Un anno dopo l'uscita di Elvis di Baz Luhrmann nei cinema, arriva un altro progetto dedicato al Re. Il successo del biopic con protagonista Austin Butler ha sicuramente spalancato le porte a una serie di idee sul personaggio e la leggenda tra le più varie, ma quella che ce l'ha fatta è la più eccentrica, assurda e divertente di tutte. Stiamo parlando di Agent Elvis - da oggi su Netflix -, serie animata ideata da Priscilla Presley (e-moglie del Re) e da John Eddie con il contributo produttivo e autoriale di Mark Arnold, soprattutto noto per il suo lavoro su Archer.
Un prodotto irriverente, iper-violento e ultra-stilizzato che gioca da vicino con la vita e la carriera di Elvis elaborando una nuova e spassosa iterazione dell'uomo e del personaggio in chiave d'animazione. Essendo lo stesso Presley al centro di numerosi miti e complotti, l'intenzione della serie è quella d'inserirlo in un contesto diverso da quello in cui siamo stati abituati a vederlo, fatto di agenzie segrete, inseguimenti, sangue e tanta - ma tanta - violenza. E al netto di qualche perplessità strutturale, Agent Elvis funziona davvero alla grande.
Cantante, attore e... spia
Sotto l'influsso del suo storico manager, Il Colonnello Parker, l'immagine di Elvis (doppiato nella serie da Matthew McConaughey) è stata mercificata in ogni modo possibile, contribuendo tanto alla sua carriera quanto alla sua debilitazione psico-fisica. Ma questo è un argomento che tratta bene il film di Luhrmann, perché Agent Elvis vuole in realtà partire da questo concetto di mercificazione dell'immagine per costruire uno spettacolo cartoonesco eccessivo e sopra le righe, sfruttando di fatto il volto del cantante e i tanti personaggi che hanno ruotato attorno a lui o solo coevi per immaginare un what if a tratti esilarante e altre semplicemente assurdo. Quello a cui assistiamo nella serie animata non è infatti uno show per bambini, il che fa il paio con le parole di Guillermo Del Toro agli Oscar 2023, esattamente al punto in cui sostiene "che bisognerebbe smetterla di considerare l'animazione solo un genere per ragazzini". Quello dell'animazione è infatti un mezzo narrativo straordinario grazie a cui è possibile inventare storie e costruire sequenze altrimenti impossibili, con stili sempre più unici e originali e racconti che spaziano dall'infanzia ai generi più espliciti, maturi e viscerali.
Agent Elvis appartiene a quest'ultima categoria e soprattutto sfrutta una conoscenza dei tempi e dei protagonisti che si rivolge a un pubblico adulto e consapevole, se non anche interessato ad ammirare il Re tirare calci rotanti, decapitare nemici, gettarsi in rocamboleschi inseguimenti e lottare per salvare l'America da sette e comunisti. La storia si disinteressa quasi totalmente del percorso musicale e attoriale di Elvis e ce lo presenta a carriera inoltrata, già nel '68 a Las Vegas a esibirsi negli hotel. Soffre di disturbo post traumatico da stress e le sue mitiche "mosse" ricordano persino il kung-fu, per cui qualcosa non torna. Quando poi viene ingaggiato come agente segreto dal Central Bureau o TCB guidato dal Comandante (un losco figuro doppiato da Don Cheadle che vuole fare le veci del Colonnello Parker ma in ambito spionistico), le cose cambiano ancor più drasticamente, non prima di aver asfaltato la setta strafatta di Charles Manson o aver incontrato un Howard Hughes fuori di testa e barbonesco che urina in dei barattoli di plastica (Hughes era noto per il suo DOC per l'igiene).
Una volta arruolato in questa agenzia segreta che ha silenziosamente pilotato la storia americana dal dietro le quinte, Elvis può finalmente "dimostrarsi utili al paese" e salvarlo "da hippy, caos e crimine", che erano un po' gli elementi destabilizzanti della società anni '60-'70. Non da solo, comunque. Insieme al Re troviamo infatti il fidato tutto fare Bobby Ray (Johnny Knoxville), l'atletica agente CeCe Ryder (Kaitlin Olson) e il fidato scimpanzé Scatter, un primate tossico, alcolizzato e sadico che è insieme animale da compagnia e braccio destro di Elvis. Una squadra che insieme salverà l'America come già avevano fatto in passato altri agenti speciali famoso del calibro di Benjamin Franklin o Marylin Monroe.
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Uno stile scoppiettante
Funziona più o meno tutto in Agent Elvis, se accettate che la parola d'ordine sia "esagerazione". La trama orizzontale del progetto non è infatti la parte saliente o riuscita della serie animata, che rispetta invece una natura episodica e a missioni che verticalmente diverte e intrattiene meglio. La scrittura è infatti dissacrante e ispirata (sfotte anche tanto mondo del cinema e della musica) quando la missione in corso tocca tematiche o personaggi conosciuti che decide di decostruire o distruggere direttamente. Non è satira e non vuole essere né critica né intellettuale. Agent Elvis sceglie semplicemente la via della parodia di genere in chiava animata per spassarsela tra gore e soft exploitation strizzando l'occhio artistico a Genndy Tartakovsky ma senza recuperare o riproporre lo stesso spirito artistico elevato o la stessa capacità emozionale.
È intrattenimento fuori di testa, colorato e fumettistico che si regge con intelligenza su battute caustiche od osservazioni orticanti e una totale destrutturazione di alcune leggende americane - non solo Elvis - che punta a una ri-costruzione stilizzata ed eccessiva - spesso anche scorretta - delle stesse. Parte da un pretesto per creare un intero mondo fatto di spionaggio e violenza in un mix di animazione classica e digitale che esplode davanti agli occhi dello spettatore in tutto il suo grottesco ma appagante fascino, comunque capace di non scadere mai nella volgarità tout court come gli show di Waco O'Guin (pensiamo a Pradise Police) e giocare con sesso e trash talking in modo calibrato, in ottica con l'identità stessa della serie. Arrivasse una seconda stagione, ne saremmo contenti.
Conclusioni
In conclusione, Agent Elvis si dimostra spassosa e ricca d'ingegno, andando a parodiare e modificare le gesta e la leggenda del Re, qui trasformato in un agente segreto con la missione di salvare l'America da caos, hippy e criminalità. Lo stile animato fumettistico tra Archer e Tartakovsky convince e la scrittura episodica si rivela molto più funzionale e dissacrante dell'intreccio orizzontale, tra vecchie glorie e celebrità americane decostruite alla radice e comprimari come la scimmia Scatter che donano quel plus valore concettuale e creativo in più a uno show divertente, dissacrante e senza pretese.
Perché ci piace
- Lo stile animato colorato, stilizzato e fumettistico.
- La scrittura dei dialoghi e di alcune missioni e fuori di testa.
- La distruzione o decostruzione che si fa di alcuni personaggi come Howard Hughes.
- Il cast di doppiatori originali.
Cosa non va
- Non aspettatevi niente di troppo sconvolgente sul piano dell'innovazione o dello storytelling.
- Data la natura della serie ci aspettavamo qualche virtuosismo registico in più, soprattutto nell'azione.