È con una domanda quanto mai attuale che si apre la conferenza romana per la presentazione de L'aria salata, sorprendente debutto cinematografico del giovane Alessandro Angelini, già vista alla Festa del Cinema di Roma ed in uscita il prossimo 5 gennaio.
Per l'occasione, ad affiancarlo troviamo il cast al completo, tra cui Giorgio Pasotti, Katy Louise Saunders, Giorgio Colangeli e Michela Cescon.
L'aria salata affronta un tema molto difficile, a lungo dibattuto, ed esce proprio mentre negli ultimi tempi non si fa altro che parlare, nel bene o nel male, dell'indulto. Non è sorto il problema di entrare nella questione un po' a gamba tesa, magari influenzando con quei giudizi che, buonismo o meno, sono facilmente estraibili dalla visione dell'opera?
Alessandro Angelini: Non credo il film si presenti come buonista, non c'è nulla di simile nei vari rapporti che lo compongono. Rispetto al tema dell'indulto, l'importante è saper leggere i tempi che corrono e poi ne L'aria salata non si parla di questo argomento, semmai di giustizia conciliativa.
In che senso conciliativa?
Alessandro Angelini: Nel senso di non precludere all'individuo ogni possibilità di recupero, di individuare pene alternative al carcere ...
Molte persone, soprattutto dopo la prima proiezione alla Festa di Roma, sono rimaste colpite dall'incredibile lavoro svolto con i primi piani. Deve esser stato un lavoro molto lungo ed impegnativo, immagino...
Alessandro Angelini: Lungo senz'altro, ma abbiamo lavorato in maniera diversa in base al ruolo svolto dagli attori ed alle esigenze poste dalla sceneggiatura. Io ho un modo tutto particolare di lavorare e di interagire con gli attori, voglio dire... alle monotone sedute faccia a faccia preferisco dei lunghi pranzi in cui si può parlare di tutto, mi piace conoscere le persone con cui mi troverò a condividere una realtà come può essere un film. Credo sia importante creare un'idea di affiatamento l'uno con l'altro. Con Colangeli il lavoro è stato lungo, lo ammetto, ma grazie alla sua profonda esperienza siamo giunti ad un risultato molto valido. Con Michela, invece, il discorso è stato diverso: l'attenzione è stata posta più verso il nucleo del personaggio, nel tentativo così di stabilire una sorta di rapporto diretto ... sperando di esserci riusciti!
Rimanendo sul discorso della preparazione, come vi siete posti verso l'organizzazione delle scene girate all'interno del carcere? Come siete riusciti a trasmettere l'intensità, le emozioni, senza dubbio forti, che traspaiono dalla pellicola?
Giorgio Colangeli: Alla base, c'è stata una fase di documentazione, per lo più legata alle esperienze di Angelini che ha passato un bel po' di tempo come volontario a Rebibbia o consultando letture, interviste, resoconti. Ovviamente, poi si è cercato di andare oltre l'evidenza, oltre lo stato delle cose. Dal mio canto, ho cercato di immaginare cosa voglia dire passare venti anni in una cella, senza famiglia, senza affetti, senza nemmeno potersi specchiare, per esempio. Quando scendeva la sera mi chiudevo a chiave nella mia stanza, tagliando volontariamente i contatti con gli altri componenti del cast o con lo stesso regista, con lo sceneggiatore...
Alessandro Angelini: C'è poi da sottolineare che la condizione carceraria ci è servita soprattutto per estremizzare il problema del rapporto tra un padre ed un figlio, un rapporto scaturito da una "assenza", che tende ad inasprirsi visto il lavoro in cui Fabio (il protagonista, ndr) è impegnato e vista la situazione di Sparti, inizialmente presentato come un semplice detenuto.
Giorgio Pasotti: Posso soltanto dire, così come ha già detto Colangeli, che c'è stata una lunga fase di preparazione, culminata poi con la creazione di un personaggio totalmente ex novo per me. Non mi sono mai trovato davanti ad una tale condizione emotiva, non sono mai stato messo di fronte ad una cosa del genere. Godersi un padre nel poco tempo possibile, seppur nell'impossibilità di esternare le proprie emozioni, non rientra nel mio bagaglio di vissuto, è anche per questo che ho cercato di lasciare lo spettatore nella facoltà di immedesimarsi nel ruolo di Fabio.
