Ancora non capisci con che cosa hai a che fare, vero? Un perfetto organismo. La sua perfezione strutturale è pari solo alla sua ostilità.
Il 1977 era l'anno che aveva segnato un nuovo atto fondativo della fantascienza con l'uscita di due enormi successi in grado di ridefinire le coordinate del genere: Guerre stellari e Incontri ravvicinati del terzo tipo. Il 1978 aveva assistito al trionfo del connubio tra cinema, fantascienza e fumetto grazie a Superman, mentre al 1979 risale Alien, altro capitolo imprescindibile nella storia della science fiction: un film la cui popolarità e la cui influenza resistono indomite da quarant'anni. È infatti il 25 maggio 1979 quando debutta negli Stati Uniti il secondo lungometraggio del regista inglese Ridley Scott, avviato a diventare (con ottanta milioni di dollari e trenta milioni di spettatori sul suolo americano) uno dei maggiori incassi dell'annata.
Cose da altri mondi: le origini di Alien
Il "papà" di Alien, insieme ovviamente a Ridley Scott, è Dan O'Bannon. Originario del Missouri e studente di cinema a Los Angeles, O'Bannon avvia il progetto di una produzione studentesca insieme a un compagno di università, un certo John Carpenter: realizzato con un budget di sessantamila dollari, Dark Star sarà distribuito nelle sale a partire dal 1974. Appassionato di fantascienza classica, O'Bannon deciderà in seguito di scrivere un altro soggetto molto simile, intitolato appunto Alien. L'interesse per i film sci-fi degli anni Cinquanta e Sessanta non è casuale: da essi Alien riprende quell'essenzialità narrativa che contribuirà in misura importante alla sua straordinaria efficacia e all'enorme presa sul pubblico.
Se Guerre stellari si era distinto per la sua vivacissima commistione di generi e Incontri ravvicinati del terzo tipo per il profondo umanesimo e l'attenzione ai personaggi, Alien invece - e fin dal titolo - gioca in sottrazione: i suoi protagonisti non hanno alcuna backstory e l'intera pellicola è sviluppata attenendosi alle unità di tempo, di luogo e d'azione. Così, se il primo modello di riferimento può essere individuato nel cult del 1951 La cosa da un altro mondo di Christian Nyby, la sostanziale semplicità della struttura di Alien potrebbe rievocare alla mente uno, nessuno o centomila diversi film: "Non ho rubato Alien da qualcuno. L'ho rubato da tutti!", chioserà in proposito O'Bannon.
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L'opera seconda di Ridley Scott, tra horror e fantascienza
Se dunque Alien su basa su innumerevoli opere precedenti, cosa gli ha permesso di distinguersi come un film tanto unico anziché come l'ennesimo B-movie? Il merito di aver garantito una risposta a tale domanda risale in primo luogo al suo regista, Ridley Scott. Nel 1977, l'inattesa portata del fenomeno Star Wars spinge la 20th Century Fox a mettere in cantiere una nuova pellicola di fantascienza, e quella di Alien è l'unica sceneggiatura a portata di mano; e dopo il rifiuto di Walter Hill è Scott, quarantenne britannico con un unico lungometraggio alle spalle (il dramma in costume I duellanti), ad essere ingaggiato alla guida del progetto. È un po' un azzardo, ma la scelta di Ridley Scott si rivelerà essenziale al successo di Alien, proprio in virtù del suo approccio nel mettere in scena lo script di O'Bannon, con l'intento di girare "il Non aprite quella porta della fantascienza".
Uno dei tratti peculiari di Alien consiste infatti nella sua declinazione dello sci-fi: se la prima parte è costituita dall'esplorazione di un pianeta sconosciuto da parte dei membri dell'astronave Nostromo, dalla metà in poi il film si trasforma in un horror in tutto e per tutto. Dai ritmi più lenti e descrittivi delle sequenze iniziali si passa a un'improvvisa accelerazione del racconto e a un vertiginoso crescendo di tensione, che corrisponde alla comparsa della creatura senza nome entrata nell'immaginario collettivo come lo xenomorfo. Un essere repellente, quest'ultimo, a cui possono essere attribuite ancora ulteriori 'paternità': il geniale artista svizzero Hans Ruedi Giger, autore dell'angoscioso dipinto Necronom IV, e lo specialista italiano di effetti speciali Carlo Rambaldi, ricompensato con un Oscar proprio insieme a Giger.
Uomini, macchine e mostri: fra cyberpunk e body horror
Il design dello xenomorfo, frutto della sinistra creatività di Giger, è l'elemento orrorifico al cuore del film di Ridley Scott: un caposaldo dell'estetica cyberpunk, in cui la tenebrosa eleganza della sagoma dell'alieno si fonde con la mostruosità minacciosa di fauci e tentacoli. Alien, si diceva, è almeno per metà un horror, ma dell'horror arriva addirittura ad anticipare tendenze che si manifesteranno appieno solo nel decennio successivo: due casi su tutti, lo spaventoso parassita che ricopre il volto di Keane (John Hurt) e la scena orripilante in cui lo xenomorfo emerge dal petto dell'uomo, sventrandolo dall'interno, sono ascrivibili in pieno al filone del body horror, di cui Alien rappresenta giocoforza una pietra miliare.
Suggestioni analoghe sono quelle offerte dalla figura di Ash, l'ambiguo scienziato interpretato da Ian Holm, dietro le cui sembianze si cela un androide programmato per portare l'alieno sulla Terra a qualunque costo. Ash, che una volta decapitato esibisce un grottesco amalgama di organi umani e parti meccaniche, si imporrà come un personaggio-chiave del cinema cyberpunk: un uomo-macchina non dissimile dai protagonisti del successivo progetto di Ridley Scott, quel Blade Runner che godrà di una fortuna senz'altro meno immediata rispetto ad Alien, ma il cui statuto di capolavoro - della fantascienza e non solo - sorpasserà di gran lunga quello del film precedente.
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Ellen Ripley, un nuovo modello di eroina
Non l'abbiamo ancora citata, eppure Alien, perlomeno come lo conosciamo, sarebbe impensabile senza di lei: Ellen Ripley, la giovane tenente del Nostromo e il prototipo di una quantità incalcolabile di epigoni nei decenni a venire. Per il ruolo di Ripley, l'assoluta eroina del film, Ridley Scott si affida alla ventinovenne newyorkese Sigourney Weaver, attrice di teatro che al cinema si era limitata a una comparsata in Io e Annie, ma che colpisce il regista non solo in virtù del suo metro e ottantadue di altezza, ma per la determinazione e la solidità che riesce a conferire al suo personaggio. Perché se in principio Ripley appare come una qualunque dei sette comprimari a bordo del Nostromo, man mano sarà lei a guadagnarsi sempre di più la nostra attenzione.
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Non sappiamo nulla del passato di Ellen Ripley, ma a delinearne il ritratto ci basta quanto mostrato sullo schermo: Ripley, ligia ai propri doveri con scrupolosità irreprensibile (non a caso si oppone strenuamente al proposito di introdurre la creatura aliena sull'astronave), è l'alfiera di un'etica - professionale e morale - che la porterà allo scontro diretto con Ash. E sarà lei, nella parte finale del film, ad affrontare lo xenomorfo faccia a faccia, nel tentativo di tenergli testa e di sopravvivere: la conclusione al cardiopalma di una delle "cacce all'uomo" più giustamente celebri ed elettrizzanti che si siano mai viste al cinema. Senza contare che, per Ripley, la lotta contro l'alieno sarà solo il primo atto di una sfida destinata a durare ben più a lungo...