In uno degli election year più discussi e controversi degli Stati Uniti, il cinema e la TV non hanno mancato di contribuire a una riflessione sulla politica americana. In realtà si tratta di una riflessione pressoché incessante, che sul piccolo schermo ha attraversato serie di lungo corso quali The West Wing, House of Cards e in misura minore anche The Good Wife (per citare solo le più note) e che pure al cinema ha trovato ampio spazio. C'è un periodo peculiare, tuttavia, su cui sembra essersi focalizzata l'attenzione di sceneggiatori e registi, ovvero la prima metà degli anni Sessanta: il periodo delle lotte per i diritti dei neri (rievocate in Selma - La strada per la libertà, del 2014) e del mito kennediano, un mito la cui elegia funebre viene (de)costruita con impietosa lucidità da Pablo Larrain in Jackie, in concorso al Festival di Venezia e prossimamente in uscita nelle sale. E curiosamente è proprio dall'omicidio di JFK, ovvero il "punto d'arrivo" di Jackie, che ha inizio il TV movie All the Way: quel fondamentale quanto fatidico "passaggio di testimone" fra il Presidente assassinato in mondovisione e il Vice-Presidente costretto a raccoglierne un'eredità ancora in divenire.
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Lyndon Johnson, dal palcoscenico al piccolo schermo
È il 22 novembre 1963, il giorno in cui il carisma divorante di John Fitzgerald Kennedy, ancor più cristallizzato nell'immaginario collettivo dopo quei proiettili fatali, cede il posto alla Casa Bianca alla seconda carica dello Stato: il cinquantacinquenne Lyndon B. Johnson, figura assai meno carismatica, messa di fronte alla necessità di mantenere unita una nazione dilaniata dai conflitti razziali (c'è in ballo un capitolo fondamentale della legislazione statunitense, il Civil Rights Act) e, al contempo, di non perdere il controllo su un Partito Democratico pronto a un feroce regolamento di conti interno. È la materia narrativa al cuore di All the Way, pièce teatrale pubblicata nel 2012 da Robert Schenkkan e andata in scena a Broadway nel 2014, in uno spettacolo premiatissimo di cui la HBO ha conservato il medesimo protagonista: quel Bryan Cranston reso un'icona del panorama televisivo grazie al suo fenomenale Walter White in Breaking Bad.
Al timone di regia, in questa riduzione adattata dallo stesso Schenkkan, vi è uno specialista di TV movie, Jay Roach, il quale si era già dedicato alla politica americana (quella contemporanea, però) con Recount nel 2008, avvincente docudrama sul riconteggio dei voti in Florida nelle elezioni del 2000, e Game Change nel 2012, ritratto della disastrosa campagna di Sarah Palin per i Repubblicani nelle elezioni del 2008. Una collaborazione rinnovata, quella fra Roach e Cranston, che insieme nel 2015 avevano già realizzato un biopic piuttosto convenzionale quale L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo, e che pure nel caso di All the Way preferiscono giocare sul sicuro: vale a dire, seguendo le linee guida di un copione che rispecchia fin troppo la propria derivazione teatrale, e in cui pertanto la dimensione prettamente dialogica prende il sopravvento su tutte le altre componenti del racconto filmico. Ma la politica, del resto, è un'arte basata sulle parole, e All the Way (titolo ripreso da uno slogan della campagna elettorale) è una pellicola biografica totalmente incentrata sulla dimensione politica della vita di Lyndon Johnson.
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Luci e ombre della Casa Bianca
Dall'assassinio di JFK, All the Way rievoca dunque il primo anno di Presidenza di Lyndon Johnson mediante una struttura divisa in due segmenti: la prima parte mette in scena gli sforzi di Johnson per far approvare in Parlamento il Civil Rights Act, operando in collaborazione con un altro personaggio chiave dei Sixties, l'attivista Martin Luther King (Anthony Mackie), e schivando i colpi della fronda interna al proprio partito, guidata dal Senatore conservatore Richard Russell Jr (un magnifico Frank Langella, sapientemente sotto le righe); la seconda parte, invece, narra per sommi capi la campagna di Johnson nel 1964 per le primarie del Partito Democratico fino alla sua trionfale rielezione, il 3 novembre 1964. Una ricostruzione, quella di Schenkkan, che non si concede sbavature melodrammatiche, riduce al minimo le parentesi private e 'familiari' (ben poco spazio è concesso alla First Lady, Lady Bird Johnson, interpretata da Melissa Leo) ma per il resto non si allontana dai canoni del proprio filone di appartenenza.
È il principale limite di un TV movie più illustrativo del dovuto nel raccontare certi meccanismi della politica, fra interessi contrastanti e necessari compromessi, e che si regge soprattutto sulle spalle di un gruppo di interpreti di comprovato talento, capitanato da un mimetico Bryan Cranston penalizzato però da una tendenza a un eccessivo istrionismo (anche questo dovuto forse all'impronta teatrale del testo). Più convincente quando si inoltra nell'ineludibile ambiguità del potere che non quando si limita a percorrere i binari della "lezione di storia", All the Way rischia in più occasioni di scivolare nell'agiografia (e non fa riferimento alle tensioni con il Vietnam del Nord), salvandosi in calcio d'angolo e chiudendo con una battuta significativa sulla natura infida e 'sanguinaria' della politica: "Sorgerà il sole, spunteranno i coltelli, e tutti questi volti sorridenti mi fisseranno, in attesa di quel primo momento di debolezza... e poi mi sventreranno come un cervo".
Movieplayer.it
3.0/5