Come approfondiremo nel corso di questa nostra recensione di Al nuovo gusto di ciliegia, siamo sorpresi nel ritrovare un'opera così atipica e arty nel catalogo di Netflix. In questa miniserie di otto episodi, Nick Antosca e Leonore Zion, tra gli autori di Channel Zero e The Act, ci catapulteranno in un racconto esoterico e sotto acidi, ambientato in una Hollywood degli anni Novanta. Luogo di perdizione e redenzione, Hollywood si trasforma in un ambiente distante dallo star system e dal glamour per abbracciare una dimensione più cupa, misteriosa e magica. Cercando di liberarsi del canone prestabilito, Al nuovo gusto di ciliegia è un prodotto atipico, strano e straniante, che sicuramente dividerà il proprio pubblico.
La strada per il successo
Lisa Nova è un'aspirante regista che si sta dirigendo a Hollywood. Il famoso produttore vincitore di Oscar Lou Burke ha visto il suo cortometraggio sperimentale, L'occhio di Lucy, è rimasto completamente sconvolto dal talento dimostrato dalla giovane regista e ne vuole trarre un lungometraggio. Nonostante Lisa sia senza casa e senza soldi, l'incontro sembra girare a suo favore. Lou inizia a inserirla nell'ambiente che conta, le fa conoscere alcune delle personalità più importanti e ne diventa un mentore per farla crescere. Finché non riesce a nascondere il suo lato da predatore. Il rifiuto di Lisa alle avances sessuali di Lou cambia il comportamento del produttore nei confronti della protagonista: le toglie il film e la esclude dal "giro". Disperata e rabbiosa, Lisa fa la conoscenza Boro, una maga misteriosa che le promette di darle tutti gli strumenti necessari per potersi vendicare di Lou e riprendersi il film che le è stato tolto. Sarà l'inizio di una serie di rituali magici, misteriose presenze sovrannaturali che inizieranno a tormentare la protagonista, realtà che si confondono e tanto sangue versato. In questa miniserie, Hollywood diventa una giungla di potere, dove vige l'esoterismo capace di plasmare la realtà, dove il sogno di successo si trasforma velocemente in un incubo.
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Il demone a Mulholland Drive
Sin dalle primissime sequenze si notano i modelli a cui Al nuovo gusto di ciliegia si ispira, il primo più concettuale e nel canovaccio narrativo, l'altro nella scelta fotografica. Il richiamo più forte è quello di David Lynch e di suoi tre film in particolare: Strade Perdute (in cui subito viene replicata la famosa soggettiva mentre si guida in una strada notturna), Mulholland Drive, nel modo in cui si mette in scena la ricerca del successo nel sistema hollywoodiano, e Twin Peaks, per l'inesplicabile alchimia tra realtà e paranormale. Il secondo cinema omaggiato è quello di Nicolas Winding Refn: questi otto episodi spesso vengono illuminati al neon, con un ritmo abbastanza disteso che richiamano le atmosfere neo-noir del regista danese. Non ci sorprende, quindi, che si tratti di un prodotto capace di dividere il proprio pubblico, tra chi adorerà quest'atmosfera onirica e irreale e chi, invece, farà molta fatica a sospendere l'incredulità delle vicende. Perché, nell'accumulare situazioni al limite dell'assurdo, tra morsi di ragni capaci di causare un'erezione perenne e dialoghi allucinati pronunciati da personaggi sopra le righe, Al nuovo gusto di ciliegia sceglie la strada più oscura e misteriosa: quella di non voler piacere a tutti, di allontanare velocemente il grande pubblico e percorrere un sentiero più arthouse. La miniserie Netflix si ispira così tanto ai suoi padri che risulta, a lungo andare, davvero sin troppo derivativa e incapace di creare una vera e propria voce nuova, davvero originale. Sia nella messa in scena degli impianti surreali (davvero troppo simili a quelli visti su Twin Peaks - Il ritorno) che nell'iconografia colorata (alcune sequenze sembrano derivare direttamente da The Neon Demon e Too Old to Die Young), Al nuovo gusto di ciliegia, una volta assaporato, non conferma il sapore innovativo, seppur gustoso, del titolo.
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Guardare verso la destinazione
Se è vero che conta il viaggio e non la destinazione, è altrettanto vero che il punto di arrivo, specie in opere narrative che sembrano puntare verso una direzione precisa, necessita di una certa dose di importanza. Al nuovo gusto di ciliegia parte in maniera affascinante, riuscendo a trovare un più che piacevole equilibrio tra le sue parti. Man mano che si procede con gli episodi, però, le premesse sembrano sempre più lontane dal realizzarsi, sino ad arrivare a una conclusione che appare sbrigativa, un po' troppo semplice e non del tutto appagante. Soffocata nel voler realizzare una metafora precisa, la miniserie accumula troppi elementi senza presentare soluzioni soddisfacenti. Permane il fascino di una storia, quella di Lisa, che si conclude, mentre la macchina dei sogni (o forse dovremmo dire degli incubi) hollywoodiani proseguirà imperterrita, ma arrivati per l'ultima volta ai titoli di coda si ha la sensazione di aver visto un prodotto non del tutto coeso e centrato, seppur a tratti piacevolmente disturbante, misterioso, lisergico e sfuggente. Vogliamo soffermarci sullo sguardo perché, prediligendo l'impronta visiva ed estetica a quella narrativa (e basando alcuni momenti chiave proprio sull'occhio), non poteva esserci protagonista migliore di Rosa Salazar, con i suoi occhi enormi che sembrano vivere, insieme allo spettatore, la meraviglia e il terrore di cui farà esperienza. L'attrice è dotata di un talento che cattura lo spettatore, gemma principale di un cast che funziona, con Eric Lange e Catherine Keener, perfetti co-protagonisti.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Al nuovo gusto di ciliegia volendo premiare quantomeno il coraggio di una miniserie così arty e strana presente nel catalogo di Netflix. Con alcuni momenti disturbanti e una buona dose di violenza, la miniserie di otto episodi è un prodotto affascinante e sfuggente, che non sempre centra il bersaglio e si ispira alle opere di David Lynch e Nicolas Winding Refn. Più che reinterpretarne i modelli, però, tenta di imitarne lo stile, risultato un po’ troppo derivativa e non del tutto appassionante. Il finale imperfetto è la ciliegina sulla torta, dal sapore non proprio nuovo, di un prodotto destinato a far discutere e a dividere il proprio pubblico. Il cast regge tutto lo straniamento e l’assurdità della storia (un po’ soffocata dalla metafora), in particolar modo Rosa Salazar, attrice di grande talento che sa come attirare l’attenzione e lo sguardo dello spettatore, invogliandolo ad arrivare alla fine.
Perché ci piace
- Coraggiosa, disturbante, straniante: la miniserie Netflix è una mosca bianca nel catalogo della piattaforma.
- Seppur in maniera altalenante, il racconto è colmo di fascino nel mostrare (e costringerci a guardare) una Hollywood esoterica e lisergica.
- Rosa Salazar è semplicemente perfetta, prima attrice di un cast che funziona.
Cosa non va
- I modelli di riferimento (Lynch e Refn) sono sin troppo ingombranti e spesso si ha la sensazione di imitazione, più che di reinterpretazione.
- Non sempre la serie sa coinvolgere al meglio e, complice un finale che appare sbrigativo, sicuramente dividerà il pubblico che potrà anche ritenersi insoddisfatto rispetto alle premesse.