Due bambini, una coppia di gemelli, si inoltrano con fare spavaldo, armati di mazze da baseball, all'interno di una grande casa lugubre e diroccata, nella periferia di Los Angeles, incuranti del sinistro monito della loro coetanea Addie. I due gemelli cominciano ad ispezionare la casa, quindi scendono nello scantinato, ignari dell'inquietante spettacolo che si presenterà ai loro occhi. Ma i due non immaginano neanche che proprio lì, in quel "mausoleo degli orrori", celato nell'ombra, si annida qualcosa di agghiacciante...
È il 5 ottobre 2011 quando la FX, la rete che aveva dato vita a serie del calibro di The Shield, Damages e Sons of Anarchy, fa balzare il cuore in gola ad oltre tre milioni di spettatori, come probabilmente pochi o nessun film erano riusciti a fare in questi ultimi anni. L'incipit de La nuova casa, episodio pilota della prima stagione di American Horror Story, resta (quantomeno a detta di chi scrive) una delle sequenze più spaventose che il piccolo o il grande schermo abbiano saputo offrirci in tempi recenti; e non era che il preludio di un incubo ad occhi aperti che, nel corso di questi quattro anni, ha letteralmente rivoluzionato i canoni della suspense televisiva.
Creata e sviluppata da Ryan Murphy (già artefice del successo di Glee) e Brad Falchuk, American Horror Story non solo si è guadagnata lo statuto di instant classic, con una platea sempre più ampia di spettatori in tutto il mondo, ed ha collezionato un totale di otto Emmy Award per le sue prime tre stagioni, ma si è arrogata anche un merito tutt'altro che trascurabile: restituire linfa vitale ad un genere, l'horror, ormai rigorosamente codificato e (soprattutto dalle parti di Hollywood) alquanto agonizzante, fra stanchi cliché e pellicole dozzinali prive di inventiva. La quarta stagione, Freak Show, è in onda su Fox da febbraio e mentre si avvicina il finale di stagione, ripercorriamo dunque l'evoluzione di American Horror Story e gli elementi che hanno reso la serie di Murphy e Falchuk uno dei prodotti più intriganti della TV odierna.
A House Is Not a Home: l'orrore ha inizio
Rititolata successivamente Murder House, la prima stagione di American Horror Story è stata la 'fiamma' che, nell'arco di appena una manciata di puntate, ha ridotto in cenere la carcassa in putrefazione dell'horror contemporaneo, per far risorgere su quelle stesse ceneri una creatura nuova, ma al tempo stesso discendente dai canoni del cinema dell'orrore classico. Case stregate, fantasmi, dannazioni... ciò di cui Ryan Murphy si è dimostrato in grado, e con un'abilità che difettava a tanti registi e sceneggiatori del grande schermo, è stato riprendere gli elementi tradizionali del genere di appartenenza e riproporli con rinnovato vigore, ma non come un mero esercizio di stile che si limitasse a far sobbalzare gli spettatori sulla poltrona. Al contrario, gli ingredienti ben noti dell'immaginario orrorifico sono stati innestati su un intreccio ammirevole per la sua natura insolitamente cupa e disturbante: a partire dall'ingresso dei due protagonisti, i coniugi Ben (Dylan McDermott) e Vivien Harmon (Connie Britton), che in una delle primissime scene del pilot ci introducono al loro ménage con un picco di tensione che per poco non replica il brivido della succitata sequenza d'apertura.
