La cronaca della genesi di Alien: Romulus ci dice che il regista uruguaiano Fede Álvarez ha contattato (perdonate la semplificazione) la 20th Century Studios, cioè la ormai onnipresente Walt Disney Company, dicendo di aver un'idea per un nuovo capitolo del franchise con lo xenomorfo per farlo funzionare in modo indipendente dalla storia narrata fino a quel momento e di aver avuto addirittura il benestare dell'eminenza grigia Ridley Scott (con Walter Hill a seguire).
"Impressionante", pensa lo studio, a patto che sia nel "rispetto delle logiche editoriali / produttive di una grande operazione del 2024 che deve rilanciare un universo in stand-by al pubblico in modo il più possibile trasversale". Nonostante quest'ultima parte sia ovviamente una congettura e non una certezza, a ben vedere il risultato della pellicola di Álvarez (qui la nostra recensione) sembra proprio che il lato creativo abbia dovuto largamente fare i conti con le necessità commerciali. Come però spesso accade in operazioni del genere forse le cose più interessanti da analizzare stanno proprio lì.
Il titolo paga volontariamente un grande tributo all'immaginario del franchise, andando a recuperare l'intero pacchetto, dalle tematiche classiche alle sequenze iconiche fino alle regole del genere sia in termini di codici linguistici che di messa in scena. Ai confini più estremi del fan service però si trovano delle scelte ponderate che servono a parlare alla generazione Z, parte fondante del dictat produttivo di cui sopra. Opportunità di spunto verso il futuro, ma anche l'elemento con cui il lato autoriale trova maggiori difficoltà di approccio perché presuppone uno scontro con il passato, il cui bagaglio è il motivo stesso dell'esistenza del film. Come far dialogare le due componenti?
Alien: Romulus: l'apparenza inganna, giusto?
Fede Alvarez è parte di un sodalizio artistico con Rodo Sayagues con il quale ha dato vita al remake de La casa e di Non aprite quella porta, oltre che a due capitoli di Man in the Dark. Due creativi che dunque hanno saputo lavorare (per la Disney evidentemente bene) per i loro progetti con una pianificazione comprendente anche un lato commerciale importante.
Non dovrebbe sorprendere quindi troppo la concezione di Alien: Romulus né come è stato "venduto" fino al momento della sua uscita, ovvero come un ritorno alle origini in cui la trama è probabilmente un pretesto per mettere un nuovo sfortunato gruppo all'interno di un labirinto tetro e meccanico per essere braccato dalla famiglia xenomorfa al gran completo. C'è molto di vero in questo, ma il focus del titolo appare forse addirittura l'inverso.
Se è vero che il bozzolo dell'inizio, la presenza del Nostromo e di un ritrovato Ash (ancora con il volto di Ian Holm, ennesimo attore che la Disney ha impiegato nella sua lotta contro la mortalità), il succo della pellicola sta nelle logiche che muovono i giovani protagonisti, nelle loro relazioni con i loro genitori, con la razza sintetica e con il sistema ipercapitalista. Come se in realtà siano invece il meccanismo nostalgia e il gioco a nascondino con l'arma biologica più letale dell'universo a essere solamente un viatico per raccontare una storia che parli di altro.
Alien: Romulus, le opinioni della redazione
Scontro generazionale con lo xenomorfo
I presupposti con i quali lo young team di Alien: Romulus si muove sono quelli di andare verso un nuovo sistema solare dove non essere condannati alla sorte dei proprio padri, inviati in giro per lo spazio in nome di un colonialismo estremo messo in piedi dalla solita Weyland-Yutani. Il carburante per realizzare i loro intenti sta però tra i peccati di un passato ancora ascrivibile alla stessa società che li ha condannati a quell'eredità di stenti da cui stanno cercando di scappare. L'intero film, secondo questa prospettiva, è un intero processo di emancipazione.
Lo snodo per realizzarlo è però la dimostrazione della diversità dei giovani rispetto agli adulti, messa a repentaglio dall'assoggettamento del "sintetico gen z", Andy, da parte del nuovo Ash, il "sintetico boomer". Sorte ribaltata dal fatto che gli androidi vengono considerati dai più giovani dei fratelli e non degli strumenti da utilizzare con diffidenza. Il film gira intorno a questo aspetto al punto da suggerire una visione più inclusiva in un'età in cui il post umanesimo (vedi avvento AI nelle nostre vite) sta diventando sempre più il futuro della specie umana e a cui bisogna andare incontro con apertura mentale. Almeno secondo Álvarez e Sayagues. Due punti molto importanti che portano i superstiti a trovare una propria strada in barba a tutti i fantasmi di un'epoca che fu.
Il bozzolo dell'inizio di Alien: Romulus diventa quindi la metafora della pellicola stessa, nella misura in cui il format è quello di un recupero del passato con all'interno un messaggio indirizzato alle nuove generazioni, condito con dei valori artistici e cinematografici rispettosi e validi. Le difficoltà ad un'operazione così equilibrata si presentano in un finale copia carbone di Aliens di James Cameron, ma aggiornato secondo le confusionarie regole di Prometheus e Alien: Covenant. Testimonianza dell'impossibilità di scrollarsi di dosso un passato che alla fine vuole sempre avere l'ultima parola. Nonostante benedizioni varie ed eventuali.