E se tu avessi sognato per tutta la vita di essere speciale ma nessuno ti avesse creduto?
Poco più di un anno fa, il 17 gennaio 2018, sulla FX andava in onda il primo episodio de L'assassinio di Gianni Versace, la seconda stagione della serie antologica American Crime Story 2: una première che si apriva con la tragica mattina del 15 luglio 1997, quando lo stilista italiano Gianni Versace viene ucciso a colpi di pistola all'ingresso della sua villa a Miami Beach. Uno degli omicidi più clamorosi e discussi di fine secolo, nonché l'inizio di una forsennata caccia all'uomo nel tentativo di assicurare alla giustizia il suo assassino: Andrew Cunanan, ventisettenne californiano di origini filippine ed italiane, che prima di Versace aveva già tolto la vita ad almeno altre quattro persone. Una parabola sanguinaria rievocata, passo dopo passo, nel corso dei nove episodi della stagione 2 di American Crime Story, che Netflix ha da poco aggiunto al proprio catalogo.
L'assassinio di Gianni Versace torna dunque a disposizione del pubblico italiano in contemporanea con la sua marcia trionfale nell'attuale awards season, che ha suscitato una nuova ondata di interesse per il lavoro ad opera dello sceneggiatore britannico Tom Rob Smith. È impressionante, infatti, l'elenco dei riconoscimenti ottenuti da American Crime Story a partire dallo scorso settembre: sette Emmy Award, fra cui miglior miniserie e miglior regia per Ryan Murphy, seguiti nell'ultimo mese dal Golden Globe, il Critics' Choice Award e il Producers Guild Award come miglior miniserie. Mentre Darren Criss, ex 'alunno' di Glee e magnifico interprete di Andrew Cunanan, è stato ricompensato con l'Emmy Award, il Golden Globe, il Critics' Choice Award e lo Screen Actors Guild Award come miglior attore per il suo ritratto di quello che, a conti fatti, è il vero protagonista della serie.
Del resto questa seconda stagione di American Crime Story, pur partendo dalla figura del Gianni Versace di Edgar Ramírez, è costruita in realtà attorno al suo assassino, attraverso un'originale struttura narrativa che non solo ribalta la linearità cronologica degli avvenimenti, ma ci offre una pluralità di prospettive su un racconto estremamente teso e inquietante. Un racconto che, approfittando dell'arrivo su Netflix, vi invitiamo a recuperare quanto prima: perché L'assassinio di Gianni Versace, come già la stagione precedente (Il caso O.J. Simpson), è davvero uno dei migliori prodotti televisivi del 2018, come proveremo ad illustrare mettendo in evidenza cinque elementi che lo hanno reso la serie più premiata dell'annata.
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1. La struttura narrativa: ritorno al passato
Sul piano drammaturgico, il maggiore tratto distintivo dell'intreccio ideato da Tom Rob Smith risiede in una scelta in stile Memento: quella di procedere a ritroso, in una sorta di "viaggio all'indietro" nel passato dei personaggi. Dall'omicidio di Gianni Versace, dunque, ogni episodio ci riconduce a qualche giorno, settimana o perfino a qualche anno prima, in una graduale rievocazione delle concause che avrebbero portato al fatidico 15 luglio. Un approccio che, oltre a conferire un'indubbia originalità alla serie, ha degli effetti ben precisi: non permette allo spettatore di adagiarsi su una visione 'passiva' da tipico docudrama, ma al contrario gioca con il nostro intuito, spingendoci a elaborare domande ed ipotesi su quanto viene mostrato sullo schermo; e ammanta gli eventi di un senso di cupa ineluttabilità... come se la storia fosse già stata scritta e nessun personaggio possa più sottrarsi al destino che lo attende.
