Presentato fuori concorso nella settantunesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, The Humbling è un film ambizioso, diseguale, problematico. L'ultimo lavoro di Barry Levinson, tratto da un romanzo di Philip Roth, risente soprattutto della presenza ingombrante, che in qualche modo piega il film alle sue istanze artistiche, del suo protagonista Al Pacino: presenza che ha spinto il regista a fare quello che, in gergo, si definisce "il minimo sindacale", affidandosi del tutto alle capacità del protagonista.
Il risultato è un film che sarebbe potuto essere diverso, se Levinson fosse riuscito a tenere a bada (ma con i giganti è difficile, ne siamo consapevoli) la personalità di Pacino: il quale, da par suo, è al Lido (stavolta in concorso) anche con Manglehorn, nuovo lavoro dell'ex "strafumato" David Gordon Green. Lo schema del film si è un po' ripetuto durante la conferenza stampa di presentazione del film, che ha visto la presenza di attore e regista: loquace, istrionico e protagonista il primo, inevitabile comprimario (ma, probabilmente, lui per primo l'avrà in precedenza messo in conto) il secondo.
La genesi e il personaggio
"Del libro, mi piaceva l'idea che parlasse di un attore: è un argomento che conosco", ha esordito Pacino. "La storia raccontava la caduta tragica di un personaggio, ma aveva anche tante parti di commedia. Ci ho trovato un insieme di tragedia e commedia, e questo mi è piaciuto: così mi sono rivolto a Barry Levinson, che, insieme a Buck Henry e Michal Zebede, l'ha trasformato in una sceneggiatura che era basata sì sul romanzo, ma non vi aderiva completamente. Ci siamo presi delle libertà, quella del film è una storia e una narrativa diversa. L'abbiamo girato in 20 giorni, praticamente tutto d'un fiato; la preparazione, invece è stata molto lunga. Se si ha tempo per lavorare al testo, le riprese possono non necessitare di molto tempo. Non ci siamo fatti pressione, sul set siamo stati rilassati."
Pacino ha affrontato poi il difficile compito di descrivere il suo personaggio: "Lo definirei una persona che cerca di salvare la sua vita: ha delle similitudini con tutti noi, perché sente di aver perso delle opportunità, la sua stessa vita è piena di opportunità perdute. Lo vediamo mentre sta invecchiando; gli anni passano e i sentimenti che ha verso il suo lavoro stanno svanendo. Così, cerca di compensarli, e diventa una persona confusa, che scivola in un panico da depressione. Inizia a perdere la memoria, e accumula anche stanchezza, dopo giorni e giorni di recite di Shakespeare. Nel film viene descritto il logorio dell'essere umano, dal punto di vista intellettuale ed emotivo. Normalmente si immagina l'attore come una persona _glamourous, brillante, ma non sempre è così. Levinson è riuscito a rendere tutto ciò anche comico, con molto humour: all'inizio, c'è una scena in cui lui ha davanti la maschera comica e quella tragica, e le bacia entrambe: questa, credo sia la chiave di volta del film."_
Simon o Al?
L'attore ha poi risposto a una domanda che gli chiedeva se anche lui, come il suo personaggio, avesse mai pensato di abbandonare la recitazione, e se avesse rimpianti per il suo passato. "Credevo di abbandonare proprio stamattina!", ha scherzato Pacino. "Ma poi vi ho visto e ho deciso di no. Non so se ho dei rimpianti: penso di essere una persona fortunata, specie se considero da dove sono venuto e la mia storia. Credo di aver trovato, nella vita, qualcosa che amo davvero fare. Se vogliamo usare una metafora, l'aereo della mia carriera non sta ancora atterrando." Qualcuno, più esplicitamente, gli ha chiesto quanto ci sia, della sua vita, nel personaggio di Simon Axler. "Delle analogie ci sono", ha risposto l'attore. "Lui dice di volere una vita più isolata e anonima, e questa è una cosa che vale per molti attori. L'isolamento ha un valore che cresce man mano che cresce la fama." Qualche parola, Pacino l'hai poi dedicata alla riottosità mostrata dal protagonista verso la proposta di girare uno spot commerciale, e in genere agli aspetti commerciali del suo lavoro: "Gli spot fanno parte della nostra vita, li faccio io stesso: se ce n'è uno buono, ci rifletto, e alla fine dico 'perché no?'. Alcuni possono fare film commerciali, e farli bene, se sono fortunati: sembra però che questo non valga per me. Forse ha a che fare col modo in cui mi impegno su un personaggio, e su un film. Nel nostro lavoro c'è bisogno di un desiderio, di un forte appetito per fare film. Ricordo, a inizio carriera, di aver interpretato Lo spaventapasseri, con Gene Hackman: era piena estate, faceva caldo, e lui doveva indossare degli abiti pesanti, uno sull'altro. Lo vedevo camminare, con tutti quegli abiti addosso, in mezzo a tutto quel caldo, e ho pensato che doveva essere pazzo: invece, lui aveva forte questo desiderio, questo impulso di recitare quel personaggio, che gli faceva sopportare il disagio."
Un viaggio tra ombra e luce... e un ricordo
L'attore ha poi affrontato il tema, più generale, della depressione, rapportandola anche al suo vissuto personale. "Non so se ne ho mai sofferto", ha detto. "Forse sarò stato depresso, ma non ne sono mai stato consapevole. Non vedo come potrei non esserlo, in alcuni casi, ma per fortuna non ne ho consapevolezza. 'Depressione' è un termine sinistro, non so... ci rifletterò. Ci sono persone che cadono in una depressione triste, che dura molto tempo: a me non è mai capitato, e per questo mi ritengo fortunato. Ho tre figli che sono stati, per me, fonte di illuminazione, così come lo sono stati gli amici e le persone che ho incontrato sul lavoro. Questo ha contribuito ad alimentare il fantastico viaggio che ho fatto finora. Anche le perdite ne fanno parte, sono anch'esse parte della vita." Il finale dell'incontro è stato riservato a Levinson, che ha approfondito ulteriormente i temi portanti del film. "Il protagonista butta sul palco tutti i suoi problemi", ha detto il regista, "insieme a tutti quei momenti in cui fantasia e realtà, vita e recitazione, si mescolano. Lo stesso finale è, in un certo senso, la celebrazione della vita e dell'arte di un uomo: è il culmine di una vita passata di fronte al pubblico".
Qualcuno chiede poi a Levinson un ricordo di Robin Williams, da poco suicidatosi, sottolineando che l'attore lo aveva definito come il miglior regista con cui avesse mai lavorato. "Nessuno capirà mai cosa gli sia davvero successo", ha affermato Levinson. "Era un uomo sensibile, brillante in un modo straordinario. Era comico in una maniera non definibile: improvvisamente faceva uscire cose dalla sua mente, così, senza preavviso. Ricordo che in Good morning, Vietnam, a un certo punto, è uscito totalmente dal copione, così io l'ho lasciato fare e abbiamo iniziato a improvvisare. Estraeva i comportamenti dalle persone, sapeva capire come funzionavano e come ragionavano. Aveva un grande senso di umanità: insomma, era una persona straordinaria".