Terra di frontiera, nuovo mondo, paese delle opportunità: l'America, per geografia e storia, nell'immaginario collettivo è quel paese quasi magico in cui il futuro si può sempre cambiare e il passato è dietro l'angolo, troppo vicino per fare degli Stati Uniti un'antica cultura. Inseguendo questa chimera di opportunità sempiterna, nei secoli popolazioni di ogni continente sono giunte su suolo americano: i Vichinghi dal nord Europa, gli schiavi africani, i Russi e gli Irlandesi. Tutte portando con sé un bagaglio fatto di speranza e divinità. Odino per gli Scandinavi, Anansi per gli Africani, Chernobog per gli Slavi, Anubi per gli Egizi: ogni popolazione del vecchio mondo ha i suoi dei ancestrali, venerati dagli esseri umani molto prima del Dio dei cristiani e degli ebrei, di Allah e Buddha.
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In quel crogiolo di razze e culture che è l'America, le antiche divinità sono state dimenticate per lasciare spazio a nuove fonti di venerazione: la tecnologia, i media, il linguaggio. Come si può far convivere il passato e il futuro nel mondo di oggi, in cui tutto sembra scorrere più velocemente e il presente sembra un qualcosa di inafferrabile? Bisogna trovare qualcosa in cui credere. E se ciò in cui crediamo prendesse il posto degli dei? Come reagirebbero questi?
Pubblicato nel 2001, in Italia nel 2003, American Gods di Neil Gaiman si è guadagnato immediatamente il titolo di romanzo di culto: vincitore dei premi Bram Stoker, Nebula e Hugo, il libro è stato accolto con tanto calore da convincere l'autore a scrivere un racconto, intitolato Il sovrano di Glen (2003), incentrato sempre sul protagonista Shadow Moon, e un sequel/spin-off, I ragazzi di Anansi (2005). Tra gli estimatori del romanzo figurano Bryan Fuller, già creatore della serie Hannibal, Michael Green, sceneggiatore di tre film in uscita quest'anno, Logan - The Wolverine di James Mangold, Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve e Alien: Covenant di Ridley Scott, e il regista David Slade: questo trio è il principale responsabile dell'adattamento televisivo del romanzo dell'autore inglese, pronto a debuttare negli USA il 30 aprile e in Italia in arrivo il primo maggio su Amazon Video.
Abbiamo visto in anteprima i primi due episodi della serie, composta da otto capitoli, e, dato che tra gli avidi lettori del romanzo figura anche chi scrive, il risultato è stato visionato con estrema cura.
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Gli antichi dei e i nuovi
Probabilmente se state leggendo queste righe saprete anche voi in che cosa consiste la trama di American Gods, ma, se per un incredibile miracolo non avete letto il romanzo e non avete ancora visto la serie, non saremo certo noi a svelarvi l'arcano. Anni fa abbiamo letto il libro senza conoscere minimamente la trama e lo stupore ci ha colpito come un treno o, meglio, come un fulmine. Da bravi estimatori delle parole di Gaiman, gli autori hanno cercato di mantenere il senso di mistero che avvolge la storia, in modo da ricreare negli spettatori lo stesso senso di smarrimento e curiosità che pervade ogni lettore di American Gods. Non fatevi scoraggiare dunque se inizialmente tutto sembra non avere senso: è così anche nel romanzo, ma, una volta che unirete i puntini, tutto sarà chiaro, meraviglioso e divertente.
Limitiamoci a dire che il fulcro della storia è Shadow Moon (Ricky Whittle), ex galeotto che esce di prigione cinque giorni prima del previsto per assistere al funerale della moglie, Laura (Emily Browning), morta in un incidente stradale. Sulla via del ritorno, Shadow viene letteralmente pedinato da uno sconosciuto, tanto affascinante quanto misterioso: Mr. Wednesday (Ian McShane), che sembra conoscere molte cose di lui e gli offre un lavoro come sua guardia del corpo personale. L'uomo deve infatti viaggiare attraverso gli Stati Uniti, prima tappa è Chicago, per incontrare diverse persone, una più strana dell'altra, ed è inseguito da individui ancora più inquietanti, che viaggiano in limousine e sono costantemente collegati alla rete.
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In cosa credi?
In prigione Shadow dice al suo compagno di cella: "Non sono superstizioso, non credo in niente che non si possa vedere", eppure i suoi sogni sono occupati da strane visioni, da bisonti con gli occhi di fuoco e alberi imponenti, stelle e ombre indecifrabili. Il suo viaggio attraverso le strade americane è in realtà un viaggio nel cuore della fede, continuamente in contrasto tra ciò che si vede con gli occhi e ciò che si sente in modo istintivo, in un conflitto tra ragione e sentimento insormontabile, a meno che non avvenga l'imprevedibile.
Anche gli spettatori devono compiere un atto di fede: chi ha letto i libri gioirà nello scoprire che gli autori hanno letteralmente tradotto in immagini le pagine di Gaiman, chi invece si avvicina per la prima volta alla storia di Shadow non deve spaventarsi se inizialmente tutto sembra non avere senso. Vagine gigantesche, morti resuscitati, televisioni che prendono vita e monete d'oro che sembrano apparire dal nulla a poco a poco avranno perfettamente senso.
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Una gioia per gli occhi e un cast semplicemente perfetto
Raramente quando si vede la rappresentazione visiva di un romanzo che si è amato si è pienamente soddisfatti, American Gods invece è una graditissima eccezione: Fuller e Green hanno creato l'impianto visivo perfetto per la storia di Gaiman, mettendo in scena una vera orgia di colori (a predominare è il rosso, soprattutto quello del sangue) e immagini suggestive, che sembrano uscite direttamente dalle pagine del libro. A partire dalla splendida sigla di apertura, in cui i neon e i giochi di luci e ombre la fanno da padroni, ogni aspetto è curato nei minimi dettagli: gli oggetti, i costumi, le scenografie sono perfette (diverse le citazioni a capolavori del cinema come Arancia meccanica e Alien, richiamati dai manichini viventi e dalla macchina che si lancia sul viso di Shadow nel primo episodio), così come i protagonisti, un cast di interpreti di primo livello, su cui spicca un sontuoso Ian McShane, che con i suoi sorrisi enigmatici si porta a casa il personaggio. Emily Browning, Gillian Anderson, Peter Stormare, Pablo Schreiber, Crispin Glover, Orlando Jones e Kristin Chenoweth fanno il resto, tutti splendidamente in parte.
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Arti che volano, sangue a fiumi, nudità frontali esplicite, linguaggio sboccato (non si contano i "fucking" detti dal protagonista e di sfuggita si leggono frasi come "Fuck God and cum hard", scritto sullo specchio di un bagno, che, se non sapete cosa significa, vi lasciamo l'ebrezza di tradurlo con Google Translate): gli autori non si sono preoccupati della censura, spingendo con vigore il piede sull'acceleratore dell'eccesso, per un vero e proprio incubo a occhi aperti, di cui siamo curiosi di vedere lo sviluppo, sperando che il pubblico si faccia sedurre dal fascino di questi personaggi memorabili, pronti a farsi venerare anche sul piccolo schermo, per un cortocircuito meta-narrativo che rende tutto ancora più interessante.
Movieplayer.it
4.0/5