Scoprire poi quanto la figura dell'educatore possa sconfinare in quella dell'insegnante...
Alessandro Angelini: Esattamente. È anche questa la realtà carceraria, si tratta sempre di esseri umani, no?
Perché indagare un tale rapporto su più livelli generazionali? Ho ancora in mente l'immagine del bambino che non vuole incontrare il padre perché si vergogna nel confessare ai propri compagni di scuola il fatto che suo padre è un detenuto. E poi, perché proprio questo rapporto?
Giorgio Pasotti: È strano, ma vorrei saperlo anche io (risate).
Alessandro Angelini: La famiglia è il centro dell'esistenza di una persona, una sorta di rete di sicurezza. Quello che si è cercato di rappresentare, però, è l'idea di una famiglia spezzata, di un qualcosa che, purtroppo, è sempre più presente nella nostra quotidianità e quindi la difficoltà di crescere senza una figura fondamentale come quella del padre. È una figura che credo di sentire più vicina, più mia, una specie di esperienza vissuta, forse anche per il fatto che sto diventando io stesso papà (risate).
Katy Louise Saunders: È forse per questo che il mio personaggio è libero di sognare, di fare progetti e previsioni. Emma proviene da una famiglia stabile ed è proprio un rapporto stabile che vuole instaurare con Fabio. Non riesce a vivere alla giornata, sente il bisogno di reggersi su qualcuno perché così è stata, diciamo, cresciuta. Ha sempre potuto contare su qualcuno.
Angelo Carbone: Si tratta anche di un atteggiamento di paternità proprio nei confronti di una società che ci propone modelli come il precariato giovanile, paternità intesa come unico sentimento da seguire. Il creare un genitore da zero significa avere un termometro fisso sulla salute della nostra collettività.
C'è una scena particolare, quella nel supermercato, dove il pubblico si attende uno scatto di buonismo che invece viene evitato, lasciando il posto a quello che, a tutti gli effetti, è una sorta di scontro a tre.
Alessandro Angelini: È la scena che amo di più. Ho cercato di togliere ogni momento artificioso, rendendo l'evidenza ancor più realistica. La cosa che adoro è lasciare che i personaggi vengano trasportati dalle proprie emozioni, cambiando stato d'animo anche ogni due o tre scene.
Manca il riscatto finale. Non c'è possibilità di sviluppo.
Angelo Carbone: Si sentiva l'esigenza di chiudere la storia, nonostante il rischio che comportava questa nostra decisione e nonostante ancora l'aver inizialmente optato per altre soluzioni. Volevamo mantenere il tono più basso possibile, così come può esserlo il desiderio di un padre di non voler più essere di peso per il proprio figlio.
Ed il finale diverso?
Alessandro Angelini: Era diverso (risate).
Perché proprio L'aria salata? Qual è il senso dietro al titolo?
Alessandro Angelini: Beh, nel gergo carcerario è l'ora d'aria, dà l'idea di una libertà irrespirabile, qualcosa che, seppur attorno a noi, è impossibile vivere.
Ci sono progetti per l'immediato futuro?
Alessandro Angelini: Voglio seguire attentamente l'uscita di questo film, è un progetto a cui tengo moltissimo e voglio impegnarlo con tutta la mia concentrazione. Poi ho bloccato Angelo per un anno (risate).
Giorgio Colangeli: Cercherò di dedicarmi con discrezione alla fiction, così come si usa in questi ultimi anni. Le mie speranze, però, sono tutte rivolte al cinema italiano.
Giorgio Pasotti: Anch'io mi impegnerò nel seguire un progetto che reputo importantissimo e di ottima fattura, a cui ho creduto fin dall'inizio, fin da quando Alessandro ed Angelo sono venuti da me con appena trenta pagine di copione (risate)! È qualcosa che ho visto nascere e mi auguro venga sostenuto ed incoraggiato ancora per molto tempo.