C'è un continuo ronzio lungo tutto il quarto episodio di American Gods. Fastidioso, persistente, invasivo. Proprio come in una celebre puntata di Breaking Bad l'insetto svolazza per posarsi sulla vita di persone pronte a sporcarsi, o forse già inquinate e senza possibilità di salvezza. Perché tutte queste mosche? Perché con loro ci comportiamo come gli dei fanno con gli uomini? Perché le uccidiamo con la facilità con cui il divino si sbarazza di noi? Oppure si tratta solo di un indizio sulla deriva kafkiana di questo Git Gone, episodio che ruba il suo nome ad un insetticida per raccontarci la strana metamorfosi di Laura Moon e il suo passaggio da larva in vita a farfalla dopo la morte. Un percorso innaturale, ma non per una serie sfrontata e riluttante al banale come American Gods. Una serie che si permette il lusso di chiudere due episodi di seguito allo stesso identico modo, ovvero con un attonito Shadow posto dinanzi all'assurdo ritorno in vita di sua moglie. Quello che cambia è la consapevolezza del pubblico, perché dopo Git Gone finalmente abbiamo esplorato l'animo nero di Laura Moon, un personaggio che finora abbiamo conosciuto soltanto attraverso la percezione di suo marito.
Aveva pianto lacrime acide il nostro Shadow. Sulla tomba di una moglie morta durante un incidente stradale, nel bel mezzo di una fellatio offerta al loro migliore amico. Rabbia, orgoglio ferito, un lutto che fa a pugni con l'incredulità. Adesso sappiamo qualcosa di più su questa donna complessa ed enigmatica, in netta antitesi con la muscolare semplicità e l'istinto del suo ex consorte. Sembra di essere dentro la carta d'identità del protagonista della serie, il cui nome e cognome sono stati gentilmente offerti da quell'inguaribile amante di simboli e metafore di Neil Gaiman: "shadow" e "moon". Infatti eccoci in un racconto profondamente notturno, ombroso, lunatico e instabile come questa Laura. Una donna che odia le mosche e ama inalare insetticida. Una donna a cui forse sta stretta la vita.
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Dark side of the Moon
Nel bel mezzo del giro di boa, la prima stagione di American Gods sceglie di non andare avanti, di non mostrarci il viaggio on the road di Mr. Wednesday e Shadow, ma decide di andare in profondità per raccontarci una storia umana, troppo umana. Poche divinità di mezzo questa volta. È il turno di un lungo flashback che sfoglia una storia di odio travestita da storia d'amore. Un odio latente che palpita dentro una persona senza pace di nome Laura Moon, una donna che lavora di notte, come croupier di un casinò, per la quale il più grande azzardo sia credere nel senso della vita. Laura ci appare annoiata e abitudinaria, tanto da provare qualche brivido, qualche raro scossone, solo quando tenta di asfissiarsi con le esalazioni tossiche di un insetticida dentro una vasca da bagno. È forse questo il motivo dell'insolito titolo dell'episodio, che si focalizza sull'unico, banale oggetto capace di risvegliare questa donna da una persistente apatia. E a niente serve l'incontro con l'impetuoso Shadow, uomo impotente dal cuore tenero, che sembra avere occhi solo per lei, amarla con il sincero e cieco trasporto degli innamorati.
No, a Laura non serve niente, niente basta per essere felice. Emily Browning (la ragazzina di Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi e la protagonista di Sucker Punch) è perfetta nell'indossare una gelida maschera di distacco da ogni forma di sentimento e di empatia, a vestire l'anima in pena di una donna manipolatrice nelle cui vene sembra scorrere anestetico. Guardando negli occhi freddi Laura e in quelli spaesati di Shadow, scopriamo che c'era bisogno di questa pausa più intimista per American Gods. La serie per una volta mette a freno la sua vocazione visionaria e si addentra sottopelle, esplorando le contraddizioni e gli inestricabili nodi che tengono insieme i suoi protagonisti. Dopo Git Gone abbiamo una nuova compagna di viaggio. E il percorso ci sembra ancora più tortuoso di prima.
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Battesimo di sangue
Sintetico e pregnante, questo episodio di American Gods costruisce in meno di un'ora un personaggio criptico e per questo interessante nel suo essere imprevedibile. Laura, cresciuta imbottita di dogmi dai suoi genitori, ha sviluppato degli anticorpi reazionari. Nasce così un personaggio molto disilluso, che crede poco in tutto: in se stessa, negli altri, in qualcosa dopo la morte. Poi, però, quella tanto desiderata morte, accarezzata nella propria vasca da bagno, arriva senza bussare e chieder permesso. E lo fa in modo beffardo, cinico, punitivo. Per quanto i giornali abbiano edulcorato il suo ricordo post mortem, per amici e parenti Laura ha salutato il mondo con disonore, da sporca traditrice. Eppure la morte, per la signora Moon, vale come un tappo che di colpo salta, viene via. Che succede quando un non credente vede con i suoi occhi l'aldilà? Quando parli con un dio che vuole pesarti il cuore? Rigettata anche dal mondo sabbioso di Anubi, Laura torna alla vita per capirne forse il senso e il valore. Un ritorno che il regista Craig Zobel rende materico e viscerale grazie all'amato utilizzo del rallenty. La rediviva Laura salva Shadow dalla morte in un battesimo di sangue e arti recisi, vede nel suo amante tradito un'isperata fonte di luce e ci appare decisa a riconquistarne il cuore tanto bistrattato. Senza tralasciare attimi di compiaciuto humor nero, American Gods ci regala così una coppia dal futuro indecifrabile e un personaggio a cui è bastata una sola puntata per conquistarci. Dunque, siamo pronti a soffrire le pene dell'inferno o di qualsiasi altra cosa ci sia dopo la vita e dopo la morte. Fa lo stesso.
Movieplayer.it
4.0/5