Perché il segreto di American Horror Story, la caratteristica che, fin da Murder House, lo ha reso lo spettacolo più terrorizzante su uno schermo di qualunque dimensione, è stata proprio la capacità - e l'intelligenza - di servirsi delle convenzioni dell'horror come un veicolo per raccontare anche (e soprattutto) qualcos'altro: la depressione strisciante che attanaglia l'individuo; il malessere giovanile che tracima in una cieca violenza; l'acredine di un matrimonio avvelenato da rancori e tradimenti (ben prima dei coniugi Dunne de L'amore bugiardo - Gone Girl). In tale prospettiva, la tormentata residenza della famiglia Harmon nella "casa maledetta" si configura come una progressiva discesa agli inferi, tanto più perturbante quanto più tale discesa ci trasporta negli oscuri recessi della mente dei personaggi, fin negli angoli più remoti dei loro pensieri. E accanto a Ben e Vivien, si stampano nella memoria le figure di Violet (Taissa Farmiga), la loro problematica figlia adolescente con istinti suicidi, e di Tate Langdon (Evan Peters), giovanissimo sociopatico con un drammatico passato. Ma se American Horror Story ha rivelato il talento di interpreti emergenti quali Taissa Farmiga ed Evan Peters, allo stesso modo ha saputo avvalersi di attori già navigati come Frances Conroy e Denis O'Hare, nonché rilanciare un'attrice di sopraffina bravura quale Jessica Lange, che per il ruolo di Constance Langdon, l'infida e ambigua vicina di casa degli Harmon, ha ottenuto il Golden Globe e l'Emmy Award come miglior attrice supporter.
Psycho Killer: faccia a faccia con il Male
Benché l'impresa realizzata da Murphy e Falchuk con Murder House si potesse considerare quasi miracolosa, era altresì difficile essere preparati a quanto American Horror Story ci avrebbe prospettato per la sua seconda stagione: Asylum, ad oggi non solo l'insuperato vertice dell'intera serie, ma anche uno dei massimi capolavori della TV contemporanea, un autentico prodigio di storytelling e di suggestioni orrorifiche. Nel rispetto della formula antologica del prodotto, Murphy e il suo team elaborano una storia completamente nuova sviluppata su due piani temporali: uno, quello principale, ambientato nel 1964, e un subplot secondario - ma strettamente correlato al primo - collocato a quattro decenni di distanza, ai giorni nostri. Fulcro nonché teatro delle vicende di Asylum, il fittizio manicomio criminale di Briarcliff, in Massachusetts: un maniero gotico e decadente che, nelle sue tenebrose sale, ospita i pazienti (o piuttosto i prigionieri?) di Sister Jude, inflessibile direttrice dell'istituto, interpretata con formidabile intensità da una Jessica Lange ancor più magnetica e padrona della scena.
Accanto alla Lange, Murphy recupera l'attore rivelazione della stagione precedente, Evan Peters, nella parte di Kit Walker, il giovane accusato di essere il famigerato Bloody Face, ovvero il serial killer che massacra e scuoia le donne sue vittime. Asylum si avvale inoltre di validi comprimari fra cui Zachary Quinto, Joseph Fiennes e James Cromwell, premiato con l'Emmy Award come miglior attore supporter per il ritratto del sadico dottor Arthur Arden, e offre ruoli di primo piano a due attrici già apparse come guest star nella stagione precedente: Lily Rabe, impagabile nella tonaca della diabolica villainess Sister Mary Eunice, e la strepitosa Sarah Paulson nella parte dell'ambiziosa reporter Lana Winters, determinata a far luce sul mistero di Bloody Face ma rinchiusa suo malgrado fra le pareti di Briarcliff. E proprio Lana Winters si rivelerà il personaggio chiave di Asylum, stagione che scava in profondità nelle contraddizioni e nei "lati oscuri" dei suoi protagonisti; rispetto a Murder House, tuttavia, assume maggior rilievo pure il contesto socio-culturale dell'epoca, con un racconto che abbraccia aspetti molteplici dipingendo ipocrisie e discriminazioni nell'America degli anni Sessanta.