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2. Alta tensione
La suddetta aura di fatalità contribuisce in misura essenziale all'atmosfera di tensione quasi incessante che si percepisce in ogni episodio della serie. Il delitto di Gianni Versace nell'incipit, accompagnato dalle note di Remo Giazotto, è solo un assaggio di quanto ci aspetta nelle puntate successive, quando la suspense aumenta spesso a livelli insostenibili. Da questo punto di vista, alcuni episodi in particolare offrono alcune fra le sequenze più spaventose e raggelanti nel panorama televisivo degli ultimi anni: l'orrore sadico e claustrofobico di Un omicidio casuale, in una notte di allucinata violenza nella casa dell'imprenditore Lee Miglin; La casa sul lago, una puntata capolavoro in cui il giovane David Madson (il bravissimo Cody Fern) è costretto suo malgrado ad un lungo gioco fra il gatto e il topo con Cunanan, il suo possessivo ex amante; e il finale di stagione, Solo, in cui i ruoli sono rovesciati e Cunanan è diventato la preda braccata dall'FBI e ormai senza scampo.
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3. Il carnefice, le vittime e gli altri personaggi
Se la dimensione thriller de L'assassinio di Gianni Versace funziona in maniera tanto impressionante, il merito deriva anche dall'eccellente caratterizzazione di tutti i personaggi in gioco. In un racconto intessuto come un insieme di frammenti, in cui tante storie differenti confluiscono nella parabola omicida di Andrew Cunanan o vi si incrociano per brevi periodi, American Crime Story riesce a conferire credibilità e spessore a ciascun individuo, pure in virtù di una splendida squadra di attori. Accanto ai volti più noti, come Edgar Ramírez e una Penélope Cruz in versione biondo platino nella parte di Donatella Versace, a spiccare sono soprattutto quegli interpreti che, nell'arco di uno o due episodi, dividono la scena con Darren Criss: nella terza puntata, la singolare coppia formata da Mike Farrell e Judith Light (i coniugi Lee e Marilyn Miglin); Cody Fern nello struggente ruolo di David Madson, prima affascinato da Cunanan per poi restare avviluppato nell'ossessione del proprio partner; e Finn Wittrock nei panni dell'ufficiale della marina Jeff Trail, cuore pulsante dell'episodio Coming Out.
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4. Ritratto di un serial killer, fra umanità ed orrore
A distinguere American Crime Story da film e serie con temi analoghi è la natura peculiare del suo protagonista: non un villain canonico, il mostro assurto a simbolo di un male quasi metafisico, ma neppure una distorsione 'romanticizzata' del modello dell'antieroe. L'Andrew Cunanan dipinto dalla serie, e da un formidabile Darren Criss, è qualcosa di ancora diverso: un essere umano il cui egotismo, quel bisogno spasmodico di "essere speciale", si infrange inesorabilmente contro la sua mediocrità; un bugiardo patologico, che fin da adolescente erige attorno a sé una barriera di menzogne, ma da adulto sarà privo della forza di sostenere il peso della realtà; e infine - o meglio, prima di tutto - uno dei tanti everyman schiacchiati negli ingranaggi di un American Dream crollato come un castello di carte. Perché Andrew Cunanan, in fondo, è proprio questo: la personificazione dell'incubo americano.
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5. L'America e i suoi demoni
A tal proposito, è bene non dimenticare l'aggettivo inserito nel titolo della serie, né la sua valenza emblematica. Già dalla prima stagione, American Crime Story non si è limitato ad offrire il reenactement di un capitolo di cronaca nera: il processo a O.J. Simpson, così come l'omicidio di Gianni Versace e la catena di delitti compiuti da Andrew Cunanan, fungono da strumenti per aprire una finestra sulla società americana, e nello specifico gli Stati Uniti degli anni Novanta. Ne Il caso O.J. Simpson si trattava della questione razziale e della spettacolarizzazione di una vicenda giudiziaria. L'assassinio di Gianni Versace mette in scena le esistenze parallele di Versace e di Cunanan per tornare a parlarci dell'America di fine millennio e dei suoi demoni: le divisioni di classe in una nazione assoggettata al mito del successo personale; il rapporto malato con il concetto di celebrità; l'omofobia, che esplode in atti di emarginazione e di violenza o che viene introiettata fino a rivolgerla contro se stessi; il terrore del fallimento e della solitudine. Sono, più di Cunanan stesso, gli autentici mostri di American Crime Story: quelli in grado di renderla la serie più sinistra, angosciosa e autenticamente disturbante di tutto il 2018.