"Alza la testa!": continua a dire ossessivamente lo scorbutico Mero al figlio Lorenzo durante gli allenamenti di boxe. Ma in seguito sarà proprio Mero a dover alzare la testa, dopo essere stato messo a tappeto da una delle batoste più sconvolgenti che possano capitare nella vita. Il secondo film di Alessandro Angelini, dopo il felice esordio de L'aria salata, parte come opera dura, sporca, sanguigna, e si evolve come racconto metaforico di formazione dell'accettazione di diverso.
Durante una tavola rotonda, in occasione della presentazione del film al Festival del cinema di Roma, il regista Angelini e gli eccezionali interpreti Sergio Castellitto, Anita Kravos, in compagnia dell'esordiente Gabriele Campanelli nella parte di Lorenzo, approfondiscono diversi risvolti dell'opera ed esprimono tutto il loro coinvolgimento nei confronti della storia raccontata.
Come il suo film d'esordio, L'aria salata, anche Alza la testa è incentrato su un rapporto tra un padre e un figlio, molto intenso ma anche conflittuale. Da cosa deriva questo suo interesse?
Alessandro Angelini: Si tratta di un tema universale, e poi io sono anche un padre e sono molto sensibile all'argomento. Ma penso che rispetto a L'aria salata qui venga descritto un percorso differente. Il mio primo film era incentrato sullo sguardo di un figlio nei confronti di un padre, mentre qui è esattamente il contrario. Quella di Mero è una figura paterna totalizzante, che tende a inglobale su di sé anche il ruolo di madre, nonostante si vergogni del suo lato più femminile e più materno.
E per quale motivo, invece, nei suoi film le figure femminili, e l'universo materno in particolare, sono così poco presenti?Alessandro Angelini: Non so bene rispondere a questa domanda. Mi piace approfondire il tema dell'amicizia virile, e mettere in scena degli uomini all'apparenza molto duri e ruvidi, ma nel profondo fragili. Nei miei film gli uomini che sembrano più forti in realtà si rivelano quelli più deboli. È il caso di Mero: è più debole della moglie, che è riuscita da sola a costruirsi una nuova vita. La sua esistenza, invece, deve appoggiarsi sempre a qualcun'altro da proteggere e da difendere.
Nel suo film c'è un'analisi molto approfondita della periferia romana e della multiculturalità che ormai la caratterizza
Alessandro Angelini: Non a caso ho scelto di ambientare il film in due luoghi di confine, Fiumicino, che con il mare segna il limite di Roma, e Gorizia, vero e proprio avamposto di confine tra diverse identità. Uno dei temi portanti di Alza la testa è l'imparare a convivere in una società come la nostra dove non esistono più identità certe e definite. Il simbolo di questa condizione è Sonia, personaggio che incarna su di sé anche l'ambiguità sessuale. Il centro del film è Mero: grazie al sacrificio del figlio, intraprende un percorso di progressiva apertura nei confronti del diverso.
Da cosa deriva l'interesse per la boxe? La sua fonte d'ispirazione viene dall'analisi della realtà pugilistica, visto che ha realizzato anche un documentario sull'argomento, oppure da riferimenti al mondo del cinema?Alessandro Angelini: Entrambe le cose. Nel 2001 ho girato un documentario su dei pugili cubani, Un Cuento de boxeo, e poi ho iniziato ad appassionarmi e anche a praticarlo. Inoltre, adoro film come Million Dollar Baby, Toro scatenato, o Fat City, anche se naturalmente non era mia ambizione raggiungere livelli di questo genere. Per Alza la testa ho indagato le realtà del sottobosco pugilistico romano, e così ho scovato anche l'attore che interpreta Lorenzo, Gabriele Campanelli, in una palestra di Ciampino. Ho pensato che la sua naturale balbuzie potesse raccontare bene il fatto di vivere un affetto interrotto a causa della distanza dalla madre.
Fin dal suo esordio ha dimostrato di possedere una visione estetica ben precisa, fondata sulla volontà di catturare il reale. Questa scelta deriva dal suo passato di reporter e documentarista?
Alessandro Angelini: Sì, la mia scuola è il documentario, e faccio riferimento a questo tipo di estetica anche nel cinema di finzione. Credo che l'ambizione di ogni regista sia quella di realizzare dei film come se fossero la vita vera, riuscendo a coniugare l'emotività dei personaggi con il racconto di una storia. Per me in un film la scrittura emotiva è importante almeno quanto quella narrativa.
Anita, come si è preparata per un personaggio così problematico come quello di Sonia, un uomo che ha deciso di cambiare sesso?
Anita Kravos: Assieme al regista e all'addetto al make up, ho lavorato sull'aspetto fisico, adottando degli accorgimenti al trucco, alla capigliatura, e ai vestiti. Ho poi studiato il tono della voce, lavorando sulla laringe, in modo che il timbro vocale risultasse ambiguo. Infine, il testo è stato scritto molto bene, e mi ha aiutato nel calarmi nella parte. A quanto pare sono riuscita a essere convincente dal momento che, durante la sequenza in cui sono in costume, una donna della troupe mi ha detto che non riusciva a capire se fossi veramente un uomo o una donna.
Sergio, come racconteresti il tuo personaggio?Sergio Castellitto: Mero progetta un futuro da boxeur per il figlio, ma poi la vita gli da un cazzotto da cui è quasi impossibile riuscire a riprendersi. Lui reagisce in modo naturale, ovvero rifiutando il mondo esterno. Ma poi la vita gli concede un'altra possibilità. Accetta il fatto che dal dolore a volte può scaturire anche il bene, e questo in qualche modo lo salva. Alla fine la testa riesce ad alzarla lui.
Come si è preparato per una sequenza così difficile e intensa come quella della morte di Lorenzo?
Sergio Castellitto: Si tratta di una scena difficile, una di quelle situazioni in cui puoi cascare facilmente nel ridicolo. In realtà noi attori rappresentiamo il dolore in maniera drammatica, ma nella vita la reazione delle persone è più vicina al ridicolo, a uno stato di rimbambimento. Nel momento di girare questa sequenza mi sono ricordato di un episodio che mi aveva raccontato Margaret Mazzantini: durante un sopralluogo in ospedale per Non ti muovere aveva visto un uomo che, alla notizia della morte del figlio, riusciva soltanto ad annuire con la testa. Mi sono ricordato di quel gesto.
Quanto lei ha contribuito nell'invenzione della parlata romanesca del suo personaggio?Sergio Castellitto: Angelini sa approfittare del talento degli altri, e fa molto affidamento all'improvvisazione degli attori. Io, che non mi faccio mai dirigere, ma faccio e basta, introducevo spesso delle mie battute in romanesco verace, che secondo me erano in grado di catturare la realtà dell'ambiente da cui proviene Mero. Come quell'"Ave Froci!" all'inizio del film, che descrive tutto un mondo.
Ci può anticipare qualcosa del suo nuovo film come regista, cui sta lavorano assieme a Margaret Mazzantini?
Sergio Castellitto: Il nuovo lavoro si chiamerà La bellezza del somaro. Si tratta di una commedia atipica, esilarante, in cui sarò circondato da grandi attori, tra cui Laura Morante, Gianfelice Imparato, Barbora Bobulova ed Enzo Jannacci, dopo molto tempo di nuovo sullo schermo. Ruota attorno a un gruppo di amici che si ritrovano in un weekend e si riuniscono assieme a mogli, figli, e amanti, mettendo in scena uno scontro generazionale. Per il momento non posso rivelare di più.