Con Asylum, difatti, gli autori di American Horror Story alzano decisamente il tiro assumendosi notevoli rischi, a partire dalla scelta di amalgamare un vastissimo numero di tematiche molto eterogenee: la malattia mentale e le possessioni demoniache, i pregiudizi razziali e l'omosessualità, la religione e gli extraterresti, ma anche i dilemmi morali e il senso di colpa, il prezzo dell'affermazione professionale e la dicotomia fra la realtà e la sua rappresentazione, con toni inesorabilmente cupi fra i quali fanno capolino parentesi soprannaturali e perfino un trascinante siparietto musicale (la hit The Name Game cantata dalla Lange in una sequenza onirica). Una pluralità di elementi sorretti in virtù di una costruzione narrativa a dir poco esemplare, caratterizzata da un impeccabile equilibrio e da una scrittura che utilizza gli stilemi dell'horror per elaborare una riflessione affatto scontata sul Male come componente endemica alla natura umana, con la quale è possibile confrontarsi solo a costo di una dolorosa "perdita dell'innocenza"; come dichiara la stessa Sister Jude, rivolta a Lana, nell'emblematica scena conclusiva...
Se lei guarda in faccia il Male, il Male farà altrettanto con lei.
Season of the Witch: alla corte delle streghe
Raggiunta ormai la piena consacrazione tanto fra la critica quanto fra il pubblico, con una quantità di spettatori sempre più ampia e fidelizzata, per la sua terza stagione American Horror Story non si accontenta di replicare la formula già usata, ma cambia - parzialmente - registro: non più un horror in piena regola, come in Murder House e Asylum, ma qualcosa di differente, un ibrido in cui la dimensione schiettamente thrilling e pulp convive con un racconto di coming of age emblematico delle difficoltà e dei traumi dell'adolescenza. Tema di Coven, stagione collocata nella cornice di una città esoterica quale New Orleans, sono le streghe: donne dotate di poteri sorprendenti e spesso spaventosi, con i quali devono imparare a fare i conti, a convivere e, possibilmente, adoperarli a proprio vantaggio, in una disperata lotta per la sopravvivenza. A tale scopo l'adolescente Zoe Benson (Taissa Farmiga), la cui natura di strega provoca la morte dei suoi partner nel corso di ogni rapporto sessuale, viene inviata alla Miss Robichaux's Academy, scuola di magia diretta da Cordelia Foxx (Sarah Paulson), dove sarà coinvolta nella spietata lotta di potere per l'elezione della nuova Suprema, carica attualmente detenuta dalla madre di Cordelia, l'affascinante e spregiudicata Fiona Goode (Jessica Lange). Pur non facendosi mancare brividi a profusione ed elementi gore, Coven fornisce maggiore spazio agli intrighi e alle faide interne alla congrega di streghe, nonché alla progressiva presa di coscienza di Zoe e delle sue coetanee, messe di fronte alla consapevolezza che la loro peculiare natura garantisce facoltà speciali, ma al contempo anche un ineludibile carico di sofferenza e di solitudine.
Grazie ad un intreccio denso e coinvolgente, pur senza arrivare ai picchi di perfezione di Asylum, Coven conferma in sostanza l'altissimo livello - stilistico e narrativo - della serie di Ryan Murphy, potendo contare ancora una volta su Evan Peters, Lily Rabe, Emma Roberts, Denis O'Hare e Frances Conroy e aggiungendo al cast nomi quali Angela Bassett - la vendicativa strega Marie Laveaux, maestra dell'arte del voodoo - e Danny Huston. A dominare la scena (più del solito, almeno) è però una magistrale Jessica Lange, alla quale l'indimenticabile Strega Suprema Fiona regala l'Emmy Award come miglior attrice, mentre l'Emmy per la miglior attrice supporter viene assegnato ad un'istrionica Kathy Bates per la parte di Marie Delphine LaLaurie, socialite vissuta nel diciannovesimo secolo e nota per le crudeli torture contro i propri schiavi. E Murphy, che coglie ogni occasione per strizzare l'occhio alla cultura pop contemporanea, connota ogni puntata con una canzone dei Fleetwood Mac o della loro vocalist di punta, la splendida Stevie Nicks, ospite in un cameo nei panni di una stregonesca versione di se stessa con tanto di performance canora di uno dei suoi cavalli di battaglia, Rihannon.
