderla troppo cruento, dietro c'è stato un lungo lavoro di costruzione.
La Spagna ha risolto una volta per tutte il problema della violenza sulle donne approvando all'unanimità una legge contro le cosiddette 'violenze di genere'. Possiamo sperare di vedere presto qualcosa di simile anche qui in Italia?
Erika Bernacchi: E' stata una svolta per la Spagna la decisione di introdurre misure importanti d'appoggio alle vittime delle violenze, come ad esempio l'istituzione di case di accoglienza specializzate, grosse facilitazioni dal punto di vista lavorativo, ed importanti novità dal punto di vista giuridico con la creazione di più di 400 giudici speciali e di sezioni speciali dei tribunali che si occupano specificatamente di questa casistica. La Spagna ha accolto in pieno le richieste che Amnesty International fa ormai da anni anche al governo italiano senza ottenere risposte concrete. Mancano le risorse e soprattutto una volontà politica concreta.
Perché When Darkness Falls come titolo originale del film?
Anders Nilsson: L'espressione 'when darkness falls' è usata nei paesi del nord Europa per indicare quel periodo dell'anno in cui scende l'oscurità, in cui le giornate si accorciano e arriva l'autunno che fa da preludio alla stagione fredda. Secondo una tradizione celtica questo è il periodo in cui la gente si chiude in casa e accende le candele per scacciare gli spiriti maligni che vengono dall'inferno a rapire i bambini. Un po' quel che accade durante la festa di Halloween, e come potete notare nel film ce ne sono molte di candele accese. Nonostante questo, come potete vedere, i bambini sono tutto fuorché al sicuro...
Cosa ne pensa del titolo italiano del film?
Anders Nilsson: Penso che il titolo italiano Racconti da Stoccolma sia pressochè perfetto. Qui in Italia c'è un'idea della Svezia un po' stereotipata, non realistica. Gli spettatori si chiederanno "ma possibile che certe cose accadano anche a Stoccolma?", beh la risposta è si. Purtroppo.