Le Freak c'est Chic: nella terra degli Dei e dei mostri
Quando, l'8 ottobre 2014, la quarta stagione del serial, Freak Show, debutta sulla FX, l'episodio Monsters Among Us registra l'ascolto in assoluto più alto nella storia della serie (6,13 milioni di spettatori). Anticipato da un'attesa febbrile, Freak Show ci trasporta nella Florida di provincia del 1952, e per la precisione all'interno del "Gabinetto di Curiosità": uno spettacolo itinerante di cosiddetti freaks, ovvero di "scherzi della natura", diretto dall'ambiziosa impresaria Elsa Mars (Jessica Lange, chi altro?), entraîneuse di origine tedesca dal fosco passato, che sogna di emulare la connazionale Marlene Dietrich e di approdare un giorno a Hollywood. In primissimo piano, ovviamente, sono posti l'elemento della diversità (e della sua percezione), della presunta mostruosità fisica contrapposta alla mostruosità interiore (con evidenti echi di Freaks di Tod Browning, al quale viene riservata più di una citazione), nonché il dualismo fra desiderio e frustrazione e l'effimera ossessione per il successo.
Come sempre, Ryan Murphy raccoglie attorno a sé tutta o quasi la sua 'compagnia' di attori: Evan Peters, Kathy Bates, Angela Bassett, Frances Conroy, Denis O'Hare, Emma Roberts, Gabourey Sidibe e Danny Huston, oltre alla bravissima Sarah Paulson, qui nel duplice ruolo delle gemelle siamesi Bette e Dot Tattler, due teste su un unico corpo. Non mancano poi le new-entry, in questo caso Michael Chiklis e il giovane Finn Wittrock, sulle cui spalle poggia il peso del principale villain della stagione: Dandy Mott, raffinato e piacente psicopatico dagli impulsi omicidi, i cui comportamenti sfrenati e sopra le righe ondeggiano costantemente fra il grand guignol e il camp. E proprio il camp sembra costituire la cifra stilistica prediletta da Murphy per Freak Show, che per i primi episodi si avvale dell'angosciante presenza di Twisty (John Carroll Lynch), clown assassino dal volto orrendamente sfigurato, che dopo aver rivestito la funzione di antagonista e spauracchio viene cancellato troppo presto dalla trama, con conseguenze non del tutto convincenti.
Perché Freak Show, al di là degli ottimi spunti e di alcune sequenze di indubbia efficacia, è la stagione che segna purtroppo una clamorosa battuta d'arresto nel percorso della serie: causa di una sceneggiatura talvolta confusa e dallo scarso mordente, delle incertezze nella gestione degli innumerevoli subplot (nonché le rapide e poco utili apparizioni di guest star come Neil Patrick Harris e Matt Bomer) e della difficoltà di sviluppare in maniera davvero originale ed incisiva il leitmotiv di una dolorosa "diversità". In troppi casi, inoltre, la componente squisitamente horror viene accantonata a favore di parentesi kitsch e di uno splatter quasi farsesco; al punto che a restare più impresse sono sequenze che con il genere d'appartenenza c'entrano assai poco, come le performance di Fraulein Elsa sulle note di Gods and Monsters di Lana Del Rey e di due super-classici di David Bowie, Life on Mars? e Heroes. Troppo poco, però, per una serie che ci aveva abituati a ben altre vette, e che in vista della sua quinta stagione, Hotel (in calendario per ottobre), ha indubbiamente bisogno di mutare formula e di tornare a stupire sul serio; una scelta obbligata, tenendo conto dell'abbandono di una "colonna portante" come Jessica Lange, nella speranza che American Horror Story sappia rinnovarsi e non incappi in un ulteriore passo falso. Incrociamo le dita, in attesa di nuovi, graditissimi brividi...